Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione terza, sentenza n. 13282 del 7 aprile 2025

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione III, sentenza numero 13282 del 07/04/2025
Circolazione Stradale - Art. 213 del Codice della Strada e 256 del D.Lgs. 152/2006 - Veicolo in stato di abbandono - Mancata bonifica - Classificazione del rifiuto - Reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata - Integra gli estremi del reato di smaltimento di rifiuti pericolosi la condotta del soggetto che abbandona o deposita in modo incontrollato veicoli a fine vita e, quindi, fuori uso, ancorchè muniti di targa e qualificabili come rifiuti speciali pericolosi se non bonificati mediante l'eliminazione dei materiali inquinanti.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 aprile 2024, il Tribunale di (Omissis) ha dichiarato (Soggetto 1) colpevole del reato di cui all'articolo 256, comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 152 del 2006, per avere, in qualità di esecutore materiale, effettuato gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione e, segnatamente, per aver smaltito un veicolo di proprietà di un terzo e nella disponibilità dell'imputato, depositandolo in un'area sita in località via (Omissis) di (Omissis) di proprietà comunale.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello, riqualificato in ricorso per cassazione, l'interessato a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, l'erroneità della sentenza in ordine al reato perché il fatto non sussiste.

In sintesi, la difesa dell'imputato, proponendo erroneamente appello avverso sentenza inappellabile ex art. 593, comma 3, cod. proc. pen., dopo aver descritto la cronistoria del processo penale e richiamato le fonti probatorie, sostiene che la sentenza impugnata sarebbe palesemente errata. Anzitutto, perché non sarebbe emersa una prova documentale certa della "cannibalizzazione" del veicolo ad opera dell'imputato. Sostiene che il testimone, proprietario del veicolo che sarebbe stato abusivamente gestito da parte dell'imputato, dopo aver inizialmente negato di esserne proprietario, solo a seguito di contestazioni da parte del pubblico ministero avrebbe cambiato versione e ammesso il fatto, affermando di aver portato il veicolo a riparare presso l'autofficina in cui l'attuale imputato lavorava e di essersi rivolto a lui per un preventivo. Il teste aveva riferito di aver portato il veicolo presso l'autofficina ma che, reputando il costo della riparazione antieconomico, aveva deciso di abbandonare l'auto sul posto anche su proposta dello stesso imputato, avendolo fatto perché quest'ultimo gli avrebbe prospettato l'ipotesi di ricavarne pezzi da rivendere, anche se tuttavia l'autovettura era stata rinvenuta integra dalla polizia municipale. Si tratterebbe peraltro di dichiarazioni rese su contestazione del pubblico ministero, sulla cui attendibilità vi è dubbio da parte del difensore.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, l'erroneità della sentenza in ordine al reato perché l'imputato non lo ha commesso.

In sintesi, la difesa sostiene l'assenza dell'elemento psicologico del reato, in quanto osserva che, se l'imputato avesse davvero voluto riciclare i pezzi del veicolo di proprietà altrui e smaltire il restante, non avrebbe lasciato integro il numero di telaio. Il giudice non avrebbe inoltre tenuto conto che, ove l'imputato avesse effettivamente deciso di smaltire l'autovettura mettendo da parte i pezzi riutilizzabili, certamente non l'avrebbe lasciata in bella vista per tutto quel lasso di tempo, ciò in considerazione del fatto che l'officina in cui lavorava come dipendente era adiacente ad un campo rom pieno di carcasse d'auto e, quindi, facile preda di "cannibalizzazione" da parte di coloro che vi risiedevano.

2.3. Chiede, con il terzo motivo, l'assoluzione ai sensi dell'articolo 131-bis cod. pen. per particolare tenuità o occasionalità del fatto.

In sintesi, si osserva che, avendo il giudice riconosciuto le circostanze attenuanti generiche essendo l'imputato un mero dipendente nell'officina, e considerato che si trattava di fatto assolutamente occasionale, l'episodio avrebbe potuto essere ricondotto all'art. 131-bis cod. pen.

2.4. Chiede, infine, con il quarto ed ultimo motivo, la riduzione della pena pecuniaria.

In sintesi, la difesa ritiene eccessivo il trattamento sanzionatorio in quanto, essendo egli un lavoratore dipendente con un reddito mensile modesto, il pagamento dell'ammenda ascritta inflittagli comporterebbe un notevole disagio economico in capo al medesimo.

3. In data 31 gennaio 2025, il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato la propria requisitoria scritta, chiedendo a questa Corte dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

In particolare, ritiene il PG che il primo e il secondo motivo di ricorso sono entrambi inammissibili, perché contengono censure attinenti a profili di merito e che fuoriescono dal perimetro del giudizio di legittimità in quanto tese a prospettare una diversa e più favorevole ricostruzione del fatto. Il ragionamento con cui il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente l'elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato è basato sull'apprezzamento degli elementi emersi in fase di indagine, in particolare le dichiarazioni testimoniali acquisite in fase di istruttoria dibattimentale, ed è esente da censure in termini di logicità, coerenza e contraddittorietà, e pertanto immune da errori giuridici rilevabili in questa sede.

Il terzo ed il quarto motivo sono poi generici, e quindi inammissibili. Entrambi i motivi si limitano, infatti, a sanzionare in modo generico, rispettivamente, il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto e l'eccessività della pena pecuniaria. Il ricorrente lamenta genericamente l'eccessività della pena pecuniaria, omettendo di confrontarsi con il rilievo che la pena è stata comminata in misura inferiore al minimo edittale, per effetto della concessione delle attenuanti generiche. La doglianza con cui si deduce la mancata applicazione dell'art. 131-bis c.p. è anch'essa da respingere, in quanto l'assenza dei presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto può essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017, Rv. 270033 - 01). Nel caso di specie il Tribunale di (Omissis) ha effettuato una "valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta" (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, T., Rv. 266590 - 01), sulla base della quale ha ritenuto di escludere l'applicazione dell'art. 131-bis in ragione della pericolosità dei rifiuti, ma di concedere le attenuanti generiche alla luce della limitata portata offensiva della condotta, trattandosi di una sola automobile, in ossequio ai principi delineati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di non punibilità del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richieste di discussione orale, è inammissibile.

2. Preliminarmente, occorre osservare che il reato di attività di gestione di rifiuti non pericolosi non autorizzata ex art. art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. 152/2006, è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento Euro a ventiseimila euro, dunque con pena detentiva alternativa a pena pecuniaria.

Nel caso di specie, l'imputato è stato condannato alla sola pena dell'ammenda. Pertanto, avendo la sentenza inflitto la sola pena dell'ammenda, la difesa non era legittimata a proporre appello, poiché si tratta di sentenza inappellabile secondo quanto stabilito dall'art. 593, comma 3, c.p.p., introdotto dall'art. 34, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il quale stabilisce che "sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa".

A ciò va aggiunto che i motivi di ricorso proposti sono tutti articolati in fatto, poiché rivolti al giudizio di merito, ossia l'appello, che, tuttavia, non è previsto dalla legge.

In base a tali considerazioni, i motivi sono, di per sé, inammissibili perché proposti fuori dai casi consentiti ex art. 606 cod. proc. pen.

3. Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile anche per manifesta infondatezza.

A prescindere dalla considerazione secondo cui l'impugnazione, di per sé, deve essere considerata inammissibile, in relazione al primo motivo, invero, la difesa contesta la sentenza, ritenendola erronea e sostenendo la mancata sussistenza del fatto.

3.1. Secondo quanto, invece, correttamente affermato dal giudice di primo grado, il reato contestato risulta pienamente integrato. Infatti, questa Corte (Sez. 3, n. 35134 del 10/09/2009, non mas.) ha affermato che integra gli estremi del reato di cui all'art. 256, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 152/2006, la condotta del soggetto che abbia abbandonato o depositato in modo incontrollato veicoli a fine vita, quindi, fuori uso, essendo tali veicoli, ancorché muniti di targa, qualificabili come rifiuti speciali pericolosi se non bonificati mediante la eliminazione dei materiali inquinanti.

3.2. I veicoli fuori uso sono classificati come rifiuti pericolosi (codice CER/EER 160104) sia ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997 che del vigente D.Lgs. 152 del 2006, allorché non siano stati bonificati mediante l'eliminazione dei materiali inquinanti. Peraltro, vanno qualificati come veicoli fuori uso e pertanto rifiuti, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, i veicoli a fine vita, indipendentemente dal fatto che gli stessi siano ancora muniti di targa, di cui il detentore si sia disfatto ovvero abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi. Inoltre, affinché un veicolo dismesso possa considerarsi rifiuto pericoloso è necessario non solo che esso sia fuori uso, ma anche che contenga liquidi o altre componenti pericolose, perché altrimenti esso rientra nella categoria classificata con il codice CER/EER 16.01.06.

In generale, un autoveicolo contiene elementi e sostanze liquide necessari al suo funzionamento (ad es. combustibile, batteria, olio motore, liquidi refrigeranti), la cui rimozione viene effettuata tramite operazioni complesse che comportano anche l'impiego di particolari attrezzature per lo smontaggio e che richiedono competenze tecniche specifiche. Una volta rimossi, i liquidi e le componenti non più utilizzabili dovranno essere gestiti come rifiuti.

3.3. Nel caso di specie, il veicolo era dotato di tutti i liquidi e componenti di fabbrica, alcuni dei quali inquinanti e inquadrabili nella disciplina del D.Lgs. 209/2003.

Come anticipato, i liquidi ed altre componenti di un veicolo a motore - come ad esempio combustile, batteria, olio motore, sospensioni idrauliche, olio dell'impianto frenante, liquidi refrigeranti o antigelo, detergenti per i cristalli - richiedono, per essere rimossi, operazioni oggettivamente complesse, le quali comportano non soltanto la previa selezione dei singoli elementi da eliminare, ma anche la disponibilità di particolari attrezzature per lo smontaggio. Si tratta, inoltre, di attività che, per essere eseguite, richiedono una minima competenza tecnica ed il rispetto di specifiche norme di sicurezza o, quanto meno, di una certa prudenza al fine di evitare danni alle persone o alle cose - requisiti del tutto mancanti nel caso di specie. Tali interventi di bonifica risultano ancor più complessi quando le condizioni del veicolo, a causa di precedenti eventi, come, ad esempio, nel caso di danni ingenti alla carrozzeria a seguito di sinistro stradale, rendono meno agevoli le operazioni di movimentazione e di smontaggio delle singole componenti. Inoltre, una volta rimossi, i liquidi e le componenti non più utilizzabili vanno pure trattati come rifiuti e sono, pertanto, soggetti alla disciplina prevista per la loro gestione, cosicché attività quali, ad esempio, il deposito, il trasporto, o lo smaltimento richiedono specifici titoli abilitativi e dovrebbero risultare comunque tracciabili (Sez. 3, n. 11030 del 05/02/2005, A., Rv. 263248-01).

3.4. In aggiunta, l'imputato era consapevole di aver ricevuto un veicolo quale rifiuto, avendo consentito al proprietario di prelevare la targa e i documenti per procedere alla cancellazione dal PRA e, inoltre, la stessa attività di demolizione e recupero di parti di veicoli rientra nella nozione di gestione e smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 256, comma 1, D.Lgs. 152/2006 ed è specificamente disciplinata dal D.Lgs. 24 giugno 2003 n. 209.

Per tali motivi, il reato risulta integrato e il motivo inammissibile.

4. Anche il secondo motivo è inammissibile.

In sintesi, la difesa sostiene erroneamente la mancanza della coscienza e volontà dell'imputato di riciclare l'autovettura. Ed infatti, la circostanza di aver ricevuto l'auto dal proprietario proponendogli di lasciarla in officina per estrarvi dei pezzi di ricambio, in quanto era antieconomica ripararla, integra una condotta colpevole di disfarsi del rifiuto, atteso che la ricezione da parte del proprietario del mezzo per "cannibalizzarlo" senza poi seguire la procedura prevista dal D.Lgs. n. 209 del 2003 per lo smaltimento dei veicoli fuori uso, integra all'evidenza l'elemento psicologico del reato contestato, punibile a titolo di colpa.

5. Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

Attraverso la disposizione di cui all'art. 131-bis cod. pen., il legislatore ha privato alcune fattispecie di reato, individuate sulla base di un criterio quantitativo, del loro disvalore non già in astratto, ma soltanto all'esito di una valutazione giudiziale "personalistica", dovendosi avere riguardo alla particolare tenuità del fatto, articolata in due "indici-requisiti" che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, e la non abitualità del comportamento. Il nuovo istituto non individua quindi un ulteriore elemento costitutivo del fatto, bensì un limite negativo alla sua punibilità, che non può prescindere poi da un accertamento nel merito.

Così configurato, lo stesso, secondo categorie di consolidata elaborazione giurisprudenziale, non costituisce oggetto di contestazione o di prova negativa da parte dell'accusa, essendo invece onere della difesa allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l'indicazione di elementi specifici (Sez. 2, n. 32989 del 10/04/2015, L., Rv. 264223-01).

Nel caso di specie, tale onere non risulta soddisfatto, non avendo, la difesa, allegato alcuno specifico elemento idoneo a ritenere sussistente la particolare tenuità del fatto.

6. Infine, non si sottrae al giudizio di inammissibilità nemmeno il quarto motivo.

Infatti, premesso che tale richiesta è articolata in fatto, essendo diretta al giudice di appello, occorre osservare che i giudici hanno dato correttamente conto dell'applicazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio.

Inoltre, essendo la pena inflitta inferiore al medio edittale, è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non risulta necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, M., Rv. 271243).

7. Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 20 marzo 2025.

Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2025.

 

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