Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 1958 del 17 gennaio 2024

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 1958 del 17/01/2024
Circolazione Stradale - Artt. 141, 191 e 193 del Codice della Strada - Incidente stradale - Investimento di pedone - Omicidio stradale - Presunta inevitabilità dell'evento in relazione al comportamento del pedone - Valutazione - Nello specifico campo della circolazione stradale, compreso quello del pedone intento nell'attraversamento della careggiata, trova opportuno temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di (Omissis), con la quale (Soggetto 1) era stato condannato per il reato di omicidio stradale ai danni del pedone (Soggetto 2) In particolare, si è contestato all'imputato di avere, in presenza di una doppia linea continua, effettuato una manovra di sorpasso dei veicoli che lo precedevano a una velocità di 105 Km/h, superiore al limite di 90 vigente, mentre si trovava alla guida di una moto (Omissis), così investendo la vittima, intenta nell'attraversamento della strada, cagionandone le lesioni alle quali era seguita la morte, con l'aggravante di aver commesso il fatto alla guida di un mezzo con patente revocata (in (Omissis) il 18/12/2016).

2. In sintesi, questa la ricostruzione dei fatti per cui è processo operata dai giudici di merito. Sulla dinamica, già nella sentenza appellata si era dato atto dei rilievi posti in essere dalla polizia locale e del fascicolo fotografico, da una prima ricostruzione essendo emerso che il (Soggetto 1) era stato impegnato, dopo l'uscita da una rotonda, in una manovra di sorpasso dei veicoli che procedevano davanti a lui lentamente.

Dalla traccia di frenata, poi, si era ricavata anche la velocità sostenuta del mezzo condotto dal (Soggetto 1), corroborato il dato dalla circostanza che il corpo della vittima era stato scagliato in una scarpata e dalla posizione finale del mezzo, le macchine antecedenti avendo impedito una completa visuale della strada. Si era pure richiamato l'esito della consulenza disposta dal pubblico ministero, alla stregua del quale il GUP aveva precisato che l'incidente era intervenuto in orario diurno con tempo sereno e traffico intenso come segnalato dalla PG intervenuta, lungo un rettilineo in buone condizioni, a carreggiata unica con doppio senso di marcia, insistendo all'altezza del punto d'urto una fermata dell'autobus che la vittima, secondo quanto dichiarato dal marito, era solita prendere per recarsi al lavoro. Il punto d'urto era stato localizzato alla fine della traccia di frenata lasciata lungo la linea di mezzeria per 3, 25 metri sulla corsia del lato opposto di marcia e la velocità stimata in 105 Km/h, il pedone avendo compiuto l'attraversamento della semicarreggiata in circa 2 secondi: ove l'assunto difensivo offerto dall'imputato (strada libera e senza vetture) fosse stato vero, egli a maggior ragione avrebbe potuto tranquillamente avvistare il pedone per tempo, altresì avendo il GUP rilevato che il punto d'urto non era stato localizzato all'inizio dell'attraversamento, quindi sulla destra della corsia di marcia, bensì sulla linea di mezzeria. La conclusione che il (Soggetto 1) si fosse trovato in fase di sorpasso era stata tratta dalla sua posizione al centro della carreggiata come era emerso dalla traccia della frenata. Il primo giudice aveva poi esaminato la consulenza della difesa, rilevando, rispetto alle conclusioni di quel tecnico, che la velocità non era stata stimata ad esito dello sviluppo di un calcolo, sebbene i risultati dei due tecnici non fossero stati poi così dissimili: in particolare, il peso del motociclo non era stato stimato indicando, separatamente, quello del centauro o del carburante presente nel serbatoio); inoltre, la conclusione per la quale la responsabilità dell'impatto sarebbe stata unicamente del pedone era contraddetta dalla circostanza che la vittima aveva già percorso tutta la corsia di marcia impegnata dalla moto.

In via conclusiva, la velocità della moto non aveva avuto un rilievo unico e decisivo, dovendosi valutare la complessiva condotta del motociclista, pur con il concorso della vittima in misura paritaria: punto centrale dell'intera vicenda è stato ritenuto quello della prevedibilità e, quindi, evitabilità dell'impatto, avendo la difesa sostenuto l'assenza di responsabilità dell'imputato, per avere la vittima effettuato l'attraversamento senza accertarsi dell'assenza di mezzi. Lo stato dei luoghi ricavato dai dati certi acquisiti al processo consentiva di affermare la buona visibilità del pedone; la moto proveniva da un lungo rettilineo; il motociclista, avvistato il pedone, doveva ridurre la velocità; l'attraversamento era stato tutt'altro che imprevedibile.

Le generiche erano state negate in assenza di elementi positivi valutabili e in considerazione del comportamento processuale per non avere il (Soggetto 1) collaborato alla esatta ricostruzione della dinamica, fornendo una versione non credibile; inoltre, la circostanza che egli stesse guidando senza patente di guida, siccome già revocata, giustificava ampiamente la irrogazione della medesima sanzione anche nella specie, sì da interdirgli ulteriormente la guida di veicoli.

Dal canto suo, la Corte d'appello, esaminati i fatti alla stregua delle censure veicolate con il gravame, ha ritenuto la prospettazione difensiva superata dalla circostanza che la persona offesa aveva quasi ultimato l'attraversamento (ciò essendo stato desunto dalla localizzazione del punto d'urto e dal fatto che la donna era appena scesa dal bus per dirigersi presso il luogo di lavoro, sito sul lato opposto rispetto alla direzione di marcia del bus con il quale la stessa era giunta sul luogo); inoltre, ha valorizzato la localizzazione certa del punto d'urto, al termine della traccia di frenata impressa dal motociclo lungo la linea di mezzeria (vigente divieto di soprasso), rinvenuta al centro della carreggiata; tale localizzazione è stata ricondotta con verosimiglianza a una manovra di sorpasso. Richiamate le altre considerazioni svolte dal primo giudice, quelli del gravame hanno, poi, valorizzato la presenza della fermata segnalata del bus che aveva reso del tutto prevedibile la presenza di passeggeri scesi dal mezzo in fase di attraversamento della strada, ritenendo che il concorso causale dell'imputato era stato tutt'altro che marginale, la circostanza che egli guidasse senza patente, già revocatagli, oltre ai precedenti annoverati costituendo elementi che non consentivano il riconoscimento delle generiche.

3. La difesa ha proposto ricorso, formulando sette motivi.

Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento al canone di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, rilevando che i giudici territoriali avevano ritenuto solo verosimile e, quindi, non certo che il (Soggetto 1) nell'occorso fosse stato in fase di sorpasso.

Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione sul punto e anche sul ritenuto superamento del limite di velocità, rilevando che la traccia di frenata finiva al centro della carreggiata ma era iniziata lateralmente, il (Soggetto 1) avendo correttamente tenuto la destra e sterzato per evitare il pedone, così approntando una manovra di cautela e non di sorpasso deviando verso sinistra. Sotto altro profilo, la difesa ha contestato l'assunto ritenuto dai giudici secondo il quale il proprio consulente non avrebbe offerto gli indicatori del calcolo effettuato per stimare la velocità della moto, rilevando che essi erano rinvenibili nell'elaborato del tecnico, essendo stato stimato il peso complessivo moto/centauro in Kg. 280, laddove era stato il consulente della parte pubblica a offrire un calcolo solo approssimativo.

Con il terzo motivo, ha dedotto violazione dell'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle prove.

Con il quarto, ha dedotto vizio della motivazione quanto alla valutazione in ordine alla inevitabilità dell'evento in relazione al comportamento del pedone e al mancato svolgimento del giudizio controfattuale, essendo emerso che il pedone aveva iniziato l'attraversamento a distanza di soli 37 metri dal sopraggiungere del motociclo cosicché il (Soggetto 1) aveva avuto solo 1,60 secondi prima della collisione, entrambi i tecnici avendo riconosciuto che il tempo medio di reazione era pari a due secondi.

Con il quinto motivo, ha dedotto analogo vizio quanto alla valutazione sulla meritevolezza delle generiche, non avendo i giudici del merito spiegato l'influenza del comportamento processuale sul relativo giudizio, la ricostruzione offerta dall'imputato essendo stata confermata dalle consulenze.

Con il sesto motivo, ha dedotto violazione di legge, quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, non avendo i giudici valutato le conseguenze che lo stesso imputato ha riportato dall'incidente, essendo rimasto invalido al 60%.

Infine, con il settimo motivo ha dedotto vizio della motivazione quanto alla mancata spiegazione del ragionamento che ha condotto alla irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto F. C., ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. I primi quattro motivi sono tutti manifestamente infondati.

3. Le censure che attaccano il ragionamento giustificativo non sono precedute da un effettivo confronto con la decisione impugnata: la difesa ha ritenuto che la decisione si fondasse su un giudizio di verosimiglianza, laddove il ragionamento esplicativo contenuto nella sentenza impugnata (da leggersi necessariamente in uno con quello svolto dal giudice nella sentenza appellata, stante la conformità dei due giudizi), sia quanto alla regola violata che alla prevedibilità della presenza del pedone in attraversamento, è stato saldamente agganciato alle risultanze emerse dal compendio probatorio debitamente richiamato. La difesa, in termini di semplice dissenso, ha affermato che il giudice avrebbe dovuto optare per la tesi difensiva, piuttosto che per la ricostruzione operata dal consulente dell'accusa, del tutto coerente con gli esiti dei primi accertamenti, con lo stato dei luoghi e con le condizioni della viabilità.

Ha omesso di valutare la circostanza, ritenuta decisiva già dal primo giudice che, infatti, ha svalutato l'incisività della velocità del la moto, che la donna era già in fase avanzata di attraversamento e perfettamente visibile.

3.1. Orbene, a fronte di ciò, non può che ribadirsi, intanto, secondo quello che costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte di legittimità, che è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541/2020, F., Rv. 280027-04); e neppure può essere dedotta quale violazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. b) o lett. c), cod. proc. pen. la violazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza; cosicché essa potrà esser fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (sez. 6, n. 4119 del 3/4/2019, dep. 2020, R., Rv. 278196-02).

In ogni caso, tenuto conto del contenuto e del tenore delle censure, va pure riaffermata l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Sono, cioè, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482; n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099); e sono, dunque, inammissibili le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, C., Rv. 280747).

Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, M., Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, M., Rv. 253099).

Nella specie, in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro, alla condotta di guida del conducente e al comportamento della vittima, le censure difensive riprendono le doglianze prospettate al giudice d'appello, senza essere precedute da un effettivo confronto con le ragioni complessive che hanno indotto la Corte territoriale a disattenderle, fornendo delle proprie conclusioni una giustificazione congrua, logica e non contraddittoria, sia con riferimento alle regole di prudenza violate, tra le quali, quella che impone al conducente di adeguare la velocità alla situazione e alle condizioni della strada, ma anche con riferimento al principio dell'affidamento, sostanzialmente invocato per sostenere l'assoluta imprevedibilità della condotta della vittima.

3.2. Proprio con riferimento alla imprevedibilità del comportamento della vittima, peraltro, deve ricordarsi, ancora una volta rinviando ai principi più volte enunciati da questa Corte di legittimità, che il principio dell'affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché rientri nel limite della prevedibilità (sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, M., Rv. 263010-01, in cui la S.C. ha annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell'autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all'automezzo ed era stato investito dall'imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni Spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman). In particolare, proprio con riguardo ai limiti di velocità, l'obbligo di moderare adeguatamente la stessa, in relazione alle caratteristiche del veicolo, ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili (sez. 4, n. 25552 del 27/4/2017, L., Rv. 270176-01, in fattispecie analoga, in cui la Corte ha ritenuto ragionevolmente prevedibile la presenza, di sera, in una strada cittadina poco illuminata, in un punto situato nei pressi di una fermata della metropolitana, di persone intente all'attraversamento pedonale nonostante l'insistenza "in loco" di apposito sottopassaggio; n. 24414 del 6/5/2021, B., Rv. 281399-01).

4. Anche il quinto e il sesto motivo sono manifestamente infondati.

A fronte della motivazione, invero assai analitica contenuta nella sentenza appellata, la censura che attacca la motivazione della sentenza d'appello è del tutto generica, avendo la difesa opposto le conseguenze derivate dal sinistro allo stesso imputato, senza tuttavia considerare che era stata riconosciuta in prevalenza l'attenuante del concorso di colpa della vittima. I giudici del merito, inoltre, hanno motivatamente negato le generiche, dando conto di elementi in fatto certamente riconducibili ai parametri legali di cui all'art. 133, cod. pen. Sul punto, pare sufficiente un richiamo alla giurisprudenza di legittimità quanto all'onere motivazionale del giudice, per ritenerlo debitamente assolto nella specie, essendosi già chiarito che la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell'imputato, perché in tali modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (tra le altre, sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, D. C., Rv. 265826), purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall'interessato (sez. 3, n. 2233 del 17/6/2021, B., Rv. 282693).

Si è, peraltro, chiarito che la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi (sez. 1, n. 12624 del 12/2/2019, D., Rv. 275057-01). La concessione o meno delle attenuanti generiche rientra, invero, nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, S., Rv. 248737-01; sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959), esso potendo anche essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62 bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, N. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più addirittura sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (sez. 4, n. 32872 del 8/6/2022, G., Rv. 283489-01; sez. 3, n. 24128del 18/3/2021, D. C., Rv. 281590-01).

5. Anche il settimo motivo è manifestamente infondato.

È corretto che la Corte non ha affermato alcunché sulla sanzione amministrativa accessoria, ma è altrettanto evidente che il primo giudice aveva giustificato l'esercizio del suo potere discrezionale alla stregua della circostanza oggettiva dell'avere il (Soggetto 1) posto in essere la condotta di guida dalla quale è derivato il decesso della vittima senza essere munito di patente di guida, già stata revocata.

Il motivo di ricorso è del tutto aspecifico, non avendo la parte allegato alcun elemento fattuale che sia stato pretermesso nella valutazione confermativa che i giudici del gravame hanno formulato in punto sanzione amministrativa accessoria.

6. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (corte cost., n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Deciso il 13 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.

 

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