Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 8484 del 27 febbraio 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 8484 del 27/02/2023
Circolazione Stradale - Artt. 117, 141, 162 e 222 del Codice della Strada e 589 c.p. - Incidente stradale - Stato di pericolo in conseguenza di condotta di guida imprudente - Rapporto diretto di causalità tra condotta omissiva e produzione dell'evento mortale - Lo stato di pericolo costituito dall'arresto del veicolo condotto dal conducente nella corsia centrale del tratto autostradale è conseguenza della sua condotta di guida imprudente in considerazione dello stato di neopatentata, l'eccesso di velocità tenuto in autostrada, aver omesso di posizionare il triangolo ed indossare il giubbotto catarifrangente, segnalando così ai conducenti che sopravvivano, la presenza dell'ostacolo rappresentato dal proprio veicolo che occupava la carreggiata.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 11 febbraio 2020 la Corte di appello di (Omissis) confermava la sentenza del Tribunale di (Omissis) - Sezione distaccata di (Omissis) - del 21 gennaio 2013 che aveva dichiarato (Soggetto 1) responsabile del reato di cui agli artt. 113, 589, commi 1, 2 e 3, c.p. in danno di (Soggetto 2) e (Soggetto 3), riconosciuta la prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante, condannandola alla pena di giustizia, con concessione della sospensione condizionale della pena e non menzione. Applicava, ai sensi dell'art. 222 C.d.S., la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per mesi sei.

1.2. All'imputata era contestato il reato di cui agli artt. 113 c.p., art. 589 c.p., commi 1, 2 e 3, perché, nel territorio di (Omissis), il 9 giugno 2006, alla guida dell'autovettura Honda (Omissis), tg. (Omissis), percorrendo la carreggiata nord dell'autostrada A1, per imprudenza, negligenza imperizia ed inosservanza delle norme sulla circolazione stradale, procedendo ad una velocità pari a 142 km/h, superiore al limite di 130 km/h vigente sul tratto autostradale ed al limite di 100 km/h imposto ai conducenti nei primi tre anni di conseguimento della patente di guida, perdeva il controllo del mezzo, impattando con il guard-rail e fermando la propria marcia sulla corsia di percorrenza centrale, così da determinare ostacolo alla circolazione viaria, finendo per essere colpita dalla Lancia (Omissis), a bordo della quale viaggiavano le persone offese (Soggetto 2) e (Soggetto 3), che, dopo essersi fermata, veniva a sua volta colpita dalla vettura condotta da (Soggetto 4), che, viaggiando ad una velocità superiore ai 140 km/h, non azionava tempestivamente il sistema di frenatura. A seguito di tale ultima collisione, (Soggetto 2) e (Soggetto 3) riportavano lesioni personali gravissime dalle quali conseguiva la loro morte.

1.3. La Corte di appello di (Omissis), condividendo la ricostruzione del sinistro operata dal giudice di primo grado, attribuiva la responsabilità del decesso delle persone offese, secondo lo schema della cooperazione colposa contestata in imputazione, alla condotta di guida, gravemente imprudente, negligente ed imperita, della (Soggetto 1), che viaggiava ad una velocità superiore al consentito nel tratto autostradale ed in violazione dell'art. 117 C.d.S., nonché alla condotta di guida, altrettanto gravemente imprudente del (Soggetto 4), che, avendo la piena visibilità dell'ostacolo costituto dalla Lancia (Omissis), ferma dopo l'impatto nella corsia centrale, non frenava tempestivamente, così cagionando la collisione fatale per le vittime.

La Corte rilevava altresì che il giudice di primo grado aveva ritenuto la penale responsabilità della (Soggetto 1) individuando anche ulteriori profili di violazione di regole cautelari imposte dalla circolazione stradale, tratti dalle emergenze dibattimentali, consistenti nel non aver indossato l'imputata il giubbotto catarifrangente e posizionato il prescritto triangolo di segnalazione del pericolo, dopo essersi fermata ed essere scesa dalla autovettura, aspetti materiali della condotta ritenuti riconducibili alla contestazione in fatto del comportamento negligente ascritto all'imputata.

2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso la difesa della (Soggetto 1), articolando due motivi di doglianza.

3. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. e il vizio di motivazione, in relazione all'art. 606 lett. b) e c), rilevando la diversità del fatto per il quale era stata emessa condanna nei confronti dell'imputata rispetto alla contestazione cristallizzata in imputazione. Specifica al riguardo che nella contestazione si addebitavano all'imputata profili di colpa specifica, consistenti nella violazione degli art. 117 C.d.S., comma 2, e art. 141, comma 1, per aver violato i limiti di velocità consentiti in relazione al tratto autostradale ed alla condizione di neopatentata, mentre il giudizio di responsabilità si incentrava su condotte omissive consistenti nella violazione dell'art. 162 C.d.S., per non aver l'imputata posizionato il triangolo in dotazione e indossato il giubbotto catarifrangente, ritenendo la Corte di merito tali profili comunque riconducibili all'addebito, che, oltre a ricomprendere condotte colpose di natura specifica, faceva riferimento anche a violazioni di regole prudenziali rientranti nello schema della colpa generica.

Contesta, in particolare, la riconducibilità dei suddetti nuovi profili di addebito per violazione delle norme sulla circolazione ai profili di colpa generica dedotti in contestazione, in quanto dal capo di imputazione emergerebbe la sola contestazione di ben individuati profili di colpa specifica, per violazione dell'art. 117 C.d.S., comma 2, e art. 141 C.d.S., comma 1, ai quali non può essere in alcun modo ricollegata quella dell'art. 162 C.d.S..

Evidenzia altresì che nella ricostruzione del sinistro la sentenza impugnata individua diverse fasi, sino a ricollegare l'evento morte all'inottemperanza all'obbligo di posizionamento del triangolo ed all'aver omesso di indossare il giubbotto, così introducendo una causa naturalisticamente preliminare al tamponamento del veicolo condotto dal (Soggetto 4), in violazione del diritto di difesa.

4. Con il secondo motivo di ricorso deduce, in relazione all'art. 606, lett. b) e c), la violazione dell'art. 533 c.p.p., per assenza di prova della responsabilità dell'imputata oltre ogni ragionevole dubbio, e degli artt. 40 e 41 c.p. in tema di nesso di causalità, oltre alla carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, circa la indicata presenza di un mezzo pesante di colore rosso, la cui manovra e avrebbe cagionato la perdita del controllo della autovettura da parte della (Soggetto 1).

Prospetta la difesa una dinamica alternativa del sinistro sulla base delle indicazioni fornite nell'immediatezza alla polizia stradale dall'imputata e riscontrata, seppure genericamente, da uno dei presenti (il teste (Soggetto 5)) oltre che dalle tracce di colore sulla fiancata della autovettura condotta dalla (Soggetto 1).

Evidenzia, inoltre, i profili di criticità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla velocità stimata ed ai tempi di percorrenza del veicolo della (Soggetto 1), sulla base degli elementi introdotti dal consulente della difesa.

Medesime carenze, secondo la prospettazione della difesa, investirebbero la motivazione della sentenza in relazione alla seconda fase del sinistro innescata dai veicoli sopravvenuti, non avendo la Corte considerato la piena visibilità dell'ostacolo costituito dalla autovettura della (Soggetto 1), anche per la presenza di altre autovettura ferme, l'ampio lasso di tempo trascorso prima dell'impatto successivo, pari a circa 5/10 minuti secondo la ricostruzione fornita dall'imputata, e lo stato di shock post-traumatico in cui questa, ferita ad un braccio, in concreto versava.

Deduce, infine, sulla base delle predette circostanze fattuali, la carenza di un rapporto diretto di causalità tra la condotta omissiva tenuta dall'imputata, violativa dell'art. 162 C.d.S., e la produzione dell'evento mortale, atteso che, alle condizioni date, il rispetto della regola precauzionale non lo avrebbe evitato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. È infondato il primo motivo di ricorso.

1.2. Il principio di correlazione tra accusa e sentenza, per pacifica giurisprudenza, è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto la possibilità di effettiva difesa. Tale principio non è invece violato quando nei fatti, contestati e ritenuti, si possa agevolmente individuare un nucleo comune e, in particolare, quando essi si trovino in rapporto di continenza (ex multis, Sez. 4, n. 26925 del 04/06/2015, P., Rv. 263877 - 01).

In particolare, costituisce indirizzo consolidato che, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, P.C. in proc. D. L., Rv. 273265 - 01, con riferimento proprio alla fattispecie di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).

1.3. Nel caso di specie, secondo la ricostruzione operata dalla Corte di appello, sulla base dei rilievi della polizia stradale e della testimonianza del teste (Soggetto 5), intervenuto nella immediatezza per soccorrere la (Soggetto 1) sotto shock, lo stato di pericolo costituito dall'arresto del veicolo condotto dall'imputata nella corsia centrale del tratto autostradale è conseguenza della sua condotta di guida imprudente, per la sua condizione soggettiva di neopatentata, per l'eccesso di velocità alla quale viaggiava, pari a 142 Km/h, per la corsia di percorrenza impegnata all'atto del primo impatto, non tenendo la destra pur in condizioni di traffico scarso, ed ancora per aver omesso, dopo essere scesa dal veicolo fermo nella corsia centrale del tratto autostradale, di posizionare il triangolo e indossare il giubbotto catarifrangente, così da rendere manifesta la indotta situazione di pericolo e avvisare le vetture che sopravvivano della presenza dell'ostacolo rappresentato dal proprio veicolo, che occupava la carreggiata.

La Corte ha operato una precisa e minuziosa ricostruzione delle fasi successive di sviluppo del sinistro stradale con esito letale. L'ostacolo costituito dal veicolo l'Honda (Omissis) condotto dalla (Soggetto 1), fermo nella parte mediana dell'autostrada, innescava un ulteriore tamponamento, provocato dalla Lancia (Omissis) condotta da (Soggetto 2), con a bordo seduti sul sedile posteriore i genitori dello stesso, vittime del sinistro, che, non procedendo ad una velocità elevata, non riusciva ad evitare l'impatto con il veicolo fermo, fermandosi a sua volta al centro della carreggiata. L'impatto provocava lo spostamento dell'Honda (Omissis) per 24 metri verso la corsia di emergenza e l'innesco di un principio di incendio della Lancia (Omissis). A questo, seguiva un ulteriore evento collisivo, dovuto alla condotta imprudente del (Soggetto 4), che con la sua autovettura impattava la Lancia (Omissis), cagionando il decesso delle persone rimaste ferite a bordo della stessa.

Sul punto, la Corte di appello ha osservato che l'ostruzione della carreggiata, tanto più se a rapido scorrimento, determinata dalla perdita di controllo della autovettura della (Soggetto 1), costituisce fattore causale dei successivi eventi collisivi e l'eventuale condotta colposa dei veicoli sopraggiunti, seppur sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento, non realizzando una linea di sviluppo della condotta precedente del tutto imprevedibile ed anomala. La Corte ha così condiviso l'assunto del giudice di primo grado in ordine alla riconducibilità eziologica dei due decessi al concorso colposo della (Soggetto 1), in quanto la condotta violativa delle norme sulla circolazione stradale ha causato le successive collisioni e costituisce presupposto ineludibile di queste.

1.4. Il profilo di colpa specifica accertato in sentenza, costituito dalla omissione di qualsivoglia segnalazione del pericolo costituito dal veicolo fermo nella corsia centrale del tratto autostradale, in violazione delle prescrizioni di condotta imposte dall'art. 162 C.d.S., è certamente riconoscibile nella descrizione dell'addebito quale contenuta in imputazione. Non può, infatti, dubitarsi che tale omissione è logicamente ricollegabile, quale sviluppo prevedibile, all'antecedente fattuale, testualmente ricavabile dall’imputazione, di aver tenuto una condotta di guida imprudente superando i limiti di velocità oggettivamente e soggettivamente prescritti dalle norme sulla disciplina della circolazione stradale, che ha portato alla perdita di controllo del mezzo e a determinare la condizione di pericolo per gli altri veicoli derivante dalla situazione di impegno della sede stradale del veicolo fermo.

Appare in ogni caso dirimente il rilievo che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (se si fa, in altri termini, riferimento alla colpa generica ovvero a profili di colpa specifica non limitati a singole norme ma ad un intero complesso normativo, come accade nella specie attraverso il generico richiamo alla disciplina della circolazione stradale), essendo in tal caso consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (ex multis, Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, D., Rv. 260161; Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, M., Rv. 257902).

1.5. In proposito, come osservato dalla Corte di merito nella sentenza impugnata sullo specifico profilo già oggetto di censura in appello, la condotta posta in essere dalla (Soggetto 1) è stata oggetto di approfondita istruttoria dibattimentale, sicché costei ha avuto la possibilità di difendersi in ordine a tutti i profili di colpa formulabili a suo carico attinenti agli aspetti materiali della condotta

2. È altresì infondato il secondo motivo di ricorso.

2.1. Come s'è già detto esaminando il primo motivo, sulla base dei rilievi operati dalla polizia stradale e della testimonianza del teste (Soggetto 5), intervenuto nella immediatezza per soccorrere la (Soggetto 1) in stato di shock, appare manifesto che l'imputata non abbia tenuto una condotta di guida prudente, pur essendo neopatentata, in ragione dell'eccesso di velocità, superiore ai limiti, pur elevati, imposti dal tratto autostradale e di quelli connessi alla condizione soggettiva di neopatentata, nonché per la corsia di percorrenza impegnata all'atto del primo impatto, non tenendo la destra pur in condizioni di traffico scarso, sia ancora per aver creato una condizione di pericolo, omettendo di posizionare il triangolo e indossare il giubbotto catarifrangente, onde avvisare le vetture che sopravvivano della presenza del proprio veicolo fermo presente sulla corsia centrale, così creando le premesse fattuali per le successive inevitabili collisioni.

La Corte di appello, richiamando le risultanze dei rilievi della polizia stradale e della perizia infortunistica, non solo non ha ritenuto provata la ricostruzione alternativa della difesa dell'imputata, che ha prospettato di essere stata infastidita e costretta verso il guard-rail da mezzo pesante di colore rosso, poi allontanatosi, ma ne ha evidenziato la irrilevanza ai fini della causazione del sinistro, in ragione della condotta di giuda imprudente comunque tenuta dalla imputata che, seppur costretta dalla eventuale presenza del mezzo ingombrante, avrebbe potuto effettuare una manovra dissuasiva, evitando l'impatto con la barriera.

Ha, quindi, condiviso, nelle sue successive fasi, la dinamica degli impatti tra i veicoli esposta nella sentenza di primo grado, come sopra sinteticamente indicata.

2.2. Non può, sul punto, dubitarsi che le condotte tenute dalla (Soggetto 1) costituiscano palese violazione delle norme di prudenza e segnatamente di quella basilare, correttamente richiamata dalla Corte territoriale, poste dagli artt. 117 e 141 C.d.S., che, come già ricordato, fa obbligo agli utenti della strada, ed in particolare ai principianti, di rispettare i limiti di velocità. Dal mancato rispetto di una condotta di guida prudente è derivata la perdita di controllo del veicolo e il pericoloso ingombro della sede autostradale, ostruita nella parte centrale della carreggiata, non rimosso dalla imputata, ne’ evidenziato per i veicoli che sopraggiungevano.

In tale contesto, correttamente, i giudici di merito hanno ritenuto che la norma di riferimento da considerare, oltre al già sopra richiamato art. 141 C.d.S., quella dettata dall'art. 162 C.d.S., che impone al conducente di un veicolo fermo idoneo a costituire pericolo per la circolazione, ancor più se fermo sulla sede autostradale, in ogni caso, anche di giorno, di presegnalare la situazione di pericolo con il segnale mobile in dotazione dei veicoli, prescrizioni tutte che, per le ragioni dette, devono ritenersi palesemente violate.

2.3. Inoltre, quanto al contestato determinismo causale tra la condotta della (Soggetto 1) e l'evento morte delle persone che viaggiavano a bordo della Lancia (Omissis), veicolo che inizialmente ha impattato la autovettura della (Soggetto 1), arrestandosi, con un principio di incendio, nella corsia centrale del tratto autostradale, la Corte di appello ha osservato, con argomentazione coerente e priva di fratture logiche, che non vi è stata una interruzione del rapporto di causalità, in quanto la condotta posta in essere dal (Soggetto 4), conducente della Fiat (Omissis) sopraggiunta, nel definitivo impatto con la vettura a bordo della quale erano presenti le vittime, non è valsa ad innescare un percorso causale completamente autonomo.

L'iniziale ostruzione della carreggiata, tanto più se a rapido scorrimento, costituisce fattore causale dei successivi eventi collisivi, verificatisi in successione tra loro, ciascuno sviluppo prevedibile dello stato di pericolo costituito dall'ingombro, iniziale e successivo, della corsia centrale dell'autostrada, tale che la condotta colposa del conducente del veicolo sopraggiunto, seppur sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento, non realizzando una linea di sviluppo della condotta precedente del tutto imprevedibile ed anomala.

2.4. Con tali argomentazioni non si confronta la difesa dell'imputata, che ha sviluppato considerazioni di puro merito, non scrutinabili in sede di legittimità, a fronte della completezza e della tenuta logico-giuridica dell'apparato argomentativo posto a supporto della sentenza impugnata.

2.5. Va rammentato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovo e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).

Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché - come nel caso in esame - siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (per tutte, Sez. Un. 24 del 24/11/1999, S., Rv. 214794).

Più in particolare, è stato sottolineato come, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il controllo di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, B. e altri, Rv. 255542).

Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto, risultando preclusa la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

2.6. La Corte distrettuale ha puntualmente rivalutato il medesimo compendio probatorio già sottoposto al vaglio del giudice di primo grado e, dopo aver esaminato analiticamente le censure dell'appellante, in punto di ricostruzione del sinistro e di nesso eziologico, ha riconosciuto, con motivazioni congrue e logiche e nel rispetto delle norme di legge, la sussistenza di profili di responsabilità dell'imputata, riconoscendo il concreto apporto concausale della sua condotta imprudente e violativa delle norme sulla circolazione stradale alla causazione dell'evento mortale.

2.7. Incensurabile sul piano della motivazione, e conforme ai principi di diritto applicabili alla fattispecie, è l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui "nessun dubbio (...) sussiste in ordine alla riconducibilità eziologica dei due decessi al concorso colposo delle condotte di entrambi gli imputati", in quanto la velocità di marcia del (Soggetto 4), per quanto eccessiva, non può considerarsi elemento imprevedibile ed eccezionale idoneo da solo determinare l'evento, bensì costituisce causa concorrente che, ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 1, che non esclude il rapporto di causalità.

Varrà al riguardo rammentare che, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che, quando il conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio dei successivi eventi collisivi, l'eventuale condotta colposa (eccessiva velocità, mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento tutte le volte in cui non sia qualificabile come atipica ed eccezionale ma sia collocabile nell'ambito della prevedibilità. Essa potrà al più essere considerata alla stregua di un concorso colposo nella determinazione dell'evento (Sez. 4, n. 10676 del 11/02/2010, E., Rv. 246422).

Ancora, non può ritenersi escluso il nesso causale con l'evento dannoso in ragione dell'affidamento riposto nel comportamento del conducente antagonista, ovvero nell'aspettativa che questi possa essere in grado di fronteggiare le conseguenze dell'altrui illecita condotta.

In tema di rapporto di causalità non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate regole precauzionali o per aver omesso determinate condotte confidando che altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a prevenirlo; in tal caso, difatti, l'omessa attivazione dell'altro non si configura come fatto eccezionale ed imprevedibile sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento (Sez. 4, n. 38671 del 28/09/2009, P., Rv. 244886).

La misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare la intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, peraltro assolutamente indispensabile alla vita sociale e sempre più in espansione, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l'obbligo di preoccuparsi delle possibili irregolarità di comportamento di terze persone.

Il principio dell'affidamento dunque, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell'opposto principio, secondo cui l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità (v. ex multis Sez. 4, n. 27350 del 23/05/2013, F., non massimata; Sez. 4, n. 17481 del 14/02/2008, N., non massimata).

2.8. Alla stregua di tali considerazioni le censure mosse dalla ricorrente appaiono del tutto prive di fondamento posto che la condotta imprudente del (Soggetto 4), soprattutto su un tratto autostradale, non presenta i caratteri di assoluta imprevedibilità, come sopra illustrato, tale da interrompere il determinismo causale innescato dalla prima condotta di guida imprudente e violativa delle norme del codice della strada, e non può ritenersi di per se’ sola sufficiente alla produzione dell'evento dannoso, la cui eziologia deve essere invece ricercata nel pericolo costituito dal veicolo della (Soggetto 1) non segnalato, fermo al centro della carreggiata autostradale, senza il quale non si sarebbero neppure verificate le condizioni per le successive collisioni, che ne costituiscono concretizzazione.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, conseguendone la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2023.

 

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