Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 7869 del 23 febbraio 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 7869 del 23/02/2023
Circolazione Stradale - Artt. 186 e 193 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica - Incidente stradale - Circostanze attenuanti - Azione di risarcimento - Danno riparato prima del giudizio - Infondatezza - La circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno non è applicabile al reato di guida in stato di ebbrezza alcolica in caso di avvenuto risarcimento del danno correlato alle lesioni che ne sono conseguite, in quanto la causazione di lesioni a terzi, pur essendo una possibile conseguenza della condotta di guida in stato di alterazione, non costituisce effetto normale di tale reato. Il risarcimento del danno esaurisce la propria rilevanza sul piano civilistico e può naturalmente essere tenuto presente dal giudice ai fini della dosimetria della pena e nella modulazione del trattamento sanzionatorio.
RITENUTO IN FATTO - CONSIDERATO IN DIRITTO
1. (Soggetto 1) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 186, commi 2, lett. c), e 2-bis, cod. strada.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta della difesa di concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen.
Quest'ultima avrebbe dovuto essere riconosciuta, poiché si è ritenuto, in giurisprudenza, che l'ambito di applicabilità di tale attenuante, a differenza di quello della circostanza di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen., si estenda al danno che può derivare da qualsiasi reato, indipendentemente dall'offesa al bene giuridico protetto, sicché questa circostanza è del tutto svincolata dall'oggettività giuridica del reato al quale accede.
Hanno infatti ritenuto le Sezioni unite che ciò che rileva ai fini dell'attenuante in esame è il danno cagionato dal reato, che nel suo significato più proprio è quello giuridicamente rilevante, cioè quello per cui è data l'azione di risarcimento, e non l'evento costitutivo del reato, consistente nella lesione o messa in pericolo di interessi, non valutabile economicamente. Anche la Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità dell'art. 62 n. 6, prima parte, cod. pen., ha sollecitato un'interpretazione adeguatrice della norma nel senso che l'attenuante sia applicabile anche quando il risarcimento venga corrisposto dall'ente assicuratore.
Ed ancora le Sezioni unite hanno stabilito che nel reato di guida in stato di ebbrezza la condotta riparatoria può consistere anche nell'aver stipulato un'assicurazione e rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivanti dall'attività pericolosa. Non può dunque essere posta in dubbio l'applicabilità dell'art. 62 n. 6 cod. pen. al reato di guida in stato di ebbrezza e infatti, in questa prospettiva, la giurisprudenza ha specificato che il risarcimento può essere operato anche da un soggetto terzo e deve ritenersi effettuato personalmente dall'imputato ogni qualvolta quest'ultimo ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio.
Nel caso di specie risulta provato dalla produzione documentale che il danno è stato riparato prima del giudizio e che può ritenersi assolutamente congruo, atteso che non vi sono stati danni fisici alla persona e che il danno all'autovettura si è risolto in una ammaccatura al paraurti.
In merito alle argomentazioni difensive in ordine alla concedibilità della predetta attenuante la Corte d'appello non ha quindi adeguatamente motivato.
3. La censura è manifestamente infondata.
La contravvenzione di guida in stato di ebbrezza è un reato di mera condotta, in quanto per l'integrazione degli estremi di tale illecito penale è sufficiente la conduzione di un veicolo su strada dopo aver assunto sostanze alcoliche. Si tratta inoltre di un reato di pericolo astratto o presunto, in quanto il giudice deve accertare esclusivamente se l'imputato, quando si è posto alla guida, aveva un tasso di alcool nel sangue superiore a determinate soglie.
Esula pertanto dall'accertamento giudiziale la verifica dell'effettiva messa in pericolo del bene giuridico protetto, ravvisabile nella sicurezza della circolazione stradale (Sez. 3, n. 23114 del 19/4/2007, Rv. 237069, secondo cui la legge punisce la mera condotta di circolazione sulla pubblica via alla guida di un veicolo in condizioni di ebbrezza, onde nessuna incidenza può avere l'eventuale occasionalità dello stato di ebbrezza e l'intensità del danno o del pericolo causato). A maggior ragione, pertanto, esula dagli elementi strutturali della fattispecie incriminatrice in disamina la causazione di un danno. Quest'ultimo può in rerum natura verificarsi allorché ricorra l'ipotesi di cui al comma 2 bis dell'art. 186 cod. strada, relativa all'aver provocato un incidente stradale.
Ma si tratta, come è noto, di un'aggravante e quindi di un elemento accidentale del reato, estraneo agli elementi costitutivi della fattispecie. E, infatti, in quest'ordine di idee, si è ritenuto, in giurisprudenza, che la circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno non sia applicabile al reato di guida in stato di ebbrezza in caso di avvenuto risarcimento del danno correlato alle lesioni che ne sono conseguite, in quanto la causazione di lesioni a terzi, pur essendo una possibile conseguenza della condotta di guida in stato di alterazione, non costituisce effetto normale di tale reato, secondo il criterio della c.d. regolarità causale (Sez. 4, n. 31634 del 27/04/2018, Rv. 273083 - 01), correttamente richiamato anche dal giudice a quo.
Ne deriva che il risarcimento del danno esaurisce la propria rilevanza sul piano civilistico e può naturalmente essere tenuto presente dal giudice ai fini della dosimetria della pena e, più in generale, della modulazione del trattamento sanzionatorio ma non esplica alcuna efficacia nell'ottica delineata dal disposto dell'art. 62 n. 6 cod. pen.
4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 25 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2023.
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