Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 6154 del 14 febbraio 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 6154 del 14/02/2023
Circolazione Stradale - Art. 141 del Codice della Strada e art. 589 c.p. - Omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale - Velocità - Eccesso di velocità relativa - In tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, il giudice, nel formulare il proprio apprezzamento sull'eccesso di velocità relativa, ovvero non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocità, non è tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocità accertata è ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Palermo, pronunciando sul gravame nel merito proposto dall'odierno ricorrente (Soggetto 1) e dal responsabile civile (Soggetto 2) Assicurazioni spa, con sentenza del 17/12/2020, ha confermato la sentenza con cui il 1/12/2019 il giudice monocratico del Tribunale di (Omissis), concessegli le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante di cui all'art. 589 co. 2 cod. pen. aveva condannato l'imputato alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con sospensione della patente di guida, oltre, solido con il responsabile civile, al risarcimento del danno alle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale a loro favore di 20.000 euro ciascuna.
Ciò in quanto ritenutolo responsabile del reato di cui all'art. 589 co. 2 cod. pen. perché, percorrendo la SS (Omissis) all'altezza del Km 6,100, alla guida dell'autovettura Mercedes (Omissis) tg (Omissis), per negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per colpa specifica, consistita nel tenere una velocità pari a circa 120 Km/h, laddove il limite imposto era pari a 90 km/h, e comunque mantenendo una velocità ed una condotta di guida del tutto inadeguate in relazione all'orario serale (ore 19 circa) ed allo stato dei luoghi (in considerazione dell'assenza di illuminazione pubblica, della presenza di numerose curve e della presenza di abitazioni sul lato della strada stessa), il tutto in violazione, fra l'altro, degli artt. 140, 141, 142 d.lgs. 285/92 (Cod. Strada) cagionava la morte del pedone (Soggetto 3); in particolare, mentre quest'ultima stava attraversando la strada al fine di raggiungere l'ingresso della propria abitazione, lo (Soggetto 1) la investiva con violenza, proiettandola in avanti per circa 17,50 metri, non riuscendo ad evitarla in ragione della velocità sostenuta e comunque impedendo alla stessa (Soggetto 3) di avvedersi del sopraggiungere dell'autovettura e di spostarsi per tempo dalla sede stradale. Con l'aggravante di aver commesso il fatto con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. In (Omissis) l'8/1/2014.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, lo (Soggetto 1), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un unico motivo il ricorrente lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e "travisamento del fatto" (così in ricorso).
Il ricorrente evidenzia che la Corte territoriale richiama più volte nella sua motivazione le dichiarazioni dell'imputato sulla velocità tenuta nel tratto di strada in cui si è verificato l'incidente ("l'imputato ha reso dichiarazioni confessorie... al momento dell'incidente teneva una velocità di 65/70 km orari..."). E nella sua motivazione ritiene tale dichiarazione addirittura prevalente su qualsiasi esame sull'opportunità di procedere ad un ulteriore accertamento della dinamica del sinistro a mezzo di una perizia collegiale (richiesta espressamente dagli appellanti anche in tale grado di giudizio), pur ammettendo che le conclusioni alle quali sono pervenuti i periti contrastano tra loro, anche in ordine alla tenuta velocità al momento dell'impatto.
La Corte - ci si duole in ricorso - avrebbe del tutto travisato il tenore della dichiarazione dell'imputato resa nel corso dell'esame. Secondo il ricorrente, com'è dato rilevare da un'attenta lettura dell'intera trascrizione, quella dell'imputato non è stata un'affermazione di verità, bensì una sua desunzione (quindi un convincimento) per altro fornita a distanza di cinque anni dal fatto. A conferma di ciò l'imputato ha anche aggiunto perché così ha risposto: "...in quel tratto di strada non si può andare più veloce".
Ancora, visto il tempo trascorso, cosa diversa sarebbe stata se fosse stata assunta a sostegno della decisione (anche sotto forma di indizio) una dichiarazione resa dall'imputato nell'immediatezza dei fatti.
Giuridicamente - si legge in ricorso - la confessione può essere qualificata tale solo se si riferisce ad un'azione specifica commessa dall'imputato ("... ho frenato. non ho frenato ... l'ho vista..., non l'ho vista..."), ma non ad una sua percezione. Cosa diversa se l'imputato avesse detto: il tachimetro della mia autovettura segnava 65\70 Km.
Avrebbe errato la Corte territoriale perché, in ogni caso, la confessione nel processo penale deve essere valutata sempre alla stregua di un indizio e non di una prova vincolante, nel senso che essa deve trovare riscontro in altri elementi raccolti, come ad esempio le testimonianze di altre persone oppure gli oggetti sequestrati come corpo del reato, in quanto è assai rischiosa una condanna penale basata unicamente sulle dichiarazioni dell'imputato.
Nel caso in specie la Corte del merito - ci si duole - non ha fornito alcuna correlazione di tale suo convincimento basato sulla presunta confessione dell'imputato rispetto: a. alla deposizione della moglie dell'imputato (passeggera che si trovava al suo fianco) che ha chiaramente riferito di una condotta moderata della velocità ed anche del suo mancato avvistamento della vittima (anzi non si accorse nemmeno lei dell'investimento); b. alla deposizione della teste (Soggetto 4) (unica che ha riferito della dinamica dell'investimento nei particolari perché seguiva l'attraversamento della vittima) che non ha per nulla riferito di una velocità sostenuta dell'autovettura condotta dall'imputato; c. alle diverse conclusioni sulla velocità tenuta dall'auto investitrice alle quali sono pervenuti i periti.
La Corte territoriale sarebbe, altresì, caduta in errore (pag. 10 della sentenza impugnata) nell'assumere ancora una volta a base della richiesta prudenza all'imputato nella guida le due circostanze: a. la prima, che fosse un tratto di strada con diverse case di abitazione: circostanza questa che non si rileverebbe, in assoluto, da nessun accertamento; anzi sarebbe proprio la deposizione della teste (Soggetto 4) a confermare che accompagnò la vittima perché abitava in luogo isolato e fuori dal centro urbano; b. la seconda, che i fari accesi dell'autovettura della (Soggetto 4) avrebbero dovuto allertare l'imputato.
La prima avrebbe determinato una motivazione fondata su un fatto non acclarato in giudizio, oltre che non vero.
La seconda, al contrario, valorizzerebbe la tesi dell'imputato che cioè non potesse essere in ogni caso avvistata in tempo la vittima che transitò dietro il fascio di luce dei fari e non davanti, evidenziando l'illogicità della motivazione assunta per la conferma della condanna.
Avrebbe comunque errato la Corte territoriale a porre a fondamento della sua decisione le regole di comportamento di cui all'art. 141 cod. strada, posto che il mancato - o comunque impreciso - accertamento della velocità tenuta dall'auto dell'imputato: a. non consente di individuare il comportamento alternativo lecito cui si sarebbe dovuto attenere l'imputato; b. non consente di stabilire se egli potesse o meno arrestare il suo veicolo in tempo per poter evitare l'impatto con la vittima, la quale, come univocamente emerso (e come riconosciuto dalla stessa Corte d'appello), eseguì l'attraversamento in maniera imprudente, repentina e al di fuori di un punto di attraversamento consentito (ad esempio strisce pedonali), sbucando da dietro un veicolo fermatosi in un punto (tra l'altro nemmeno accertato con esattezza) della corsia di marcia opposta a quella di pertinenza dell'imputato, con i fari accesi, in una strada che - secondo quanto si ricava in atti - non era abitualmente frequentata da pedoni.
Nel caso in specie la regola cautelare che la Corte assume essere stata violata - si legge in ricorso - doveva essere determinata sulla base dell'acquisizione di elementi più precisi e affidabili, e non esclusivamente sulla base di generiche asserzioni circa regole di prudenza ipoteticamente violate e di contrastanti conclusioni dei periti.
Il ricorrente, pertanto, chiede annullarsi la decisione impugnata che ha condannato per omicidio colposo l'imputato che percorreva a velocità consentita il tratto di strada dove si è verificato l'incidente, stante che è stato accertato come il pedone avesse repentinamente e con comportamento non prevedibile attraversato la strada, perché non è stato accertato oltre il ragionevole dubbio il comportamento tenuto dal conducente e non è stato nemmeno accertato se il comportamento alternativo cui si sarebbe dovuto attenere il conducente lecito secondo la ricostruzione del decidente) avesse a lui consentito comunque di arrestare il suo veicolo in tempo per poter evitare l'impatto.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale - non essendo stata chiesta la trattazione in pubblica udienza - il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e l'Avv. (Soggetto 5) nell'interesse dello (Soggetto 1) che ha insistito per l'accoglimento dello stesso e ha chiesto valutarsi la prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Ed invero, con l'unico profilo di censura si operano contestazioni generiche alla sentenza impugnata a fronte del carattere di impugnazione a critica vincolata del ricorso per cassazione. Inoltre, la censura avanzata, oltre ad essere fortemente orientata verso un non consentito riesame nel merito, finisce per essere in larga misura meramente reiterativa delle stesse questioni agitate in appello e motivatamente disattese dai giudici del grado, senza che i relativi apporti argomentativi abbiano formato oggetto di un'autonoma e articolata critica impugnatoria, in tal modo finendo per incorrere nel vizio di aspecificità.
Le censure del ricorrente, in altri termini, si sostanziano in una sollecitazione alla rivalutazione del fatto, non consentita in questa sede di legittimità, e nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. E' evidente, infatti, come la Difesa, pur riportando ampi brani della motivazione della sentenza impugnata, non si confronti affatto con la ratio decidendi della statuizione censurata, limitandosi a contrapporre una dinamica alternativa del sinistro a quella accertata in modo condiviso dai giudici di primo e secondo grado.
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Va peraltro ricordato che, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia - valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente - è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (ex multis Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, B., Rv. 271679; Sez. 4, n. 10335 del 10/2/2009, P., non mass.; Sez. 4, n. 43403 del 17/10/2007, A., Rv. 238321). E in altra condivisibile pronuncia si è chiarito che sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia quali la valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, l'accertamento delle relative responsabilità e la determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente (Sez. 4, n. 37838 del 01/07/2009, T., Rv. 245294).
3. È necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall'art. 606, co. 1, lettera e), cod. proc. pen., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo Collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte di legittimità, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, come fa il ricorrente, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. ex multis Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Rv. n. 253099).
Non va trascurato che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta da/la L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, G., Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, N., Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, C. ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, L. G. ed altro, Rv. 269217).
4. I motivi proposti in punto di responsabilità sono manifestamente infondati in quanto non risponde al vero, come sostiene il ricorrente, che i giudici del merito abbiano fondato le loro valutazioni in ordine alla velocità tenuta dall'imputato esclusivamente sulle sue dichiarazioni. Queste ultime, come si evince chiaramente a pag. 6 del provvedimento impugnato, sono state tenute nel debito conto, ma, come chiaramente esplicita il giudice del gravame del merito nella pagina successiva, sono state ritenute confermative degli accertamenti e delle conclusioni del perito e tali da rendere evidente la superfluità di un nuovo ulteriore accertamento peritale invocato sia dal difensore dell'imputato che da quello del responsabile civile.
Come si ricorda a pag. 2 del provvedimento impugnato, già il primo giudice aveva riportato le analisi e le conclusioni del perito (Soggetto 6), il quale aveva evidenziato che nel tratto di strada in cui avvenne l'investimento vi è il limite generale di velocità di 90 km/h, che la strada era caratterizzata da curve e tornanti ed è interessata ad attraversamenti con vie che conducono ad abitazioni sparse nella campagna circostante, che su entrambe le carreggiate erano posti il segnale di pericolo indicante una doppia curva pericolosa, che la strada è molto buia in orario notturno e che la visibilità è molto limitata per l'assenza di illuminazione pubblica.
Il perito, si dà atto in sentenza, ha stimato la velocità della vettura condotta dall'imputato in 120 km/h, calcolandola applicando la formula del "lancio balistico", come illustrato in dettaglio nell'elaborato peritale. Lo stesso ha peraltro precisato di avere calcolato la velocità con criteri prudenziali e specificato che non furono rinvenute dai carabinieri tracce di frenata sulla sede stradale.
Già la sentenza di primo grado aveva altresì dato atto, oltre che delle conclusioni del consulente tecnico della parte civile (che aveva indicato la velocità tenuta dal veicolo investitore in oltre 100 km/h), delle discordanti conclusioni dei consulenti tecnici della difesa che avevano contestato l'utilizzabilità del metodo del lancio balistico nel punto dove era avvenuto l'investimento e avevano individuato in 46 km/h la velocità di marcia del veicolo investitore.
Il medesimo perito (Soggetto 6) - come ricorda la sentenza impugnata a pag. 4 aveva dato atto che se il veicolo avesse viaggiato a 50 km/h il conducente avrebbe potuto frenare e rallentare; e comunque l'impatto avrebbe avuto conseguenze ben diverse. E aveva indicato in 30 km/h la velocità da tenere in quel tratto di strada in quanto vi sono numerose abitazioni sparse nella campagna circostante.
La sentenza collocata si colloca, pertanto, nel solco del consolidato dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilità di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicché, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016, T., Rv. 265981; conf. Sez. 4, n. 34747 del 17/5/2012, Rv. 253512; Sez. 4, n. 45126 del 6/11/2008, Rv. 241907; Sez. 4, n. 7591 del 20/5/1989, Rv. 181382).
5. Le dichiarazioni dell'imputato, secondo cui egli al momento dell'investimento teneva una velocità di 65-70 km/h, sono state, dunque, legittimamente ritenute corroborare il dato tecnico; e comunque, con motivazione logica e congrua, i giudici di merito hanno ritenuto, conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità che la velocità tenuta non fosse comunque adeguata rispetto a quel tratto di strada e quindi violativa non solo dei profili di colpa generica contestati ma anche del profilo di colpa specifica riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall'articolo 141 del codice della strada.
La sentenza impugnata opera un buon governo del costante orientamento di questa Corte secondo cui in tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, l'obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili e ciò a prescindere da eventuali limiti fissati nel tratto percorso: ciò significa che, nel formulare il proprio apprezzamento sull'eccesso di velocità relativa - vale a dire su una velocità non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocità - il giudice non è tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocità accertata è ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale.
Peraltro, la contestazione del profilo di colpa specifica di cui all'art. 141 cod. strada non necessita che sia individuata la specifica velocità di marcia, ma reputa sufficiente che si proceda ad una velocità non adeguata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo in cui il mezzo si trovava a circolare (pioveva, come detto, si era di sera e perciò, come legge a pag. 8 della sentenza di primo grado "le condizioni climatiche erano certamente avverse, ma non assolutamente improvvise od eccezionali da escludere del tutto la visibilità".
Ciò anche perché - va qui ribadito - in tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, il rispetto del limite massimo di velocità consentito non esclude la responsabilità del conducente qualora la causazione dell'evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall'art. 141 cod. strada (così la recente Sez. 4, n. 7093 del 27/1/2021, D. L., Rv. 280549 che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità per omicidio colposo, ai danni di un pedone, del conducente che, pur viaggiando a velocità moderata, aveva omesso, attese le condizioni metereologiche avverse, il centro abitato e la ridotta visibilità, di tenere una condotta di guida tale da potergli consentire di avvistare per tempo il pedone ed arrestare il mezzo).
L'art. 141 cod. strada impone al conducente di un veicolo di regolare la velocità in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e prevede inoltre che il conducente deve conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l'arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità.
E questa Corte di legittimità ha anche chiarito che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, n. 25552 del 27/4/2017, L., Rv. 270176, che ha ritenuto ragionevolmente prevedibile la presenza, di sera, in una strada cittadina poco illuminata, in un punto situato nei pressi di una fermata della metropolitana, di persone intente all'attraversamento pedonale nonostante l'insistenza "in loco" di apposito sottopassaggio).
Ed è anche vero che, nel formulare il proprio apprezzamento sull'eccesso di velocità relativa - vale a dire su una velocità non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocità - il giudice non è tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocità accertata è ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale (cfr. Sez. 4, n. 8526 del 13/2/2015, D. L. C., Rv. 262449, in una fattispecie in cui l'imputato aveva mantenuto una velocità prossima, per difetto, al limite vigente nel tratto stradale interessato dal sinistro, valutata, tuttavia, non adeguata in considerazione della scarsa visibilità notturna, della prossimità sia alle strisce pedonali sia all'intersezione con altra strada nonché della presenza a bordo del motociclo da lui condotto di un passeggero privo di casco).
Va evidenziato, peraltro, essere del tutto generico il tema riproposto in questa sede di un comportamento imprevedibile o anomalo della persona offesa, già argomentatamente e motivatamente confutato a pag. 7 della sentenza impugnata, ove si è precisato che andava valutato che in quel tratto di strada ci sono cancelli di accesso ad abitazioni e anche case; e che anche un animale può attraversare la sede stradale, diventando un fattore di pericolo per la circolazione stradale e per l'incolumità degli utenti della strada.
Con tali argomentazioni il ricorso non si confronta criticamente.
6. Sulla richiesta avanzata in sede di conclusioni scritte dall'avvocato (Soggetto 5), va evidenziato che i fatti di cui al presente processo risalgono all'8/1/2014 e che non è maturata alcuna prescrizione, dovendosi tener conto, in relazione al reato per cui si procede, del raddoppio dei termini di prescrizione di cui all'articolo 157 co. 6 del codice penale.
Va in proposito ricordato che, in tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, sussiste un rapporto dì continuità normativa tra la circostanza oggettiva ad effetto speciale prevista dall'art. 589 cod. pen., formalmente abrogata dalla legge 23 marzo 2016, n. 41, e l'autonoma fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 589-bis cod. pen., in quanto la predetta circostanza aggravante è stata pedissequamente riprodotta quale elemento costitutivo della nuova fattispecie incriminatrice (così Sez. 3, n. 15238 del 19/2/2020, M., Rv. 279383, che ha ritenuto, in virtù della predetta continuità normativa, la correttezza del raddoppio del termine di prescrizione ai sensi dell'art. 157, comma sesto cod. pen. per il reato di omicidio colposo commesso sotto il vigore della previgente normativa).
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 25 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2023.
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