Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 583 del 11 gennaio 2023

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 583 del 11/01/2023
Circolazione Stradale - Art. 140 del Codice della Strada e art. 590 del c.p. - Incidente stradale - Lesioni personali colpose - Inosservanza delle regole di generica prudenza, perizia e diligenza - Principio di colpevolezza - Nesso causale tra la condotta del soggetto e la prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso - Il principio di colpevolezza impone una verifica più complessa, su piani diversi, riguardanti l'accertamento in concreto della sussistenza della violazione, da parte del soggetto, di una regola cautelare (generica o specifica), del nesso causale tra la condotta ascrivibile al soggetto e l'evento e della prevedibilità e evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mira a prevenire verificando, in tal modo, non solo la causalità della condotta, ma anche la idoneità del comportamento alternativo lecito a scongiurare l'evento e la verifica della cd. concretizzazione del rischio.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Bari ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di (Omissis), con la quale (Soggetto 1) era stato condannato per il reato di cui all'art. 589, commi 1, 2 e 4, cod. pen., perché, dopo che era divampato un incendio nei campi ubicati a destra dell'autostrada (Omissis) ad unica carreggiata e a doppio senso di marcia, a ridosso del tratto autostradale e in assenza di un'area sgombra da vegetazione, per colpa generica e in violazione dell'art. 140 codice strada, alla guida di un autoarticolato con trattore e semirimorchio, aveva proseguito la marcia, addentrandosi incautamente nel banco di fumo addensato sulla carreggiata in condizioni di scarsa visibilità, così cagionando la morte di (Soggetto 2) e (Soggetto 3) e lesioni ai passeggeri di altre due autovetture sopraggiunte nella stessa direzione di marcia (in (Omissis) il (Omissis), con decesso del (Soggetto 3) il (Omissis)).

2. La difesa dell'imputato ha proposto ricorso, formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione per travisamento probatorio e contraddittorietà, con riferimento a vari punti della decisione: non era stato dimostrato che, nell'occorso, fosse stato l'imputato a immettersi nella coltre di fumo e non fosse stata, invece, la stessa ad avvolgerlo, avendo il (Soggetto 1), una volta notata la nube, iniziato a decelerare per poi arrestarsi del tutto; il fumo era stato sospinto dal vento in direzione dei veicoli sopraggiungenti, la stessa Polizia stradale avendo constatato, 15 minuti dopo il sinistro, che il luogo dell'evento era totalmente avvolto nella nube di fumo; i conducenti degli altri mezzi avevano riferito che la coltre di fumo era stata un evento improvviso; il loro comportamento, a seguire il ragionamento censurato, sarebbe stato anomalo, poiché si sarebbero "buttati" nella coltre di fumo che impediva ogni visibilità. L'insieme di tali elementi e la conseguente incertezza probatoria che ne deriverebbe, sarebbero idonei a far escludere la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta contestata e gli eventi, nel senso che, anche a voler ritenere la prova della condotta anti giuridica (l'essersi, cioè, il (Soggetto 1), introdotto nella nube di fumo denso), altre cause avevano avuto efficacia deterministica (lo stesso fumo nero e la condotta di guida altrui), non potendosi, su piano controfattuale, escludere che l'incidente avrebbe avuto luogo ugualmente senza la condotta dell'imputato, lo spostamento del fumo avendo coinvolto anche i mezzi sopravvenuti.

Con il secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione quanto all'operato vaglio della responsabilità alla stregua della regola di cui all'art. 531, comma 1, cod. proc. pen.: le certezze che hanno indotto i giudici d'appello a confermare la sentenza appellata deriverebbero, da un lato, dalla totale e ingiustificata irrilevanza assegnata alle risultanze del rapporto della Polizia stradale; dall'altro, dall'errata valutazione del movimento della coltre di fumo. L'incertezza su tali dati rilevanti era dimostrativa, quantomeno, di un quadro probatorio contraddittorio, altamente insufficiente a dimostrare la responsabilità dell'imputato.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Silvia SALVADORI, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso con le conseguenti statuizioni ex art. 616 c.p.p.

4. Il difensore ha depositato propria memoria, con la quale, rilevata la prescrizione del reato, che assume maturata già alla data della sentenza impugnata, ha insistito per l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate nel ricorso avverso la sentenza di secondo grado, con la pronuncia di ogni altro provvedimento utile e conseguenziale all'accoglimento stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va accolto nei termini che si vanno a esporre, precisandosi, in via preliminare, l'erroneità dell'assunto difensivo secondo cui sarebbe maturato il termine di prescrizione, avuto riguardo alla data del commesso reato ((Omissis)) e al combinato disposto di cui agli artt. 157 e 161, cod. pen., in base al quale il termine stesso deve essere raddoppiato (anni dodici, quindi, più tre anni ai sensi dell'art. 161 cit.) e si consumerà non prima del luglio (Omissis).

2. La Corte d'appello ha ritenuto priva di pregio la tesi difensiva per la quale, nella specie, non sarebbe stata posta in essere dall'imputato una condotta imprudente o in violazione della regola di cui all'art. 140, codice strada, ritenendo provato, di contro, sulla scorta della stessa verificazione dell'incidente a catena, che l'offesa alla visibilità per i veicoli sopraggiungenti era derivata dalla "franca" violazione del dovere di prudenza di cui all'art. 140 cit., lo stesso imputato avendo affermato nell'immediatezza di aver notato il fumo denso che aveva impedito di vedere oltre. Secondo i giudici territoriali, la tesi per la quale l'imputato non avrebbe impegnato il banco di fumo, ma sarebbe stato da esso improvvisamente avvolto, sarebbe smentita dal rapporto della Polizia stradale, dal quale era emerso che dopo 15 minuti dal verificarsi del sinistro il fenomeno si era stabilizzato sul tratto teatro dell'incidente. Cosicché, ove fosse stato presente il vento, la nuvola sarebbe stata dispersa. Lo stesso comportamento di guida del (Soggetto 1), peraltro, smentiva l'assunto, avendo costui decelerato e poi mantenuto la velocità raggiunta prima di fermarsi a causa della collisione con i mezzi sopraggiungenti, escludendo un progressivo aggravarsi delle condizioni di visibilità e dimostrando, al contrario, l'avvenuta stabilizzazione del fenomeno.

La Corte territoriale, poi, ha escluso la rilevanza dell'argomento difensivo che faceva leva sulla mancata investigazione delle responsabilità di terzi (Società Autostrade e proprietari dei terreni dai quali si era sprigionato l'incendio), stante l'operatività della clausola generale di cui all'art. 41, cod. pen., sulla persistenza del nesso di causa, a prescindere da eventuali cause preesistenti o concomitanti alla condotta; ma anche di quello inerente alla mancata acquisizione del rapporto dei Vigili del Fuoco circa la direzione dell'incendio e l'accertamento della distanza tra il focolaio dell'incendio e la posizione di quiete dei mezzi, rilevando che tale preclusione era stata conseguenza della strategia difensiva e dell'esercitata opzione per il rito abbreviato. In ogni caso, secondo il giudice d'appello, l'accertamento non era pertinente ai fini del vaglio sulla responsabilità, suffragata dalle puntuali analisi spazio-temporali contenute nell'elaborato del consulente (Soggetto 4).

In via risolutiva, la Corte territoriale ha affermato che, a fronte della pacifica colposità della condotta del (Soggetto 1), sarebbe stato arduo sostenerne la irrilevanza causale, atteso che proprio l'impegno a velocità ridotta dell'area interessata dalla coltre di fumo aveva determinato il mancato tempestivo avvistamento dell'ingombrante automezzo condotto dall'imputato e la entrata in collisione dei veicoli che lo seguivano.

3. I motivi sono fondati e possono essere congiuntamente trattati, stante lo stretto collegamento tra le doglianze che ne formano oggetto.

In tema di circolazione stradale, si è già affermato che, ai fini della sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen., non è necessaria la violazione di una specifica norma del codice stradale, essendo sufficiente l'inosservanza delle regole di generica prudenza, perizia e diligenza (sez. 4, n. 356665 del 19/6/20007, D. T., Rv. 237453, in cui, in motivazione, la Corte ha precisato che tali regole devono ritenersi parte integrante della disciplina della circolazione stradale, come si desume dal disposto dell'art. 140 cod. strada, la cui violazione assume lo stesso valore della violazione di una disposizione specifica). Tale norma, nel prevedere che gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione e in modo che sia salvaguardata la sicurezza stradale, pone un principio informatore della circolazione e deve considerarsi implicitamente richiamata in ogni contestazione di colpa generica (sez. 4, n. 18204 del 15/3/2016, B., Rv. 266641).

Tuttavia, il principio di colpevolezza impone una verifica più complessa, su piani diversi, riguardanti l'accertamento in concreto della sussistenza della violazione - da parte del soggetto che riveste una posizione che possiamo definire lato sensu di garante - di una regola cautelare (generica o specifica), del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento e della prevedibilità e evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mira a prevenire. Di qui la necessità di verificare non solo la causalità della condotta (ossia la dipendenza dell'evento da essa, in cui quest'ultima si ponga quale condicio sine qua non, in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili); ma anche la idoneità del comportamento alternativo lecito a scongiurare l'evento e la verifica della cd. concretizzazione del rischio, vale a dire la introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio concretizzatosi con l'evento, attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e rendere evitabile il prodursi di quel rischio (in motivazione, sez. 4, n. 17000 del 5/4/2016, S., Rv. 266645, in cui si richiama un indirizzo consolidato, con rinvio a sez. 4, n. 40802 del 18/9/2008, S., Rv. 241475; n. 24898 del 24/5/2007, V., Rv. 236854; n. 5963 del 2/5/1998, M., Rv. 178402, in cui si è sottolineata la necessità che la verifica del nesso di causalità nei termini sopra precisati, avvenga in base a elementi fattuali certi e non a mere ipotesi o congetture). Si tratta, a ben vedere, di concetti che vanno al di là di quelli che tradizionalmente identificano l'elemento oggettivo del reato (condotta, evento e nesso causale) e implicano, invece, che l'inquadramento delle singole fattispecie vada compiuto all'interno del sistema normativo che costituisce la c.d. causalità della colpa.

Sul piano oggettivo, pertanto, viene in rilievo il dovere di osservanza della regola cautelare; ma anche la individuazione, preventiva, della stessa regola cautelare e del suo atteggiarsi in relazione all'area di rischio considerata; infine, la sussistenza di un collegamento, non solo materiale tra condotta e evento, ma anche tra regola violata ed evento verificatosi. Resta salva l'ulteriore verifica sul piano soggettivo, dell'elemento psicologico del reato, cioè, che - nel caso di responsabilità colposa - si articola anche attraverso il duplice scrutinio della prevedibilità dell'evento e della esigibilità del comportamento alternativo lecito.

Anche più di recente, si è fatto ricorso al criterio sopra richiamato della concretizzazione del rischio per spiegare che la rilevanza della violazione della regola cautelare richiede che essa deve aver reso concreto il rischio che la stessa era intesa a prevenire. Sicché, non ogni evento verificatosi può esser ricondotto alla condotta colposa dell'agente, ma solo quello che sia collegato causalmente alla violazione della specifica regola cautelare (sez. 4, n. 40050 del 29/3/2018, L., Rv. 273870). Il giudice, pertanto, non può limitarsi ad accertare il nesso di causalità materiale tra la condotta e l'evento dato, ma deve scrutinare quale sia il rischio che la norma violata è intesa a scongiurare.

Tale verifica è, poi, condizionata dalla natura della norma cautelare violata, tema rispetto al quale si è precisato che, qualora si assuma la violazione di una regola c.d. "elastica" (che necessiti, cioè, per la sua applicazione di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l'agente deve operare, al contrario di quelle cosiddette "rigide", che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento) è necessario, ai fini dell'accertamento dell'efficienza causale della condotta anti doverosa, procedere a una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto (sez. 4, n. 40050 del 2018, L., cit., Rv. 273871, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo da incidente stradale, fondata sul generico riferimento alla inadeguatezza della velocità tenuta dal conducente, senza esplicitare quale fosse la velocità adeguata ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del fatto, risultava - non ex post ma ex ante - ragionevolmente in grado di evitare l'investimento).

4. Così ricostruita la cornice di diritto nella quale deve esaminarsi la fattispecie concreta, va rilevato come i giudici del doppio grado se ne siano ampiamente discostati.

Intanto, come correttamente rilevato dalla difesa, la condotta colposa del (Soggetto 1) è stata individuata a posteriori, laddove, per come sopra evidenziato, l'accertamento della violazione cautelare richiede la preliminare identificazione della regola che doveva essere osservata nel caso concreto. Tale operazione, certamente agevole in caso di regola cautelare dal contenuto determinato (o regola cautelare rigida), può essere più difficile allorquando la regola codificata non esaurisca il quadro disciplinare, concorrendo con regole non codificate, oppure quando si tratti di regola codificata, ma elastica.

Orbene, la penale responsabilità del (Soggetto 1) è stata ricavata intanto da una ricostruzione fattuale lacunosa, come pure rilevato dalla difesa, in base alla quale la densa nube di fumo sarebbe stata avvistata dall'imputato che vi si era addentrato senza fermarsi, così trascinando dietro di sé tutti gli altri conducenti. Il che equivale a ritenere che la regola di condotta violata, sia pure in termini di colpa generica, come risulta nel capo d'imputazione, sia quella di non avere repentinamente frenato lungo un tratto autostradale (condotta di per sé imprudente avuto riguardo ai veicoli che seguono), senza che risulti precisato dai giudici di entrambi i gradi di merito a quale distanza la barriera di fumo fosse avvistabile dal conducente del primo veicolo (al quale non è stato neppure contestato di avere nell'occorso tenuto una velocità non adeguata).

L'incertezza di tali elementi fattuali, come opportunamente evidenziato dalla difesa, non consente di verificare se l'essere il (Soggetto 1) entrato nella nuvola di fumo senza previamente, quanto improvvisamente, frenare costituisca condotta idonea a integrare l'addebito colposo, prima ancora di verificare se tale regola di condotta sia essa stessa collegata all'evento verificatosi (la collisione da tergo, cioè, dei veicoli susseguenti). Tale incertezza, del resto, si riverbera anche nella descrizione della condotta colposa, non essendo chiaro, nelle sentenze dei due gradi di merito, se si sia rimproverato al (Soggetto 1) di avere tenuto una velocità troppo alta (vedi pag. 6 della sentenza appellata, in cui si descrive la gravità della colpa per la obiettiva, estrema pericolosità dell'andatura in prossimità della coltre di fumo denso) che non gli aveva consentito di frenare senza causare pericolo per la circolazione prima di impattare nella coltre di fumo e sparire al suo interno, diventando così ostacolo invisibile per gli altri automobilisti; o, al contrario, di avere impegnato a velocità ridotta l'area interessata dalla nube di fumo (vedi pag. 5 della sentenza qui impugnata).

5. La sentenza deve essere, dunque, annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Bari che si atterrà, nel rinnovato giudizio, ai principi di diritto sopra richiamati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Così deciso il 14 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2023.

 

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