Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 39171 del 27 settembre 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 39171 del 27/09/2023
Circolazione Stradale - Art. 189 del Codice della Strada - Comportamento in caso di incidente - Reati di fuga ed omissione di soccorso - Coesistenza - Condizioni - Il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell'assistenza occorrente, previsti rispettivamente dall'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, configurano due fattispecie autonome e indipendenti, con diversa oggettività giuridica, essendo la prima finalizzata a garantire l'identificazione dei soggetti coinvolti nell'investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite, sicché è ravvisabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 11 aprile 2022, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di (Omissis) in data 23 giugno 2021 nei confronti di (Soggetto 1), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena inflitta all'imputato per il reato di cui all'art. 189 C.d.S. nella misura di mesi 11 di reclusione; ha ridotto ad Euro 1000 la somma che l'imputato dovrà corrispondere alla parte civile a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali. Ha revocato la condizione a cui era subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena; ha confermato la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di anni uno e mesi otto.
L'imputato era stato tratto a giudizio per i reati di cui all'art. 590 c.p. e art. 189 C.d.S., commi 1, 6, 7. Era contestato al (Soggetto 1) di avere, alla guida della sua autovettura, per negligenza imprudenza ed imperizia e per inosservanza dell'art. 148 C.d.S., comma 3, urtato e fatto rovinare a terra il ciclista (Soggetto 2), così cagionando a questi lesioni personali consistite in trauma cranico, ferita lacero contusa in regione frontale sinistra e contusioni multiple agli arti. Era altresì contestato all'imputato di non essersi fermato e di non avere prestato soccorso al ciclista ferito.
All'esito del giudizio di primo grado era pronunciata sentenza di non doversi procedere per il reato di cui all'art. 590 c.p. per remissione di querela.
Alla stregua delle prove raccolte, i giudici di merito, nelle due sentenze conformi, ritenevano acclarato che il ricorrente avesse proseguito la marcia, non ottemperando all'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alla persona ferita.
2. Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione (Soggetto 1), articolando i seguenti motivi di ricorso.
1) Violazione di legge; mancanza e contraddittorietà della motivazione. La sentenza risulta nulla per difetto assoluto di motivazione, avendo trascurato totalmente di rispondere alle doglianze proposte dall'appellante in riferimento all'entità della durata della sospensione della patente di guida. Nella sentenza di prime cure il Tribunale non aveva offerto giustificazione sulle ragioni per cui aveva determinato la misura della sospensione della patente di guida per la durata di anni 1 e mesi 8, superiore al minimo di legge. La Corte d'appello, esercitando la funzione integrativa che le è propria, avrebbe dovuto colmare la lacuna motivazionale della sentenza di primo grado. Omettendo totalmente di affrontare la questione sollevata, volta ad ottenere unitamente alle attenuanti generiche anche la riduzione del periodo di sospensione della patente di guida, è incorsa nel vizio dell'omessa pronuncia.
2) Violazione di legge e vizio di motivazione relativamente all'accertamento dell'elemento psicologico. Il giudice d'appello non ha minimamente confutato le plurime censure sollevate nell'atto di impugnazione volte a contestare la ricostruzione dei fatti operata in primo grado. Le dichiarazioni dei testi del pubblico ministero, (Soggetto 3) e (Soggetto 4), possono considerarsi attendibili soltanto con riferimento all'identificazione del conducente dell'auto che urtò il ciclista, risultando inadeguate a dimostrare la responsabilità penale dell'imputato per non essersi fermato, omettendo di soccorrere la persona offesa.
Non vi è prova che (Soggetto 1) abbia percepito di aver provocato la caduta del ciclista. Neppure le reiterate segnalazioni luminose e sonore che il teste (Soggetto 4), a bordo del suo furgone, ha riferito di avere messo in atto nel tentativo di raggiungere l'imputato consentono di dimostrare la responsabilità di questi per il fatto contestato. La Corte di merito, concordando con l'interpretazione dei fatti offerta in primo grado, avrebbe dovuto, con adeguata motivazione, dare conto delle ragioni per cui ha ritenuto di disattendere l'alternativa ricostruzione della vicenda prospettata nell'atto di appello. La Corte di merito si è limitata a sostenere che il ricorrente potesse avere nutrito il "sospetto" di avere causato il sinistro, così confermando l'inidoneità degli elementi raccolti a carico dell'imputato.
3) Violazione di legge e vizio di motivazione; insussistenza della condotta prevista e punita dall'art. 189 C.d.S., comma 6, da ritenersi assorbita in quella di cui al comma 7 C.d.S..
La mancanza dell'elemento psicologico, di cui non è stata raggiunta adeguata prova, esclude la sussistenza delle fattispecie delittuose ascritte al (Soggetto 1). Pur volendo ammettere che egli si fosse accorto di avere provocato la caduta del ciclista, decidendo comunque di proseguire la marcia, non appare implausibile l'alternativa soluzione perorata nei motivi di appello, a cui la Corte non ha saputo fornire convincente risposta. Seguendo il tragitto senza fermarsi, il ricorrente accettò le conseguenze dell'evento. Egli avrebbe dovuto quindi rispondere del solo reato previsto dall'art. 189 C.d.S., comma 7 per il concretizzarsi del quale dovette necessariamente evitare di fermarsi. Conseguentemente la Corte avrebbe dovuto ritenere assorbito il reato di cui al comma 6 in quello di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7. Su questo punto la Corte non si è pronunciata.
3. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo la difesa dell'imputato si duole del fatto che la Corte di appello non si sia pronunciata sulla richiesta di riduzione della durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.
Il motivo è inammissibile per carenza d'interesse.
Sebbene la Corte di appello non abbia espressamente provveduto sulla richiesta, deve rilevarsi come tale durata, per come fissata in sentenza (pari ad anni uno e mesi otto di sospensione) risulta inferiore a quello che avrebbe dovuto essere stabilita in ragione del cumulo dei vari periodi da stabilirsi per i due reati per i quali l'imputato ha riportato condanna: in relazione al reato di cui all'art. 189 C.d.S., comma 6, il periodo minimo è pari ad anni uno; in relazione al reato di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7, il periodo minimo è pari ad anni uno e mesi sei (in argomento si veda Sez. 4 n. 6912 del 12/02/2021, Rv. 280544: "In tema di circolazione stradale, il giudice, se pronuncia condanna per una pluralità di violazioni del codice della strada che comportano l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, deve determinarne la durata complessiva effettuando la somma dei vari periodi di sospensione previsti per ciascun illecito, dovendosi escludere l'applicabilità sia della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 8, che riguarda esclusivamente le sanzioni amministrative proprie e non quelle accessorie ad una sentenza penale di condanna, sia delle discipline tipicamente penalistiche finalizzate a limitare l'irrogazione di pene eccessive, come nel caso dell'art. 81 c.p.").
Stante l'erronea determinazione della durata della sospensione della patente a favore dell'imputato, deve ritenersi carente l'interesse ad impugnare (sulla nozione di carenza d'interesse si veda, ex multis, Sez. 5, n. 2747 del 06/10/2021, dep. 24/01/2022, Rv. 282542: "In tema di impugnazioni, il riconoscimento del diritto al gravame è subordinato alla presenza di un interesse immediato, concreto ed attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui si contesta la correttezza e a conseguire un'utilità, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato più vantaggioso").
2. Con il secondo motivo di ricorso la difesa assume difetto di motivazione in relazione all'accertamento sulla sussistenza dell'elemento psicologico dei reati per cui è intervenuta condanna (art. 189 C.d.S., commi 6 e 7), per non essere stato dimostrato che l'imputato abbia avuto percezione di avere provocato la caduta del ciclista.
Il motivo è inammissibile in quanto volto a sollecitare una diversa lettura, in chiave favorevole all'interessato, degli elementi di fatto e delle emergenze probatorie poste a fondamento della decisione.
Il discorso giustificativo offerto in sentenza non soffre dei vizi lamentati dalla difesa. La Corte di appello, dopo attenta disamina dei fatti e delle emergenze probatorie, ha basato il proprio convincimento su argomentazioni del tutto logiche, non suscettibili di essere censurate in questa sede, ponendo in evidenza come il ricorrente fosse stato inseguito nell'immediatezza del fatto da un testimone a bordo di un mezzo, che aveva attirato in ogni modo la sua attenzione con segnalazioni luminose e sonore.
3. Con il terzo motivo, la difesa sostiene la insussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7: in base alla prospettazione difensiva, le due violazioni non possono coesistere.
La Corte territoriale, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, ha fatto corretta applicazione del costante orientamento di legittimità che esclude il concorso apparente di norme (Sez. 4, Sentenza n. 3783 del 10/10/2014, dep. 27/01/2015, Rv. 261945: "Il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell'assistenza occorrente, previsti rispettivamente dall'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, configurano due fattispecie autonome e indipendenti, con diversa oggettività giuridica, essendo la prima finalizzata a garantire l'identificazione dei soggetti coinvolti nell'investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite, sicché è ravvisabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose").
4. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2023.
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