Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 37051 del 11 settembre 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 37051 del 11/09/2023
Circolazione Stradale - Art. 141 del Codice della Strada - Incidente stradale - Omicidio colposo - In materia di omicidio colposo, l'automobilista che per colpa, consistita in violazione di regole di prudenza e delle norme sulla circolazione, sbandi ripetutamente e si arresti, alla fine, ponendosi di traverso sulla carreggiata di una strada pone in essere, con la sua condotta, una condizione necessaria dell'arresto del traffico e delle successive eventuali collisioni quando non sia ravvisabile l'intervento di fattori anomali, eccezionali ed atipici che interrompano il legame di imputazione del fatto alla sua condotta colposa sì da relegarlo a mera occasione, poiché lo stesso pone in essere un fattore causale originario di rischio dei successivi eventi collisivi, e l'eventuale condotta colposa (eccessiva velocità o mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento non essendo qualificabile come atipica ed eccezionale ma potendo, bensì, collocarsi nell'ambito della prevedibilità.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 luglio 2022, la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di (Omissis), con cui (Soggetto 1) è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme in materia di circolazione stradale.
Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito nelle due sentenze conformi, l'imputato, percorrendo la strada statale (Omissis) variante con direzione di marcia (Omissis) alla guida del veicolo Ford (Omissis), per colpa generica e specifica, perdendo il controllo del veicolo a causa della velocità eccessiva, di molto superiore al limite previsto nel tratto di strada che stava percorrendo, creava un ostacolo agli altri utenti della strada; in tal modo cagionava la morte di (Soggetto 2) e lesioni personali a (Soggetto 3), i quali, procedendo nello stesso senso di marcia, alla guida delle rispettive motociclette, trovando occupata la carreggiata, non riuscivano ad evitare l'impatto con la vettura dell'imputato.
2. Avverso la sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, che ha articolato i motivi di impugnazione di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
1) Violazione degli artt. 192 e 198 c.p.p. in relazione agli artt. 43 e 41 c.p.; illogicità della motivazione con riferimento alla inattendibilità del testimone oculare (Soggetto 4).
La motivazione della sentenza impugnata si presenta illogica e contraddittoria quanto al giudizio di attendibilità delle propalazioni del testimone (Soggetto 4), il cui contributo si è rivelato decisivo tanto nell'affermazione dei profili di responsabilità colposa nella condotta del ricorrente, quanto nella esclusione di cause sopravvenute da sole idonee a cagionare l'evento. La Corte partenopea, nel condividere integralmente ed in maniera quasi acritica le conclusioni del primo giudice, conferisce una patente di sicura affidabilità ed attendibilità ad un soggetto che, invece, risulta animato da un chiaro interesse a difendere se’ stesso. Secondo l'accusa, supportata dal testimone (Soggetto 4), l'imputato, a causa della violazione dei limiti di velocità, avrebbe perso il controllo della propria vettura, che, dopo avere impattato contro il guard rail della corsia di sinistra ed essere carambolata sulla barriera dell'opposta corsia di destra, si sarebbe posta in posizione statica sulla carreggiata, risultando di ostacolo ai motociclisti (Soggetto 3) e (Soggetto 2) che sopraggiungevano.
Secondo il (Soggetto 1), invece, i motociclisti (Soggetto 3) e (Soggetto 2) stavano gareggiando tra loro, intraprendendo plurimi e reciproci sorpassi. In una di queste manovre tagliavano la strada al ricorrente, determinando la perdita del controllo del veicolo, a cui conseguiva l'impatto mortale.
Secondo il giudice di primo grado, le propalazioni di (Soggetto 4) risulterebbero decisive nel raggiungimento dell'elevato grado di credibilità razionale della spiegazione causale del sinistro.
Sussistono almeno due ragioni di forte tensione tra il contenuto delle dichiarazioni del testimone ed i fatti di causa, del tutto trascurati nella decisione di merito. In primo luogo, (Soggetto 4) nega che il (Soggetto 2) avesse assunto alcolici, eppure il defunto risultò in stato di alterazione alcolica, con un tasso alcolemico pari a 0,84 g/l. In maniera del tutto incoerente, il primo giudice riteneva più affidabili le dichiarazioni di (Soggetto 4) rispetto agli accertamenti tecnici, arrivando ad ipotizzare che l'assunzione di alcool fosse stata precedente e concludendo che, in ogni caso, un tasso alcolemico di quel tipo non alterasse la capacità di guida. Tale assunto non è condivisibile. Come è noto, la guida con un tasso alcolemico pari a quello rilevato sulla persona del (Soggetto 2) costituisce reato. È lo stesso legislatore a presumere, nell'esercizio della propria discrezionalità, che il valore indicato di 0,84 g/l costituisca pericolo per la circolazione stradale e meriti addirittura la sanzione penale.
Il secondo profilo di intrinseca inattendibilità del testimone (Soggetto 4) cade sulla ricostruzione della dinamica del sinistro. Prima dell'impatto, secondo la narrazione di (Soggetto 4), le due motociclette avevano un'andatura compresa tra 100 e 120 km/h e (Soggetto 1) li precedeva di circa 70 metri. Ebbene, se (Soggetto 1) avesse proceduto effettivamente ad una velocità compresa tra 127 e 134 km/h, come sostenuto dal CT nominato dal P.M., la distanza tra la sua vettura e le moto doveva necessariamente crescere, incrementando lo spazio utile per una frenata. D'altro canto, se (Soggetto 1) avesse serbato effettivamente quella velocità la sua vettura avrebbe continuato a procedere in avanti anche dopo l'impatto con il guard rail. È elemento di comune esperienza che un incidente come quello occorso al (Soggetto 1) possa essere facilmente percepito dagli altri utenti della strada, specie nel caso in cui vi sia una distanza significativa rispetto al veicolo coinvolto nel sinistro.
A ciò deve aggiungersi come il (Soggetto 4), nel corso del suo esame, sia incorso in significative contraddizioni, riferendo dapprima di seguire il (Soggetto 2) ad una distanza di circa 50 m. e riducendo tale spazio a circa 20 metri.
Secondo il CT del P.M., le due moto, dopo l'impatto con la vettura dell'imputato, sono state rinvenute a breve distanza l'una dall'altra e nessuna delle due ha lasciato segni di frenata sull'asfalto o segni di manovre di aggiramento dell'ostacolo.
Nel silenzio della Corte di appello su questi aspetti specifici di censura della sentenza di primo grado, è possibile sottolineare come gli elementi in discorso depongano in senso difforme da quanto affermato dal (Soggetto 4): le motociclette viaggiavano a breve distanza l'una dall'altra, in una dinamica molto coerente con quella di una gara di velocità, come sostenuto dal ricorrente.
Ove si ammettesse la possibilità che l'incidente si sia realizzato in costanza della gara di velocità ingaggiata tra i due motociclisti, la posizione giuridica del ricorrente sarebbe molto diversa da quella delineata in sentenza.
(Soggetto 4) sarebbe cooperatore colposo nella morte di (Soggetto 2). Tale evenienza avrebbe dovuto suggerire ai giudici di merito di valutare in modo molto più attento e critico le propalazioni del teste, considerando che egli potesse essere animato dall'intento di difendersi dall'accusa di omicidio colposo.
2) Violazione degli artt. 40, 43 e 589 c.p.; illogicità della motivazione quanto al giudizio controfattuale in ordine alla rilevanza causale della violazione della regola cautelare.
La Corte di merito, nel condividere integralmente le argomentazioni del primo giudice, ne ha recepito le conclusioni anche quanto alla connessione causale tra la violazione della regola cautelare contestata dell'eccesso di velocità ed il verificarsi dell'evento, nonostante il giudizio controfattuale sia stato condotto su basi meramente assertive.
Il convincimento del primo giudice può essere così sintetizzato: il (Soggetto 1) ha perso il controllo della propria vettura perché viaggiava a velocità eccessiva; ha urtato il guard rail di sinistra, che non è riuscito a contenere l'urto proprio per la velocità eccessiva, ed è scarrocciato verso destra, occupando improvvidamente la carreggiata su cui marciavano i motociclisti e costituendo ostacolo per gli altri utenti della strada. Il ragionamento è illogico e contrasta radicalmente con la funzione delle barriere di protezione tipo guard rail. È noto a tutti gli utenti della strada che le barriere di protezione non abbiano affatto la funzione di contenere l'impatto con i veicoli, ma, piuttosto, quella di reindirizzare il veicolo verso la carreggiata.
Il fatto che la barriera abbia spinto la macchina del (Soggetto 1) verso destra non ha alcuna attinenza con la velocità di crociera del mezzo.
Sulla base delle decisioni di merito, non si riesce a comprendere come sia stato convalidato il criterio di accertamento della velocità dell'imputato offerto dal consulente tecnico del P.M., ne’ in che modo sia stato dimostrato che, ove il limite di velocità fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificato.
Volendo desumere una conferma dell'eccesso di velocità dal dato empirico della deformazione del guard rail, i giudici si sarebbero dovuti interrogare sull'effetto prodotto nel caso di un impatto analogo da parte di un veicolo che percorreva la strada entro il limite di velocità consentito.
Nessuna delle decisioni di merito si cura di ipotizzare cosa sarebbe successo se il (Soggetto 1) avesse viaggiato ad una velocità conforme al limite vigente nel tratto di strada che stava percorrendo. Ciò determina una patente violazione delle regole che presidiano l'indagine sulla causalità colposa. La sentenza impugnata si limita ad affermare apoditticamente che, se il (Soggetto 1) avesse regolato la velocità in modo conforme al limite previsto, avrebbe gestito diversamente l'emergenza. Non si comprende, tuttavia, a quale emergenza facciano riferimento i giudici in sentenza.
Nel presumere un eccesso di velocità, le decisioni di merito hanno altresì presunto una connessione eziologica tra velocità e sinistro stradale, dando per provato il nesso di causalità colposo che doveva, invece, costituire il principale oggetto dell'accertamento probatorio.
3) Omessa pronuncia su un motivo di appello determinante nella ricostruzione della violazione della regola cautelare e, dunque, della causalità della colpa. Violazione degli artt. 40 e 43 c.p. in relazione all'art. 192 c.p.p. ed al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 141 e 142, con riferimento alla condivisione delle conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero.
Ulteriore doglianza da muovere alla sentenza impugnata in relazione al metodo di indagine adottato nella ricostruzione dei fatti e nella valutazione della prova, attiene alla mancata pronuncia su uno specifico motivo di impugnazione, che non può considerarsi assorbito nella complessiva trama motivazionale della sentenza impugnata.
Nell'atto di appello principale, la difesa censurava la preferenza accordata dal giudice di prime cure alla tesi avanzata dal CT del pubblico ministero in ordine alla determinazione della velocità del (Soggetto 1) ed alla scelta del criterio di calcolo all'uopo utilizzato. L'aspetto dirimente che si era inteso portare all'attenzione della Corte partenopea atteneva al carattere sperimentale del criterio di calcolo adottato dal consulente nominato dal P.M..
L'atto d'appello, dunque, non intendeva soltanto criticare la preferenza accordata alla ricostruzione accusatoria, quanto piuttosto invitare la Corte a pronunciarsi sulla stessa attendibilità scientifica dei criteri impiegati dal consulente dell'accusa in tema di calcolo della velocità.
L'atto di appello si soffermava sulle lacune conoscitive del consulente tecnico. Si riportava, in proposito, uno stralcio del verbale dell'udienza di escussione del CT nominato dal P.M., nel quale il consulente rimarcava la mancanza di indicazioni geometriche utili per determinare la lunghezza del tratto di guard rail deformato. Poiché entrambi i giudici di merito hanno ritenuto affidabile il criterio di calcolo della velocità adottata dal consulente del PM in considerazione della deformazione del guard rail, appare evidente come la ricostruzione offerta in sentenza poggi su basi incerte. Peraltro, sempre il consulente del pubblico ministero si è contraddetto, scrivendo nel proprio elaborato di essersi recato sul luogo del sinistro ed affermando, invece, in dibattimento di non avere mai effettuato rilievi sul luogo del sinistro in prima persona.
4) Violazione dell'art. 2 c.p., comma 4, in relazione all'art. 589 c.p. e art. 589-bis c.p., comma 7.
La sentenza impugnata, pur riconoscendo il concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro e, dunque, nel verificarsi dell'evento, non estende all'odierno ricorrente la disciplina più favorevole dettata dal comma 7 della disposizione del nuovo art. 589-bis c.p..
In questo modo la sentenza esclude arbitrariamente e senza alcuna motivazione l'effetto retroattivo favorevole della disciplina sopravvenuta.
5) Violazione dell'art. 62 c.p., comma 1, n. 6 anche in relazione all'art. 597 c.p.p., comma 5.
La sentenza impugnata si produce in un'insolita negazione dell'attenuante del risarcimento del danno pur dopo avere ammesso la ricorrenza dei suoi presupposti.
Deve premettersi come nell'atto di appello non sia stata fatta esplicita richiesta di concessione dell'attenuante in parola. Il difensore che aveva redatto l'atto di impugnazione e gli altri che hanno sottoscritto la memoria di udienza, non hanno fatto espresso riferimento al risarcimento del danno, utilizzando tale elemento per rafforzare la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche; tale lacuna, ad avviso del difensore, non pregiudica la possibilità che la medesima Corte di appello potesse concedere d'ufficio l'attenuante in parola.
6) Violazione dell'art. 62-bis c.p..
Autonoma doglianza deve essere elevata con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; a pagina 12 dell'impugnata sentenza, la Corte d'appello conferma la decisione del primo giudice di non concedere il beneficio in considerazione della mancata ammissione di colpa dell'odierno imputato. La motivazione si presta a forti critiche. Nel nostro ordinamento, infatti, è preservato il diritto dell'imputato di offrire la propria versione dei fatti ed anche di mentire, senza che ciò possa costituire motivo di biasimo. L'argomento speso alla Corte, pertanto, non ha alcun pregio in diritto. Il ricorrente all'epoca dei fatti era incensurato ed era poco più che ventenne, circostanze, queste, che hanno influito sulla sua capacità di dominio della situazione.
7) Violazione dell'art. 133 c.p..
Considerazioni analoghe a quelle indicate in precedenza possono essere svolte con riferimento alla determinazione della pena. Il disvalore delle azioni addebitate al ricorrente non presenta alcun indicatore di gravità qualificata. La sentenza impugnata si pone, pertanto, in contrasto con la disciplina di cui all'art. 133 c.p..
La condotta colposa delle stesse vittime e la giovane età del ricorrente, guidatore non esperto, avrebbero dovuto indurre una diversa ponderazione nel giudizio di gravità dell'azione.
8) Violazione dell'art. 222 C.d.S. in relazione all'art. 218, comma 2, del medesimo compendio normativo.
Si censura la quantificazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, determinata in anni due. Priva di pregio è la motivazione offerta dal primo giudice, condivisa dalla Corte di merito, in cui si è fatto riferimento alla durata della pena principale, trattandosi di elementi diversi, non comparabili tra loro.
Il giudice di primo grado e la Corte di appello trascurano di considerare che la determinazione della sanzione accessoria deve seguire gli indicatori di cui all'art. 218 C.d.S., comma 2, e non quelli di cui all'art. 133 c.p..
Tra gli indicatori fissati dalla disciplina extrapenale ricorre anche e soprattutto il pericolo che l'ulteriore circolazione possa cagionare; se si considera che la sentenza di primo grado è intervenuta a sei anni dal fatto e che il ricorrente, durante questo periodo, ha continuato a circolare senza limitazione e senza costituire pericolo, si comprende come la commisurazione della sanzione accessoria sia stata del tutto irragionevole oltre che sproporzionata e immotivata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va rammentato come la Corte di appello abbia confermato il giudizio di primo grado in ordine alla responsabilità del prevenuto per il reato di omicidio colposo in contestazione, ribadendo le argomentazioni contenute nella sentenza del Tribunale. Ci si trova, pertanto, al cospetto di una c.d. "doppia conforme" affermazione di responsabilità; in tal caso, la completezza e la congruenza dell'apparato argomentativo a sostegno del decisum deve essere valutato considerando la motivazione delle due sentenze nel loro insieme, costituendo esse un unico complessivo corpo decisionale (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
Ciò premesso, i primi due motivi di ricorso, attinenti alla dinamica del sinistro ed alla valutazione delle prove acquisite nel corso del giudizio, esprimono doglianze non proponibili in sede di legittimità.
La difesa tende ad avvalorare una diversa ricostruzione del fatto, pure al cospetto di una motivazione nella quale la individuazione della causa del sinistro e delle modalità di esso sono sostenute da conferente apparato argomentativo, non illogico e non incoerente.
In ordine alla dedotta inattendibilità del teste (Soggetto 4) (asseritamente animato dalla esigenza di allontanare da se’ indizi di reità in relazione all'omicidio colposo occorso a (Soggetto 2)), il ragionamento logico versato nell'impugnato provvedimento non è suscettibile di essere censurato in questa sede.
La Corte di merito ha chiarito come la credibilità del teste discenda non solo dal fatto che egli non abbia avuto remore a rendere dichiarazioni contra se, rivelando di avere violato le norme del codice della strada quanto al mancato rispetto del limite di velocità imposto sul tratto di strada che stava percorrendo, ma anche dalla considerazione che la descrizione della dinamica del sinistro fornita dal testimone fosse coerente rispetto alle ulteriori risultanze istruttorie.
In proposito, la Corte di merito ha precisato come le dichiarazioni rese dal testimone abbiano trovato conforto nelle risultanze dell'esame esterno cadaverico effettuato sul corpo del deceduto e nella consulenza disposta dal P.M. sulla dinamica del sinistro.
Quanto al tasso alcolemico rilevato sulla vittima deceduta, si è posto in evidenza come si sia trattato di un fattore non dirimente rispetto alla causazione dell'evento: l'argomentazione è confortata dalla testimonianza del medico legale, il quale ha precisato come il tasso alcolemico rilevato sulla persona di (Soggetto 2) comportasse solo un modesto rallentamento dei riflessi.
La stessa difesa, nel porre in evidenza tale aspetto non chiarisce come abbia concretamente influito sulla determinazione dell'evento.
Quanto al secondo motivo di gravame, è opportuno rilevare come il ricorrente proponga una rilettura alternativa della vicenda rispetto alla ricostruzione offerta dai giudici di merito.
L'ipotesi che le due motociclette stessero gareggiando tra loro, come ha precisato la Corte di merito in sentenza, non ha trovato alcun riscontro in atti ed è ancorata, nella prospettazione difensiva, ad elementi fattuali rimasti indimostrati.
Le lamentate lacune motivazionali risultano soltanto apparenti e non disarticolano la motivazione adottata nel suo complesso.
Secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, da ribadirsi in questa sede "In tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, così da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, posto che non è necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio a una valida alternativa" (così Sez. 3, n. 3239 del 04/10/2022, dep. 25/01/2023, T., Rv. 284061).
Con riferimento al caso in esame, la Corte di merito ha evidenziato in maniera puntuale e coerente le ragioni sottese al proprio convincimento, anche in relazione alla sussistenza del nesso causale intercorrente fra la condotta colposa addebitata all'imputato e la causazione dell'evento. Ha chiarito, invero, come il (Soggetto 1), procedendo a velocità elevatissima - circostanza dimostrata dai danni riportati dal veicolo e dagli effetti prodotti dal violentissimo impatto sul guard-rail - avesse perso il controllo del veicolo, carambolando sulla strada e cagionando intralcio per la circolazione degli altri utenti.
Ha evidenziato, inoltre, che, qualora l'imputato avesse tenuto una velocità inferiore, certamente sarebbe stato in grado di mantenere il controllo del veicolo, non cagionando il ribaltamento del mezzo e non costituendo, in tal modo, intralcio alla circolazione. Seguendo tale ragionamento, immune da vizi logici e da aporie concettuali, la Corte di merito ha correttamente sostenuto come l'incidente occorso ai motociclisti, che sopraggiungevano nella stessa direzione di marcia, fosse da addebitarsi alla condotta colposa del ricorrente.
La concorrente imprudenza delle persone offese, le quali, si è accertato, viaggiavano ad una velocità superiore a quella consentita, non può costituire causa di esonero da responsabilità per il ricorrente.
Del tutto pertinenti sono, a questo proposito, i riferimenti alle massime riportate a pag. 11 della sentenza impugnata. Ivi si afferma il principio in base al quale l'utente della strada non è responsabile dell'infortunio patito da un terzo, anche per colpa di quest'ultimo, soltanto quando la sua condotta risulti immune da qualsiasi addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica, che della colpa generica (cfr. Sez. 4, n. 32202 del 15/07/2010, F., Rv. 248355).
Deve aggiungersi come, proprio in relazione a casi sovrapponibili a quello che occupa, quanto a dinamica e modalità di realizzazione dell'evento, questa Corte si sia espressa nei seguenti termini: "In materia di omicidio colposo, l'automobilista il quale per colpa, consistita in violazione di regole di prudenza e delle norme sulla circolazione, sbandi ripetutamente e si arresti, alla fine, ponendosi di traverso sulla carreggiata di una strada (tanto più se a rapido scorrimento) pone in essere, con la sua condotta, una condizione necessaria dell'arresto del traffico e delle successive eventuali collisioni quando non sia ravvisabile l'intervento di fattori anomali, eccezionali ed atipici che interrompano il legame di imputazione del fatto alla sua condotta colposa sì da relegarlo a mera occasione. Il conducente pone in essere, invero, un fattore causale originario di rischio (ostruzione della carreggiata) dei successivi eventi collisivi, e l'eventuale condotta colposa (eccessiva velocità o mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento non essendo qualificabile come atipica ed eccezionale ma potendo, bensì, collocarsi nell'ambito della prevedibilità" (Sez. 4, n. 12224 del 19/06/2006, dep. 23/03/2007, C., Rv. 236185; successive conformi Sez. 4, n. 10676 del 11/02/2010, E., Rv. 246422; Sez. 4, n. 26295 del 04/06/2015, P., Rv. 263877).
Il ragionamento seguito dai giudici di merito è, dunque, rispettoso dei principi enunciati: si è individuata, nel comportamento colposo serbato dal ricorrente, la causa dell'intralcio sulla sede stradale e sono stati esclusi decorsi alternativi idonei ad interrompere la relazione causale fra condotta ed evento.
Con riferimento a tale ultimo aspetto, si è escluso, con argomentare logico, che potessero costituire fattori atipici ed eccezionali il superamento dei limiti di velocità da parte dei motociclisti ed il tasso alcolemico rilevato sulla persona di (Soggetto 2). Quanto all'influenza del tasso alcolemico sulla capacità di guida, il Tribunale aveva evidenziato come la consulenza medico legale avesse escluso che tale condizione fosse idonea ad offuscare la capacità di guida, comportando solo una modesta riduzione di essa (cfr. pag. 12 della sentenza di primo grado).
2. Del pari inammissibile è il terzo motivo di gravame.
La difesa lamenta che la consulenza disposta dal P.M. sia basata su criteri di calcolo "sperimentali", evidenziando l'intrinseca inattendibilità delle risultanze in tema di accertamento della velocità del veicolo condotto dall'imputato, stimata tra 124 e 137 km/h.
La deduzione è priva di pregio, dal momento che, in tema di prova scientifica, il controllo di legittimità non riguarda la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito. Pertanto, non compete alla Corte di Cassazione stabilire se la tesi accolta in motivazione sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita e l'approccio metodologico siano razionali e logici, con specifico riguardo all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Sez. 4, n. 10394 del 07/02/2023, D. F., Rv. 284240: "In tema di prova scientifica del nesso causale nei delitti colposi, il controllo di legittimità non riguarda la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita e l'approccio metodologico siano razionali e logici, con specifico riguardo all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto").
Alla luce dei richiamati criteri, la motivazione espressa dai giudici della Corte di merito risulta non meritevole di essere censurata: le argomentazioni addotte a sostegno del decisum, ricavate dall'accertamento tecnico, appaiono logiche ed aderenti alle ulteriori risultanze processuali.
3. Quanto al diniego dell'applicazione dell'attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, si osserva quanto segue.
La fattispecie in esame riguarda la morte di una persona e le lesioni in danno di altra persona. La norma più favorevole è quella precedente alla introduzione dell'omicidio stradale. L'art. 589 c.p., u.c. prevede che la pena della reclusione non possa essere superiore ad anni 15 di reclusione; nel reato di cui all'art. 589 bis c.p. il limite massimo è di anni 18 di reclusione. Pertanto, è più favorevole la prima. Individuato il regime più favorevole, non si possono combinare frammenti dell'una e dell'altra disciplina (in argomento si veda Sez. 4, n. 13207 del 27/01/2022, Rv. 282936 - 01: "In materia di successione di leggi penali, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole con riferimento al caso concreto, il giudice deve applicarla nella sua interezza, essendo fatto divieto, in ossequio al principio di legalità, di combinare frammenti normativi dell'una e dell'altra, così da delineare una terza disciplina. (Fattispecie in tema di omicidio stradale in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che, in ragione del bilanciamento con le circostanze attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e art. 62-bis c.p., ha valutato più favorevole la previgente disciplina prevista per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, rispetto a quella introdotta con la L. 23 marzo 2016, n. 41, anche ove sia stata riconosciuta l'attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7).
4. Manifestamente infondata è la censura riguardante il mancato riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 62 c.p., comma 1, n. 6.
La stessa difesa riconosce come la richiesta di applicazione dell'attenuante in parola non fosse stata formulata nei motivi di appello e neppure nella memoria depositata in udienza. Sull'argomento si richiama quanto condivisibilmente osservato da Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, C., Rv. 276596, così massimata: "Il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge e una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l'effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall'imputato nel giudizio di primo grado. (Fattispecie in cui con la sentenza di condanna emessa in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, non era stata concessa la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e non era stata applicata la circostanza attenuante del risarcimento del danno)".
In sentenza si evidenzia come la circostanza del risarcimento sia stata invocata ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche e della riduzione della pena. La Corte di merito ha ritenuto di non valutare tale aspetto al diverso fine della concessione dell'attenuante sopra indicata, offrendo una motivazione non censurabile in questa sede.
5. Inammissibili sono i rilievi in punto di determinazione della pena e concessione delle circostanze attenuanti generiche (motivi sesto e settimo di ricorso).
Sulla entità della sanzione concretamente irrogata è sufficiente rimarcare come la pena inflitta sia prossima al minimo edittale.
Ove il giudice intenda infliggere, come nel presente caso, una pena che si discosti dal minimo in misura non significativa, collocandosi al di sotto della media edittale, non è necessaria un'apposita motivazione, essendo sufficiente il richiamo alle nozioni di congruità ed equità (così, ex multis Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, N., Rv. 230278: "La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale").
Il diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è fondato sulla constatazione dell'assenza di positivi elementi di valutazione. Pure escludendo il riferimento alla mancata ammissione dell'addebito, la decisione non è suscettibile di essere censurata in questa sede (Sez. 4 -, Sentenza n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489).
6. In ordine al profilo riguardante la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, è dato rinvenire una implicita giustificazione nella sentenza impugnata, avendo la Corte di merito, in più passaggi motivazionali, posto in evidenza la eccessiva velocità a cui viaggiava il ricorrente e la gravità dei danni cagionati.
7. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2023.
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