Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quinta, sentenza n. 31177 del 18 luglio 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione V, sentenza numero 31177 del 18/07/2023
Circolazione Stradale - Art. 46 del Codice della Strada - Veicolo in stato di abbandono - Condizioni e volontà della derelizione - Reato di furto - Per non incorrere nel reato di furto del veicolo considerato abbandonato dal proprietario (derelizione), la volontà dell'abbandono deve risultare inequivocabilmente dalle condizioni di tempo e di luogo dell'abbandono della cosa, alla luce della effettiva possibilità, da parte del proprietario, di riappropriarsi del bene, anche in un futuro non prossimo, o comunque di esercitare un controllo su di esso, anche se all'attualità non esercitato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del (Omissis), la Corte d'appello di Roma, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto (Soggetto 1) responsabile del reato di tentato furto aggravato di un'autovettura.
Propone ricorso l'imputato formulando due autonomi motivi di censura, afferenti, il primo, all'oggetto materiale della condotta (in ipotesi non qualificabile come bene altrui, ma come res derelicta), il secondo al trattamento sanzionatorio e, segnatamente, al riconoscimento e all'applicazione della recidiva e, parallelamente, al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
In particolare, sostiene la difesa, l'autovettura sottratta sarebbe di proprietà di tale (Soggetto 2), deceduto, cosicché, attesa l'ubicazione dell'autovettura (parcheggiata su pubblica via) e le relative condizioni di manutenzione, si sarebbe dovuto attivare la procedura prevista dal D.M. n. 460 del 1999, che, attraverso l'iter procedimentale descritto, avrebbe potuto condurre ad una verosimile dichiarazione di abbandono e alla conseguente qualificazione dell'autovettura come rifiuto; con conseguente assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto.
Quanto al trattamento sanzionatorio, secondo la difesa, la corte territoriale si sarebbe limitata a ritenere sussistente l'aggravante contestata alla luce di un mero richiamo ai precedenti penali emersi a carico del ricorrente, colorato di una semplice formula di stile ("appare costituire indice di maggiore pericolosità"), non indicativa del percorso logico che deve sottendere la predetta valutazione e del quale il compendio motivazionale deve dar conto. Cosicché, esclusa la recidiva (circostanza ostativa al relativo riconoscimento), ben si sarebbero potute applicare le circostanze attenuanti generiche alla luce delle particolari condizioni, soggettive ed oggettive, del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo, per come si è detto, il ricorrente deduce che non vi sarebbe certezza in ordine all'altruità dell'autovettura sottratta, in quanto verosimilmente abbandonata dal legittimo proprietario.
La censura è manifestamente infondata. Questa Corte ha precisato, ripetutamente e fin da tempi risalenti, che per aversi derelizione non è sufficiente l'abbandono della cosa (o la sua perdita), dovendo questa essere accompagnata dalla volontà di spogliarsi del bene (Sez. 4, n. 3910 del 17/12/2020, dep. 2021, Rv. 280380; Sez. 5, n. 11107 del 26/02/2015, Rv. 26310501; Sez. 2, n. 2816 del 17/10/1983, dep. 1984, Rv. 163362). Tale volontà, come correttamente evidenziato dalla corte territoriale, deve risultare inequivocabilmente dalle condizioni di tempo e di luogo dell'abbandono della cosa, alla luce della effettiva possibilità, da parte del proprietario, di riappropriarsi del bene, anche in un futuro non prossimo, o comunque di esercitare un controllo su di esso, anche se all'attualità non esercitato (ibidem, in motivazione).
Tutto ciò è ancor più vero se la res sottratta è, come l'autovettura, un bene mobile registrato, la cui titolarità (e la relativa circolazione) emerge dalla semplice consultazione di un regime pubblico. Ed anzi, proprio la specifica procedura richiamata dal difensore dà conto di come, al momento del furto, in assenza di una specifica volontà dismissiva da parte del legittimo proprietario (o dei suoi eredi, atteso che la predetta procedura comunque non esclude l'applicazione delle norme successorie) non potesse qualificarsi in termini di res derelitta.
2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, considerato che la motivazione offerta dalla corte territoriale dà conto di come la valutazione operata non si sia fondata esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull'arco temporale in cui questi risultano consumati, ma sulla valutazione in concreto, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., del rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419). In questi termini, infatti, la Corte ha dato atto di come la molteplicità di delitti contro il patrimonio commessi e accertati con sentenze definitive, alcuni dei quali in tempi recenti, in ragione del contesto ambientale spazio temporale in cui sono stati consumati, abbiano funzionato da stimolo criminogeno per la consumazione del nuovo reato. E tanto, alla luce di quanto evidenziato in precedenza, dà conto del legame funzionale dei precedenti reati rispetto alla consumazione di quello per cui è giudizio.
Quanto osservato, in applicazione dell'art. 69 c.p., comma 4, esclude la possibilità di riconoscere le attenuanti generiche (già riconosciute e ritenute equivalenti alle aggravanti contestate) in termini di prevalenza.
3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2023.
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