Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 2300 del 20 gennaio 2023
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 2300 del 20/01/2023
Circolazione Stradale - Artt. 218 e 222 del Codice della Strada e artt. 589-bis e 590-bis - Sospensione della patente di guida - Durata - Motivazione - Assolvimento - La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, essendo necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento solo quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, mentre in relazione alla graduazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista dall'art. 222 del C.d.S., il giudice assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto di aver impiegato i criteri di cui all'art. 218 comma 2 C.d.S., ovvero una valutazione "in relazione all'entità del danno apportato, alla gravità della violazione commessa, nonché al pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di (Omissis) ha confermato la sentenza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di (Omissis) di condanna, ex art. 442 cod. proc. pen, di (Soggetto 1) in ordine ai reati di cui art. 589 bis e 590 bis cod. pen. commessi in (Omissis) il 7 settembre 2019, alla pena di anni 2 mesi 2 di reclusione e alla sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per la durata di anni 2, previo riconoscimento della continuazione, delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'art. 590 bis comma 7 cod. pen..
Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale ricostruito nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. L'imputato alla guida della sua autovettura Chevrolet (Omissis), percorrendo la strada statale 106 in direzione (Omissis), giunto all'altezza del km (Omissis), nell'affrontare una curva aveva perso il controllo del mezzo ed aveva invaso la opposta corsia di marcia collidendo frontalmente con la parte anteriore sinistra dell'autovettura Fiat (Omissis) condotta da (Soggetto 3), sulla quale viaggiava come passeggero (Soggetto 2); in seguito all'impatto (Soggetto 3) era deceduto e (Soggetto 2) aveva riportato lesioni personali con prognosi di durata della malattia superiore a 40 giorni.
All'imputato, quali addebiti di colpa, sono stati contestati la violazione dell'art. 141 comma 3 e 8 d.lgs 30 maggio 1992 n. 285, per aver viaggiato a velocità non moderata in curva pericolosa e presegnalata, pari a oltre 90 km/h, con un limite presente in loco di 50 km/h;
dell'art. 141 comma 2 d.lgs n.285/1992 per non avere ottemperato all'obbligo di conservare il controllo del veicolo in modo da essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza; dell'art 40 comma 8 d.lgs n. 285/1992 per aver oltrepassato la doppia striscia longitudinale continua tracciata al centro della carreggiata.
3. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo di difensore, formulando tre motivi.
3.1 Con il primo, ha dedotto la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 589 bis comma 7 relativa al concorso di colpa della vittima sotto il duplice profilo della violazione del limite di velocità presente in loco e del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza.
Sotto il primo profilo la Corte aveva affermato che l'autovettura Fiat (Omissis) procedeva, al momento dell'urto a velocità moderata, sulla base delle dichiarazioni testimoniali e dalla consulenza del Pubblico Ministero, ma non aveva considerato:
- che il teste (Soggetto 2), essendo persona offesa, era non indifferente e che il teste (Soggetto 4) si era trovato a distanza di 100 metri rispetto al punto di impatto;
-che in ogni caso i testi avevano espresso valutazioni fondate sulle loro soggettive percezioni;
-che lo stesso Consulente del Pubblico Ministero aveva stimato la velocità dell'auto condotta da (Soggetto 3) nell'ordine di grandezza di quella consentita o leggermente superiore ed aveva in tal modo ammesso che anche (Soggetto 3) aveva violato il Codice della Strada.
Sulla base di tali risultanze la Corte avrebbe dovuto riconoscere il concorso di colpa della vittima dell'incidente stradale: mantenendo il rispetto della velocità consentita il conducente della Fiat avrebbe potuto fermare la marcia prima del punto d'urto ed avrebbe così evitato l'evento. I giudici, inoltre, avevano pretermesso le valutazioni del Consulente di parte che aveva stimato in 74 km/h la velocità di andatura dell'auto condotta dalla vittima, senza tuttavia chiarire le ragioni per cui il calcolo effettuato in tal senso dovesse essere considerato "decisamente eccentrico".
Sotto il secondo profilo la Corte aveva ribadito non essere certo l'utilizzo da parte dello (Soggetto 3) delle cinture, ma non aveva considerato che dalla fotografia allegata alla consulenza del Pubblico Ministero al momento dell'intervento delle forze dell'ordine la fibbia non risultava agganciata. Inoltre contraddittoriamente i giudici avevano applicato detta attenuante speciale in relazione al reato di cui l'art. 590 bis cod. pen., proprio sul presupposto che non vi era certezza in ordine all'utilizzo da parte della vittima di tale reato delle cinture, mentre l'avevano esclusa in relazione al reato di cui all'art. 589 bis cod. pen. nonostante ricorressero le stesse condizioni di incertezza.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione della dinamica dell'incidente.
La Corte aveva disatteso la ricostruzione per cui l'autovettura condotta dall'imputato era stata tamponata dall'auto che la seguiva sulla base di una argomentazione illogica, ovvero quella per cui tale ricostruzione era stata introdotta in giudizio dal difensore e non già dall'imputato. Secondo il ricorrente, tuttavia, la difesa è parte processuale e può, al pari dell'imputato, sostenere tesi processuali. Ma soprattutto - si osserva nel ricorso - era stato il consulente del Pubblico Ministero ad ipotizzare che l'introflessione del paraurti posteriore dell'auto condotta dall'imputato fosse stata determinata da un evento precedente al sinistro. In proposito la Corte avrebbe anche travisato un elemento del compendio probatorio: i giudici avevano, infatti, escluso che vi fosse stato un tamponamento in quanto le immagini delle telecamere di videosorveglianza avevano consentito di accertare che le auto procedevano a distanza di circa un secondo l'una dall'altra, quando, in realtà, le due auto erano transitate davanti alla telecamera a distanza di un millesimo di secondo.
2.3. Con il terzo motivo ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Il ricorrente lamenta che la Corte, a fronte della richiesta di mantenere la pena nel minimo edittale e di applicare al minimo la sanzione amministrativa accessoria, aveva confermato la pena inflitta dal giudice di primo grado argomentando, in maniera apodittica, che tale pena era adeguata in ragione del grado della colpa e delle gravissime conseguenze derivatene, non tenendo in conto, come si sarebbe dovuto, che (Soggetto 1) era uno studente universitario ed era incensurato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Al fine di meglio inquadrare il perimetro del presente giudizio di legittimità, si deve premettere che nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218). Va, inoltre, ribadito che nella motivazione della sentenza confermativa di quella di primo grado, il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.254107; Sez. 4 n. 6501 del 26/01/2021. PMT c/Todaro Rv. 281049). Per converso il ricorso per cassazione deve contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica e non può limitarsi a un generico dissenso critico sulla risposta fornita dal giudice di appello alle questioni sollevate con il gravame. Quando intende censurare la valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame, il ricorrente ha l'onere di specificare il contenuto dell'impugnazione e di indicare i punti della motivazione censurati e le ragioni della censura al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità (sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853). Non è consentita inoltre - pena l'inammissibilità del ricorso per difetto di specificità - la censura generica relativa a una presunta carenza o illogicità della motivazione (sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970).
3. Ciò premesso, il primo motivo con cui si censura il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del concorso di colpa della persona offesa in ordine al delitto di cui all'art. 589 bis cod. pen. è fondato su un diverso apprezzamento di elementi di fatto già valutati dalla Corte di Appello ed è comunque manifestamente infondato.
Quanto al profilo della velocità, la Corte di Appello ha dato conto in maniera esaustiva e con una motivazione logica e coerente, degli elementi del compendio probatorio da cui ha tratto la prova che la velocità di marcia dell'auto della vittima non avesse superato i limiti in loco o comunque non sostenuta. I giudici hanno richiamato la consulenza tecnica del Pubblico Ministero effettuata tramite l'ausilio dei filmati tratti dalle telecamere di videosorveglianza presenti nella zona; le dichiarazioni di un testimone oculare del tutto indifferente, (Soggetto 4), il quale, pur non potendo indicare con precisione la velocità del mezzo, aveva comunque riferito che lo stesso procedeva strettamente sulla sua destra ed a velocità moderata; non ultimo, le posizioni di quiete assunte dalle auto dopo l'urto. Proprio in ragione di tali diversi e convergenti elementi la Corte ha ritenuto di non poter dare credito al calcolo effettuato dal consulente della difesa, in quanto eccentrico, ovvero non corroborato o meglio ancora smentito, dalle evidenze indicate.
Quanto al profilo relativo al mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, si osserva che la doglianza su tale specifico punto non era stata formulata con i motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, sicché deve ritenersi inammissibile. La Corte di Appello, peraltro, ha dato atto delle conclusioni sul punto della sentenza di primo grado nella quale si era sostenuto che l'istruttoria non aveva consentito di accertare che la vittima non le avesse effettivamente indossate.
4. Il secondo motivo di ricorso con cui si prospetta una diversa dinamica del sinistro nel quale avrebbe avuto incidenza causale il tamponamento dell'auto condotta da (Soggetto 1) ad opera di altra auto che la seguiva, condotta dal teste (Soggetto 4), è manifestamente infondato.
Anche in questo caso il percorso argomentativo della Corte di Appello è logico e rispettoso dei principi che devono presiedere alla valutazione del compendio probatorio. I giudici hanno spiegato che l'ipotesi del tamponamento era stata smentita dal teste (Soggetto 2), il quale aveva riferito che al momento dell'urto la Chevrolet (Omissis) stava viaggiando distanziata da altre auto, dal teste (Soggetto 4), della cui attendibilità non vi era motivo di dubitare, essendosi egli stesso presentato alla Polizia Giudiziaria spontaneamente alcuni giorni dopo l'incidente ed avendo anche ammesso di aver viaggiato ad un andatura superiore ai limiti, e dalle immagini della camera due, la quale aveva ripreso la distanza fra i due veicoli qualche istante prima dell'inizio dello scarrocciamento: a tale ultimo proposito l'errata indicazione del secondo in luogo di quella del millesimo di secondo non inficia il percorso della motivazione dei giudici, fondato sull'apprezzamento visivo delle immagini. Ma soprattutto i giudici hanno correttamente rilevato che tale ricostruzione non era stata neppure prospettata dall'imputato, il quale non si era mai fatto interrogare, ma solo dal difensore, sia pure a seguito dei rilievi esposti nella consulenza del Pubblico Ministero e che in casi di tal fatta non si può neppure ravvisarsi un possibile contrasto fra due differenti versioni sul quale il giudice debba pronunciarsi. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le ricostruzioni alternative devono essere prese in considerazione dal giudice solo se provenienti dall'imputato e non già dal difensore, in quanto il giudice deve poter direttamente apprezzare la tenuta di una narrazione, eventualmente anche ponendo delle domande (Sez. 3, n. 20884 del 22/11/2016 dep. 2017, A. Rv. 270123; Sez. 3 n. 42920 del 16/05/2019, F., Rv. 277982 secondo cui la presentazione da parte dell'imputato di una memoria a sua firma non può essere equiparata all'esame ex art. 503 cod. proc. pen., trattandosi di un atto scritto con il quale egli si sottrae al contraddittorio tra le parti, alla presenza del giudice, sulla propria versione dei fatti).
5. Il terzo motivo, inerente il trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato. Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). A questo proposito la giurisprudenza ha anche specificato che la pena media edittale non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288). Come la graduazione della pena, anche la graduazione delle sanzioni amministrative rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Per quanto riguarda la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista dall'art. 222 cod. strada, il giudice assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto di aver impiegato i criteri di cui all'art. 218 comma 2 cod. strada., ovvero una valutazione "in relazione all'entità del danno apportato, alla gravità della violazione commessa, nonché al pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare». Nel caso in esame la pena la Corte ha motivato la conferma del trattamento sanzionatorio inflitto da giudice di primo grado con un richiamo, sia pure stringato, al grado della colpa (ritenuto molto alto sia per il quantum di divergenza fra condotta doverosa e condotta tenuta in concreto, sia per il quantum di esigibilità della condotta doverosa) ed alla gravità delle conseguenze derivate.
A fronte di tale percorso argomentativo e del richiamo ad alcuni degli indici di cui all'art. 133 cod. pen. ed agli indicatori di cui all'art. 218 CdS, la doglianza del ricorrente è generica e si limita a sottolineare lo stato di incensuratezza dell'imputato ed il suo essere studente universitario, ovvero circostanze scarsamente rilevanti rispetto alla imputazione contestata.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Deciso il 2 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2023.
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