Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Corte Costituzionale, sentenza n. 174 del 27 luglio 2023
Corte Costituzionale, sentenza numero 174 del 27/07/2023
Circolazione Stradale - Art. 23 del Codice della Strada - Pubblicità sulle strade e sui veicoli - Pubblicità non luminosa sui veicoli se non effettuata per conto terzi a titolo oneroso - Apposizione del marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo ad uso privato - Questioni di legittimità costituzionale - Inammissibili le questioni di legittimità costituzionale circa l'art. 23, comma 2 del C.d.S. integrato dall'art. 57, comma 1 del Regolamento C.d.S., nella parte relativa al divieto di apporre scritte o insegne pubblicitarie luminose sui veicoli, consentendola unicamente se non effettuata per conto terzi a titolo oneroso e o, se trattasi di autovetture ad uso privato, se apposto unicamente il marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte Costituzionale
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come integrato dall'art. 57, comma 1, del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), promossi dal Tribunale ordinario di Roma, sedicesima sezione civile, in composizione monocratica, con due ordinanze del 12 maggio 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 142 e 155 del registro ordinanze 2022 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 2022 e n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2023.
Visti gli atti di costituzione di (Soggetto 1) srl, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2023 il Giudice relatore Stefano Petitti;
uditi l'avvocato A. G. C. per (Soggetto 1) srl e l'avvocato dello Stato Antonio Grumetto per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 6 luglio 2023
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ordinanza del 12 maggio 2021, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Roma, sedicesima sezione civile, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come integrato dall'art. 57, comma 1, del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), in riferimento agli artt. 3, 21, 41, 42 e 76 della Costituzione, "nella parte in cui: a) consentendo la pubblicità non luminosa sui veicoli "se non effettuata per conto terzi a titolo oneroso", vieta la pubblicità non luminosa sui veicoli effettuata per conto terzi a titolo oneroso; b) per ciò che attiene alle autovetture ad uso privato, permettendo "unicamente l'apposizione del marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo", vieta l'apposizione del marchio e della ragione sociale di soggetti diversi da quelli ai quali appartiene il veicolo".
2.- Il Tribunale di Roma riferisce di essere stato adito da (Soggetto 2), la quale ha citato in giudizio la (Soggetto 1) srl, deducendo: di aver stipulato, nel luglio del 2017, con la società convenuta, un contratto No Cost in relazione all'acquisto di un'autovettura; che il contratto prevedeva in favore dell'acquirente un finanziamento da rimborsare in sessanta rate mensili; che la vettura doveva essere obbligatoriamente di colore bianco per rendere più visibili gli adesivi pubblicitari da apporre sulla stessa; che, incluso nelle rate di restituzione del finanziamento, vi era anche l'importo di Euro 5.500,00 a titolo di installazione dell'accessorio wrapping, richiesto dalla società convenuta per consentire l'inserimento e la rimozione di pellicole adesive sull'autoveicolo senza cagionare danni alla verniciatura; che la medesima convenuta si obbligava a sua volta a rimborsare all'acquirente un importo massimo, oltre che rate mensili per spese, pari a circa Euro 440,00 al mese per l'intera durata del contratto.
Operati alcuni parziali pagamenti, la società convenuta non aveva più provveduto alla erogazione periodica delle somme pattuite, sicché l'attrice, dopo aver estinto anticipatamente il finanziamento, lamentando peraltro la vessatorietà di alcune clausole del contratto stipulato con la (Soggetto 1) srl, ha domandato che venisse accertato il proprio diritto a conseguire i rimborsi delle rate mensili scadute ed a scadere, l'operatività della polizza fideiussoria e la condanna della convenuta alle conseguenti restituzioni.
Nel costituirsi nel giudizio a quo, la (Soggetto 1) srl ha contestato che il contratto inter partes avesse ad oggetto l'acquisto dell'autovettura, consistendo, piuttosto, nello scambio tra servizi di pubblicità e statistici - posti a carico dell'attrice, quale driver (o incaricata) - ed un corrispettivo, consistente nel rimborso delle spese previste per i ratei di finanziamento dell'autoveicolo.
La società convenuta ha inoltre negato che sussistesse un proprio inadempimento, dovendosi il contratto intendere risolto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, a causa dell'interpretazione data da varie autorità locali alla normativa sulla circolazione stradale, ritraibile dall'art. 23 cod. strada e dall'art. 57 del D.P.R. n. 495 del 1992; interpretazione che aveva portato a ravvisare un illecito amministrativo nell'apposizione sui veicoli dei messaggi pubblicitari, ancorché si trattasse di pubblicità non luminosa e non rifrangente.
La (Soggetto 1) srl ha altresì richiamato nelle sue difese un orientamento giurisprudenziale invalso presso lo stesso Tribunale di Roma, in forza del quale è stata dichiarata, d'ufficio, la nullità dei contratti, analoghi a quello dedotto in lite, intercorsi tra essa e i driver.
La società convenuta specificava anche quali fossero le prestazioni contrattuali dovute dalla driver, compensate dal rimborso per i ratei del finanziamento: apporre sulle fiancate della sua nuova auto acquistata i cosiddetti wrapping no cost, ovvero il logo della (Soggetto 1) srl e i marchi o slogan di altre aziende in partnership commerciale con essa; circolare almeno un numero di giorni prefissato nel corso del mese; fotografare l'autovettura con cadenza settimanale, condividendo le relative foto sui social network secondo le modalità stabilite ed effettuando così i servizi di statistica.
A seguito dell'applicazione di sanzioni amministrative da parte degli organi di polizia locale, ai sensi delle indicate norme sulla circolazione stradale, la maggior parte dei conducenti non aveva tuttavia più rispettato i suddetti obblighi contrattuali.
Gli inadempimenti dell'attrice, l'inesigibilità o la sopravvenuta impossibilità delle prestazioni ex contractu e la nullità dello stesso rilevabile anche d'ufficio, secondo la società convenuta, escluderebbero ogni ragione di credito azionata in giudizio.
In ogni modo, la stessa (Soggetto 1) srl ha eccepito la illegittimità costituzionale delle indicate disposizioni, in riferimento agli artt. 3, 21, 41, 42 e 76 Cost.
3.- Il Tribunale di Roma ha dapprima illustrato la rilevanza delle questioni, incidendo le norme in esame sulla fonte del rapporto negoziale tra le parti, oggetto del giudizio a quo. L'ordinanza di rimessione premette che l'art. 23, comma 2, cod. strada, "nel prevedere i limiti e le condizioni per l'apposizione delle scritte/insegne pubblicitarie sulle autovetture, richiama espressamente - ancorché in modo generico - il regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada", ed evidenzia che "la disposizione che stabilisce specificamente i parametri di legittimità delle insegne pubblicitarie sui veicoli è l'art. 57 del D.P.R. n. 495 del 1992".
Il rimettente precisa, così, che "la richiesta di sindacato di legittimità costituzionale ha ad oggetto l'art. 23, II comma, del D.Lgs. n. 285 del 1992, letto in combinato disposto con l'art. 57 del D.P.R. n. 495 del 1992, che ne integra il contenuto. L'art. 57 del D.P.R. n. 495 del 1992 - ancorché di natura regolamentare - attraverso il richiamo operato dall'art. 23, II comma, del D.Lgs. n. 285 del 1992, diviene, pertanto, esso stesso norma di rango legislativo, risultando contenutisticamente "assorbito" dalla disposizione di legge (rectius: del decreto legislativo)".
Ad avviso del Tribunale di Roma, tali norme avrebbero carattere inderogabile, in quanto "impongono all'apposizione sui veicoli di insegne pubblicitarie limiti e divieti che devono essere osservati senza che la volontà dei destinatari delle norme stesse possa incidere sulla loro applicazione", e ciò a "tutela di un interesse pubblico, evidentemente consistente nella sicurezza della circolazione stradale".
Al contempo, il contratto dedotto nel giudizio a quo colliderebbe con i limiti e le condizioni stabiliti dal regolamento per l'apposizione sui veicoli di insegne pubblicitarie non luminose, giacché avrebbe ad oggetto insegne apposte a titolo oneroso sulle autovetture ad uso privato, e non relative al marchio o alla ragione sociale dell'impresa cui appartiene il veicolo. Ciò, ad avviso del rimettente, darebbe luogo ad una nullità "virtuale" del contratto, il che confermerebbe la rilevanza delle questioni in rapporto alle domande su di esso fondate.
4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Roma ritiene che il combinato disposto dell'art. 23, comma 2, cod. strada e dell'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992, contrasti con l'art. 3, primo comma, Cost. Le disposizioni in questione, irragionevolmente, da un lato, disciplinano in modo diverso la pubblicità non luminosa sui veicoli, consentendo quella non eseguita per conto terzi a titolo oneroso e vietando, invece, quella effettuata per conto terzi a titolo oneroso; dall'altro, con riferimento alle autovetture ad uso privato, regolamentano in maniera differente la pubblicità consistente nell'apposizione del marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo (consentendola) e quella in cui l'apposizione del marchio e della ragione sociale riguarda soggetti diversi dal proprietario del veicolo (vietandola).
Invero, avuto riguardo alla ratio della normativa in esame, consistente nella sicurezza della circolazione stradale, ovvero nella prevenzione di ogni rischio di abbagliamento o di distrazione dell'attenzione nella guida, per i conducenti degli altri veicoli, il giudice a quo reputa incomprensibile la differente disciplina della pubblicità non luminosa sui veicoli, non eseguita per conto terzi a titolo oneroso, rispetto a quella effettuata per conto terzi a titolo oneroso, e così anche la diversa regolamentazione della pubblicità come sopra delineata.
Quanto, invece, al contrasto del combinato disposto in esame con l'art. 21 Cost., ovvero col diritto di libera manifestazione del pensiero, il Tribunale di Roma ritiene "piuttosto debole il nesso - conflittuale -" prospettato dalla società convenuta; tuttavia, nel rispetto dell'iniziativa di quest'ultima, rimette ogni valutazione a questa Corte, limitandosi a riprodurre le ragioni esposte sul punto dalla parte.
Il combinato disposto delle due norme censurate viene inoltre considerato dal rimettente in contrasto con l'art. 41 Cost., giacché la disciplina da esse risultante si tradurrebbe in una limitazione all'autonomia contrattuale privata, atteso che vengono impedite la conclusione di contratti di pubblicità per conto terzi sui veicoli a fronte di un corrispettivo e la stipulazione di accordi commerciali che prevedano l'apposizione, sui veicoli ad uso privato, di marchi e di ragioni sociali di soggetti diversi dal proprietario del veicolo. Nessuno dei limiti e delle finalità stabiliti per l'iniziativa economica privata sarebbe pertinente riguardo alle norme in esame, le quali sono volte, piuttosto, a garantire la sicurezza stradale.
Egualmente, le disposizioni censurate colliderebbero con l'art. 42, secondo comma, Cost.: esse, infatti, dovrebbero avere una finalità di tutela della sicurezza della circolazione stradale, e non anche di disciplina delle modalità di godimento di beni di proprietà privata. Il divieto di apporre sull'autovettura il marchio e la ragione sociale di soggetti diversi dal proprietario del veicolo violerebbe, così, il generale principio di libera fruibilità della proprietà privata.
L'ordinanza di rimessione ravvisa anche ragioni di contrasto delle norme censurate con l'art. 76 Cost., in quanto tra i principi e criteri direttivi determinati nella L. 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) non ve ne sarebbe stato alcuno riferibile alla regolamentazione della materia pubblicitaria.
Il rimettente, infine, precisa di non poter pervenire ad una lettura costituzionalmente orientata delle norme, anche per la assoluta carenza di precedenti giurisprudenziali in tal senso.
5.- La (Soggetto 1) srl, convenuta nel giudizio a quo, ha depositato memoria di costituzione ed ha chiesto di dichiarare fondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale.
6.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, comunque, non fondate.
Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che le questioni sarebbero irrilevanti ai fini della definizione del giudizio a quo, in quanto, sia che il contratto di wrapping venga ritenuto nullo, sia che invece venga ritenuto valido, le pretese restitutorie dell'attrice troverebbero accoglimento.
L'Avvocatura generale eccepisce, poi, che la disciplina censurata è integralmente contenuta nel regolamento di esecuzione del codice della strada e, dunque, non potrebbe essere oggetto del sindacato di legittimità costituzionale (nell'atto di intervento è richiamata l'ordinanza n. 430 del 1999 di questa Corte).
La difesa statale, quanto al merito, esclude, comunque, ogni ragione di contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto le norme censurate sarebbero ispirate da criteri di ragionevolezza, essendo finalizzate a salvaguardare la sicurezza stradale e l'incolumità delle persone; ciò sul presupposto che la pubblicità sulle strade e sui veicoli è fonte di distrazione nella guida e nella circolazione in generale.
Si spiegherebbe così che le norme in argomento abbiano inteso limitare quanto più possibile la diffusione della pubblicità sui veicoli, consentendola soltanto a un numero esiguo rispetto all'intero parco circolante e prevedendo, all'uopo, rigorose regole tecniche.
Parimenti, le norme in esame sarebbero in linea con l'art. 41 Cost., essendo prevalente l'interesse alla sicurezza stradale rispetto alla libertà di iniziativa economica privata; né vi sarebbe contrasto con l'art. 42 Cost., per la già considerata necessità di evitare una eccessiva circolazione di veicoli con pubblicità.
Quanto alla ipotizzata violazione dell'art. 76 Cost., l'Avvocatura evidenzia che l'art. 2 della L. n. 190 del 1991, all'alinea del comma 1, dispone che "[i]l Codice della strada dovrà essere informato alle esigenze di tutela della sicurezza stradale e ai seguenti principi e criteri direttivi: [...]", tra cui può richiamarsi il criterio di cui alla lettera u), che fa riferimento, tra l'altro, alla determinazione dei casi in cui la marcia dei veicoli costituisca, per le condizioni degli stessi, pericolo per la sicurezza della circolazione. Ciò che le norme censurate hanno messo in pratica, limitando la densità pubblicitaria sulle strade e il potenziale effetto distraente derivante dalla stessa.
7.- Con ordinanza del 12 maggio 2021, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Roma, sedicesima sezione civile, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 2, cod. strada, come integrato dall'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992, identiche a quelle già sollevate con l'ordinanza di cui si è detto al punto 1.
8.- Il rimettente riferisce di essere stato adito da (Soggetto 3), il quale ha citato in giudizio la (Soggetto 1) srl, deducendo: di aver stipulato con la convenuta, nel maggio del 2018, un contratto con il quale si impegnava ad acquistare un autoveicolo da lui scelto presso un concessionario individuato dalla società, includendo nell'acquisto l'accessorio wrapping che sarebbe stato installato sull'auto al prezzo di Euro 5.500,00, oltre che all'acquisto di pacchetti assicurativi di società designate dalla convenuta; che il contratto prevedeva che, a fronte dell'acquisto dell'autovettura al prezzo di Euro 22.700,00, la (Soggetto 1) srl avrebbe provveduto a corrispondere al compratore un rimborso mensile per le spese assicurative, per l'attività statistica e per rimborso carburante. La società convenuta non aveva però più provveduto alla erogazione periodica delle somme pattuite, a far tempo da agosto del 2018, sicché l'attore ha domandato di risolvere il contratto per inadempimento della (Soggetto 1) srl e di condannare quest'ultima al risarcimento dei danni.
Nel costituirsi in giudizio, la (Soggetto 1) srl ha contestato la sussistenza dei presupposti per la risoluzione per suo inadempimento ed ha svolto difese analoghe a quelle già esposte nel giudizio relativo alle questioni iscritte al n. 142 del registro ordinanze 2022.
Il Tribunale di Roma ha ripercorso le stesse argomentazioni contenute nell'ordinanza di cui al giudizio iscritto al n. 142 reg. ord. 2022.
9.- La (Soggetto 1) srl, convenuta nel giudizio a quo, ha depositato memoria di costituzione ed ha chiesto di dichiarare fondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale.
10.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, in subordine, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nella difesa relativa al giudizio iscritto al n. 142 reg. ord. 2022.
11.- In prossimità dell'udienza pubblica, e in entrambi i giudizi, la società (Soggetto 1) srl e il Presidente del consiglio dei ministri hanno depositato memorie, ribadendo le rispettive conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Tribunale ordinario di Roma, sedicesima sezione civile, in composizione monocratica, con due ordinanze iscritte rispettivamente ai numeri 142 e 155 del registro ordinanze 2022, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 21, 41, 42 e 76 Cost., dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 285 del 1992, come integrato dall'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992, nella parte in cui: a) consentendo la pubblicità non luminosa sui veicoli "se non effettuata per conto terzi a titolo oneroso", vieta tale pubblicità a titolo oneroso; b) permettendo per le autovetture a uso privato "unicamente l'apposizione del marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo", ne vieta l'apposizione nell'interesse di soggetti diversi da tale ditta.
1.1.- Il Tribunale riferisce di essere stato adito, nel primo giudizio, da (Soggetto 2) che ha citato la (Soggetto 1) srl, deducendo: di avere stipulato con quest'ultima, nel luglio del 2017, un contratto no-cost per l'acquisto di un'autovettura; che il contratto prevedeva l'erogazione di un finanziamento alla compratrice; che la vettura doveva essere di colore bianco, per rendere più visibili gli adesivi pubblicitari da apporre nel corso del rapporto; che, incluso nelle rate di restituzione del finanziamento, vi era un importo a titolo di installazione dell'accessorio wrapping, richiesto dalla venditrice per consentire l'inserimento di pellicole adesive sull'autoveicolo; che la società convenuta si obbligava a rimborsare alla compratrice un importo mensile per l'intera durata del contratto. Operati alcuni parziali pagamenti, la società non aveva però più provveduto alla erogazione periodica delle somme pattuite, sicché l'attrice, dopo aver estinto anticipatamente il finanziamento, ha domandato che venisse accertato il proprio diritto al rimborso delle rate scadute e a scadere.
Nel secondo giudizio, il Tribunale di Roma riferisce di essere stato adito da (Soggetto 3), il quale ha citato la medesima società, deducendo: di aver con essa stipulato, nel maggio del 2018, un contratto con il quale si impegnava ad acquistare un autoveicolo presso un concessionario individuato dalla società, includendo nell'acquisto l'accessorio wrapping; che il contratto prevedeva, a fronte dell'acquisto della vettura, un rimborso mensile da parte della (Soggetto 1) srl. Quest'ultima non aveva però più provveduto ai pagamenti, sicché l'attore ha chiesto di risolvere il contratto per inadempimento della società convenuta e di condannarla al risarcimento dei danni.
1.2.- Nel costituirsi in entrambi i giudizi, la (Soggetto 1) srl ha contestato che il contratto inter partes abbia avuto ad oggetto l'acquisto dell'autovettura, consistendo, piuttosto, nello scambio tra servizi di pubblicità resi dal driver e un corrispettivo consistente nel rimborso dei ratei di finanziamento dell'autoveicolo. La società convenuta ha inoltre negato il proprio inadempimento, dovendosi il contratto intendere risolto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, a causa dell'interpretazione data dalle autorità di polizia alla normativa sulla circolazione stradale e dell'orientamento dello stesso Tribunale di Roma; interpretazione che aveva portato a ravvisare un illecito amministrativo nell'apposizione sui veicoli dei messaggi pubblicitari ancorché si trattasse di pubblicità non luminosa e non rifrangente. Ha infine ricordato che, in altri giudizi, era stata accertata d'ufficio la nullità di contratti simili a quelli intercorsi con le parti attrici.
1.3.- Accogliendo l'eccezione proposta da (Soggetto 1) srl, il Tribunale di Roma ha sollevato, in entrambi i giudizi, le indicate questioni.
2.- Quanto alla rilevanza, il rimettente ne afferma la sussistenza, atteso il carattere inderogabile delle norme censurate e considerato che i contratti dedotti nei giudizi a quibus colliderebbero con i limiti e le condizioni stabiliti dal regolamento per l'apposizione di insegne pubblicitarie non luminose sui veicoli; ciò darebbe luogo ad una nullità "virtuale" dei medesimi contratti, con conseguente rilevanza delle questioni in rapporto alle domande su di essi fondate.
3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che, avuto riguardo alla ratio della normativa in esame, consistente nella sicurezza della circolazione stradale, ovvero nella prevenzione di ogni rischio di abbagliamento o di distrazione dell'attenzione nella guida per i conducenti degli altri veicoli, il combinato disposto dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 285 del 1992 e dell'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992, contrasterebbe con l'art. 3, primo comma, Cost. Irragionevolmente, infatti, le norme censurate, da un lato, disciplinano in modo diverso la pubblicità non luminosa sui veicoli, consentendo quella non eseguita per conto terzi a titolo oneroso e vietando, invece, quella effettuata per conto terzi a titolo oneroso; dall'altro, con riferimento alle autovetture ad uso privato, regolamentano in maniera differente la pubblicità consistente nell'apposizione del marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo e quella in cui tale apposizione riguarda soggetti diversi dal proprietario.
Ad avviso del rimettente, il combinato disposto delle norme censurate contrasterebbe anche con l'art. 41 Cost., giacché si tradurrebbe in una limitazione all'autonomia contrattuale privata, e con l'art. 42 Cost., in quanto il divieto di apporre sull'autovettura il marchio e la ragione sociale di soggetti diversi dal proprietario del veicolo violerebbe il generale principio di libera fruibilità della proprietà privata.
L'ordinanza di rimessione ravvisa, altresì, ragioni di contrasto delle norme censurate con l'art. 76 Cost., in quanto tra i principi e criteri direttivi determinati nella L. n. 190 del 1991 non ve ne sarebbe alcuno riferibile alla regolamentazione della materia pubblicitaria.
Il Tribunale di Roma, infine, sottopone a questa Corte il possibile contrasto del combinato disposto censurato con l'art. 21 Cost. solo per "rispetto dell'iniziativa" della società convenuta nel giudizio a quo, che tale violazione aveva eccepito.
4.- Per l'integrale coincidenza delle questioni sollevate e dei parametri evocati, i due giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, nei propri atti di costituzione, ha eccepito l'inammissibilità delle questioni per un duplice profilo.
La decisione di questa Corte, ad avviso della difesa statale, sarebbe del tutto indifferente ai fini della definizione dei giudizi a quibus, in quanto, sia che il contratto di wrapping venga inteso nullo, sia che invece venga considerato valido e tuttavia risolto, le pretese delle parti attrici in quei giudizi dovrebbero essere accolte.
Inoltre, la disciplina censurata sarebbe integralmente contenuta nel regolamento di esecuzione del codice della strada e, dunque, non potrebbe essere oggetto del sindacato di legittimità costituzionale (in proposito, l'interveniente richiama l'ordinanza n. 430 del 1999 di questa Corte).
6.- Tale ultima eccezione, che per ragioni di ordine logico va esaminata in via prioritaria, è fondata.
7.- Questa Corte ha chiarito che la sua giurisdizione è limitata alla cognizione della legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge e non si estende a norme di natura regolamentare (sentenza n. 427 del 2000; ordinanze n. 254 del 2016, n. 156 del 2013, n. 37 del 2007, n. 401 e n. 125 del 2006 e n. 389 del 2004).
Il sindacato di legittimità della normativa subprimaria è rimesso, piuttosto, alla cognizione del giudice comune, ovvero alla giurisdizione di annullamento del giudice amministrativo e al potere di disapplicazione incidentale di ogni altro giudice (sentenza n. 333 del 1991).
Fanno eccezione a tale regola, e sono state così sottoposte allo scrutinio di legittimità costituzionale, le norme scaturenti dal congiunto operare della disposizione legislativa e della fonte secondaria, nei casi in cui la prima risulti "in concreto applicabile attraverso le specificazioni formulate nella fonte secondaria" (sentenze n. 263 del 2022 e n. 1104 del 1988; nello stesso senso, sentenze n. 92 del 2021, n. 241 e n. 3 del 2019, n. 224 e n. 200 del 2018, n. 16 del 2017 e n. 178 del 2015).
7.1.- Chiamata a decidere le questioni di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 76 e 3 Cost. - dell'art. 57, commi 2, 3 e 4, del D.P.R. n. 495 del 1992, nella parte in cui non viene consentita la pubblicità non luminosa per conto terzi su veicoli diversi da quelli adibiti a trasporti di linea e a taxi, per eccedenza delle prescrizioni regolamentari rispetto ai limiti indicati dagli artt. 1 e 23 cod. strada e dall'art. 2 della relativa legge delega, questa Corte, nell'ordinanza n. 430 del 1999, ha osservato che la norma censurata è contenuta nel regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, emanato in forza dell'art. 3 della legge delega, ai sensi dell'art. 17 della L. 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), "cioè in un atto non avente forza di legge ai sensi dell'art. 134 della Costituzione"; concludendo che, "per il suo carattere meramente regolamentare, essa è inidonea a formare oggetto di giudizio incidentale di costituzionalità".
7.2.- Dalla lettura combinata delle norme censurate dall'odierno rimettente, risulta che l'art. 23, comma 2, cod. strada, da un lato, contiene un divieto assoluto di "apposizione di scritte o insegne pubblicitarie luminose sui veicoli"; dall'altro, consente invece l'apposizione di "scritte o insegne pubblicitarie rifrangenti", ma nei "limiti e alle condizioni stabiliti dal regolamento", ponendo, altresì, una condizione cui neppure la norma secondaria può derogare, e cioè quella che "sia escluso ogni rischio di abbagliamento o di distrazione dell'attenzione nella guida per i conducenti degli altri veicoli".
L'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 285 del 1992 contiene, dunque, unicamente la disciplina delle scritte o insegne pubblicitarie "luminose" e "rifrangenti", disponendo per le prime una proibizione senza eccezioni e per le seconde (cioè, soltanto per le "rifrangenti") rimettendo al regolamento di esecuzione e di attuazione di prescrivere limiti e condizioni, e, da ultimo, ponendo un criterio sovraordinato di legittimità alla fonte secondaria, costituito dalla verifica che le modalità assentite di apponibilità delle scritte o insegne rifrangenti non siano comunque fonte di rischio di abbagliamento o di distrazione per i conducenti degli altri veicoli.
7.3.- L'art. 23 del D.Lgs. n. 285 del 1992, intendendo delineare la disciplina della pubblicità sulle strade e sui veicoli, è una delle norme del codice della strada cui corrisponde il maggior numero di disposizioni di dettaglio nel regolamento di esecuzione e di attuazione. Alla pubblicità sulle strade e sui veicoli è, infatti, dedicato l'intero paragrafo 3 del Titolo II del D.P.R. n. 495 del 1992, con gli articoli da 47 a 59.
L'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992, in particolare, prescrive che "[l]'apposizione sui veicoli di pubblicità non luminosa" è consentita: a) salvo quanto previsto nel comma 3 specificamente per la pubblicità non luminosa per conto terzi sui veicoli adibiti al servizio taxi; b) salvo quanto previsto nel comma 4 per l'apposizione di scritte e messaggi pubblicitari rifrangenti, alle condizioni ivi indicate; c) fermi restando i limiti massimi di sagoma per larghezza, altezza e lunghezza dei veicoli dettati dall'art. 61 cod. strada; d) unicamente se non effettuata per conto terzi a titolo oneroso e se realizzata con sporgenze non superiori a 3 cm rispetto alla superficie del veicolo sulla quale sono applicate; e) sulle autovetture ad uso privato unicamente ove riproduca il marchio e la ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo.
7.4.- La Corte di cassazione ha interpretato le norme censurate nel senso che l'art. 23, comma 2, cod. strada contiene due precetti: uno reca il divieto di apposizione di scritte o insegne pubblicitarie luminose, mentre l'altro riconosce legittima l'apposizione di quelle rifrangenti nei limiti previsti dal regolamento; la norma regolamentare dettata dall'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992, quindi, "completa la fattispecie stabilendo la legittimità senza alcun tipo di accertamento (per cui sono consentite sempre) dell'apposizione di scritte e insegne non luminose" (sezione seconda civile, sentenza 20 gennaio 2022, n. 1793).
7.5.- Secondo un principio generale, l'ammissibilità dello scrutino di legittimità costituzionale del combinato disposto di una norma legislativa e di una regolamentare poggia sul presupposto che la seconda, integrando il precetto posto dalla prima, non lo contraddica: l'eventuale illegittimità in concreto dell'integrazione amministrativa, infatti, "radicherebbe il potere-dovere del giudice ordinario di disapplicare caso per caso" l'atto regolamentare (sentenza n. 133 del 1992).
Viceversa, l'interprete non può identificare il contenuto di una norma di legge sulla scorta di disposizioni aventi, in base alla gerarchia delle fonti del diritto positivo, valore inferiore e secondario, quando queste contrastino con la legge. In tal caso deve escludersi "il giudizio sulla costituzionalità della legge per una asserita illegittimità del contenuto della norma regolamentare, anche se emanata per l'esecuzione della legge medesima" (così già sentenza n. 102 del 1972).
7.6.- Il combinato disposto dell'art. 23, comma 2, cod. strada e dell'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992 potrebbe, allora, dirsi suscettibile di questione incidentale di legittimità costituzionale soltanto per la parte in cui la norma primaria, consentendo l'apposizione di scritte o insegne pubblicitarie rifrangenti, nei limiti e alle condizioni stabiliti dal regolamento (purché sia escluso ogni rischio di abbagliamento o di distrazione dell'attenzione nella guida per i conducenti degli altri veicoli), risulti in concreto applicabile attraverso le specificazioni formulate nell'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992.
Unicamente per l'apposizione di scritte o insegne pubblicitarie rifrangenti la disposizione subprimaria riveste, in sostanza, quel ruolo di completamento della disposizione primaria che ne giustificherebbe il sindacato ("indiretto") di legittimità costituzionale. E in realtà, alla specificazione delle condizioni in cui è ammessa l'apposizione di scritte e messaggi pubblicitari rifrangenti, provvede poi espressamente il comma 4 dello stesso art. 57 del D.P.R. n. 495 del 1992.
7.7.- Le ordinanze di rimessione riferiscono che le fattispecie oggetto dei giudizi principali riguardano contratti per l'apposizione sui veicoli di insegne pubblicitarie non luminose né rifrangenti; ipotesi, come visto, del tutto estranee al contenuto precettivo dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 285 del 1992.
Non di meno, il rimettente, nel formulare le questioni di legittimità costituzionale, suppone proprio che le prescrizioni dell'art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 495 del 1992, si estendano alla disciplina della pubblicità non luminosa o rifrangente sui veicoli, e perciò ritiene illegittimi i limiti e le condizioni ivi dettati in rapporto alla ratio del combinato disposto in esame, ravvisata nella sicurezza della circolazione stradale, ovvero nel prevenire ogni rischio di abbagliamento o di distrazione dell'attenzione nella guida per i conducenti degli altri veicoli.
7.8.- È dunque posta a fondamento delle stesse ordinanze di rimessione la prospettazione di una difformità tra il regolamento e la legge sulla quale esso si fonda, il che darebbe luogo ad un vizio non di illegittimità costituzionale, ma di illegittimità della fonte secondaria.
L'ipotizzata contrarietà della disposizione regolamentare alla norma di legge di cui dovrebbe costituire esecuzione rende, quindi, inammissibile lo scrutinio di questa Corte e va risolta mediante gli ordinari rimedi giurisdizionali.
7.9.- L'accoglimento della esaminata eccezione assorbe l'ulteriore dedotta dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento alla rilevanza delle questioni sollevate in rapporto ai possibili esiti dei giudizi a quibus.
8.- Le questioni devono, dunque, essere dichiarate inammissibili.
P.Q.M.
La Corte Costituzionale
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come integrato dall'art. 57, comma 1, del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21, 41, 42 e 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, sedicesima sezione civile, in composizione monocratica, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2023.
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023.
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