Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Civile, Sezione terza, sentenza n. 62 del 3 gennaio 2023
Corte di Cassazione Civile, Sezione III, sentenza numero 62 del 03/01/2023
Circolazione Stradale - Art. 193 del Codice della Strada - Incidente stradale - Risarcimento - Modulo di constatazione amichevole - Attendibilità del testimone - La sottoscrizione del modulo di constatazione amichevole, o CAI, dà luogo, a termini dell’art. 143 d.lgs. n. 209 del 2005, ad una presunzione di rispondenza tra accaduto e dichiarato, ma che ben può essere superata dalle risultanze istruttorie di segno contrario desumibili dagli atti, mentre il sindacato sul giudizio di attendibilità del testimone spetta al giudice del merito, cui è insindacabilmente riservata l’attività di ricostruzione dei fatti e di apprezzamento delle prove.
FATTI DI CAUSA
1. (Soggetto 1) convenne in giudizio la (Soggetto 2) Assicurazioni s.p.a., già (Soggetto 3) Assicurazioni s.p.a., (Soggetto 4) e (Soggetto 5) dinanzi al Tribunale di Palermo, domandandone la condanna, in solido, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza di un incidente stradale, quantificati nella complessiva somma di Euro 536.938,00.
Espose che il giorno 26 aprile 2010, mentre si trovava, in qualità di trasportato, sul motociclo Honda, assicurato con la (Soggetto 2), di proprietà di (Soggetto 4) e condotto da suo padre, (Soggetto 5), quest'ultimo, nell'effettuare la manovra di sorpasso di un motociclo che lo precedeva, aveva invaso l'opposta corsia di marcia ed aveva colliso con un'autovettura di proprietà della (Soggetto 6) s.r.l. e condotta da (Soggetto 7). Soggiunse che, a seguito dell'incidente, aveva riportato gravi lesioni personali da cui erano conseguiti postumi invalidanti a carattere permanente nella misura del 40%, oltre ad un lungo periodo di invalidità temporanea totale e parziale.
La società assicuratrice, costituitasi in giudizio, contestò le allegazioni del danneggiato e resisté alla domanda.
Il Tribunale - ritenuta raggiunta la prova del fatto storico sulla scorta della dichiarazione dell'unico testimone escusso in giudizio, conforme al contenuto del modulo di constatazione amichevole sottoscritto dai presunti conducenti dei veicoli coinvolti e alle dichiarazioni confessorie rese da (Soggetto 5) in sede di interrogatorio formale - accolse parzialmente la domanda e condannò la società di assicurazione a pagare all'attore la complessiva somma di Euro 234.624,00, oltre al rimborso delle spese in giudizio, compensate nella misura di un terzo e liquidate nell'importo di Euro 7.022,50
2. In seguito al gravame proposto dalla (Soggetto 2) Assicurazioni s.p.a., la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 1732 del 4 settembre 2019, nel contraddittorio con l'attore e nella contumacia degli altri convenuti, ha invece rigettato la domanda proposta da (Soggetto 1), per non avere egli assolto l'onere di dimostrare la circostanza di viaggiare, in qualità di terzo trasportato, sul motociclo coinvolto nell'incidente stradale del 26 aprile 2010.
La Corte territoriale ha ritenuto insufficienti al riguardo, le prove dedotte ed assunte nel precedente grado di giudizio, sui rilievi: a) che le dichiarazioni confessorie di (Soggetto 5), asserito conducente, non avevano valore di prova legale ma, in conformità ad un principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (è stata citata la sentenza 5 maggio 2006, n. 10311 delle Sezioni Unite di questa Corte), restavano soggette al libero apprezzamento del giudice; b) che la sottoscrizione del modulo di constatazione amichevole da parte dei conducenti coinvolti nel sinistro dava luogo, ai sensi dell'art. 143 del decreto legislativo n. 209 del 2005, ad una presunzione, superabile dalla prova contraria eventualmente fornita dalla società assicuratrice; c) che tanto le dichiarazioni confessorie quanto la rappresentazione del sinistro contenuta nel modulo di constatazione amichevole non trovavano conferma nella deposizione dell'unico teste escusso in giudizio, (Soggetto 8); d) che tale deposizione era, infatti, smentita dagli elementi probatori di segno contrario acquisiti in atti, quali la richiesta di intervento del 118, formulata nell'immediatezza del fatto dallo stesso (Soggetto 8) (in cui si alludeva ad un incidente che aveva coinvolto due ragazzi) e le dichiarazioni rese, nel giudizio promosso dalla società proprietaria dell'autoveicolo per il risarcimento dei danni da questo riportati, dal teste (Soggetto 9), il quale aveva confermato che a bordo del motociclo vi erano due ragazzi; e) che, tenendo conto di tali risultanze, nonché di ulteriori circostanze indiziarie (la mancata illustrazione delle ragioni per le quali padre e figlio si trovassero entrambi a bordo di un motociclo appartenente ad un terzo soggetto; la presumibile giovane età di quest'ultimo, (Soggetto 4), le cui generalità non erano indicate in alcun atto difensivo, ma che era desumibile dalla circostanza che la notifica degli atti introduttivi dei due gradi di merito era stata ricevuta in entrambi i casi dalla di lui madre, (Soggetto 10), con la quale egli evidentemente coabitava), doveva dunque escludersi che il motociclo fosse condotto da (Soggetto 5) e doveva pertanto ritenersi mancante la prova della qualità di terzo trasportato da parte di (Soggetto 1); f) che a tale conclusione, infine, doveva pervenirsi senza valorizzare la produzione documentale effettuata in appello da (Soggetto 2) s.p.a., da ritenersi nuova e pertanto inammissibile, ai sensi dell'art. 345 c.p.c..
3. Propone ricorso per cassazione (Soggetto 1) sulla base di tre motivi. Risponde con controricorso (Soggetto 2) Assicurazioni s.p.a.. Non svolgono difese gli altri intimati.
In seguito a rimessione della Sesta Sezione civile, Sottosezione Terza, ex art. 380-bis c.p.c., ultimo comma, c.p.c., è stata fissata la pubblica udienza di questa sezione; il ricorso è stato, peraltro, trattato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Il Procuratore Generale, nella persona del dott. Alessandro Pepe, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Le parti non hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo viene denunciata «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c.».
Esso si articola in quattro sub-motivi.
1.1. Con il primo sub-motivo viene dedotta la violazione dell'art. 345, terzo comma, c.p.c., per avere la Corte territoriale violato il divieto assoluto di consentire il deposito di nuovi documenti in grado di appello, permettendo la produzione (e successivamente omettendo di ordinare l'espunzione) di un documento - genericamente identificato come «la dichiarazione della "Carrefour" dell'11/12/2015» (p. 3 del ricorso per cassazione) - che «se rimane in atti, incide in ogni caso sulla decisione» (p. 4 ricorso, cit.).
1.1.a. Questa censura è manifestamente inammissibile.
Essa, infatti, per un verso, difetta di specificità in relazione al tenore della decisione impugnata, in quanto la Corte di merito ha espressamente evidenziato che l'accertamento della circostanza di fatto che, al momento dell'incidente, sul motociclo viaggiavano due ragazzi (il che implicava l'ulteriore accertamento che esso non era condotto dal padre di (Soggetto 1) e che quindi difettava la prova che quest'ultimo si trovasse sul mezzo in qualità di trasportato), era stato compiuto «senza valorizzare il contenuto della produzione documentale nuova e pertanto inammissibile ex art. 345 comma III c.p.c.» (p. 9 della sentenza impugnata).
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata comporta l'inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. 03/08/2007, n. 17125; Cass. 18/02/2011, n. 4036).
L'esigenza di specificità del motivo di ricorso esige, infatti, la sua riferibilità alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sorreggono la sentenza sottoposta ad impugnazione (cfr., in tema, Cass. 31/08/2015, n. 17330).
Per altro verso, la doglianza in esame, evoca genericamente il documento depositato come la «dichiarazione della "Carrefour" dell'11/12/2015», senza riprodurne direttamente o indirettamente il contenuto, in violazione della disposizione di cui all'art. 366 n. 6 c.p.c., e traendone l'immotivata implicazione che esso avrebbe inciso in ogni caso sulla decisione, omettendo di tenere in minimo conto il giudizio di inammissibilità della relativa produzione formulato dalla sentenza impugnata che, invece, coerentemente con tale giudizio, aveva correttamente escluso il documento medesimo dal novero delle prove poste a fondamento della decisione.
1.2. Con il secondo sub-motivo viene denunciata violazione dell'art. 2733 c.c., per avere la Corte di merito erroneamente fatto applicazione del terzo comma di tale disposizione dopo aver citato, «a sproposito» (p. 4 del ricorso), la sentenza delle Sezioni Unite n. 10311 del 2006, avente ad oggetto la confessione resa tramite CAI.
Il ricorrente sostiene che, nella fattispecie, venendo in considerazione la confessione resa dal sig. (Soggetto 5) in sede giudiziale, avrebbe dovuto piuttosto applicarsi il secondo comma del medesimo art. 2733: la confessione, pertanto, non sarebbe stata soggetta al libero apprezzamento del giudice, ma avrebbe formato piena prova nei confronti del confitente.
1.2.a. Anche questa doglianza è manifestamente inammissibile.
In primo luogo, anch'essa incorre nella violazione dell'art.366 n. 6 c.p.c., facendosi riferimento ad un atto - la confessione giudiziale di uno dei convenuti - senza riprodurne in modo diretto o indiretto il contenuto nel ricorso.
In proposito va ricordato che, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di atti processuali, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, al fine di consentire al giudice di legittimità di individuare i termini della censura sulla sola base del ricorso, il quale deve contenere in se' tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permetterne l'esame (in termini: Cass. 10/12/2020, n. 28184; Cass. 07/03/2018, n. 5478; Cass. 27/07/2017, n. 18679). La mancata riproduzione diretta o indiretta del contenuto dell'atto evocato costituisce, pertanto, un'evidente violazione dell'art. 366 n.6 c.p.c., cui consegue la sanzione dell'inammissibilità del motivo di ricorso.
In secondo luogo, la doglianza è inammissibile per manifesta infondatezza, ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1, c.p.c., atteso che il principio (reiteratamente affermato da questa Corte: Cass. 04706/2009, n. 12866; Cass. 13/02/2013, n. 3567; Cass. 14710/2019, n. 25770) secondo cui la dichiarazione confessoria, resa dal responsabile del danno - litisconsorte necessario dell'assicuratore ai sensi dell'art. 144, terzo comma, del d.lgs. n. 209 del 2005 - non ha valore di piena prova e va liberamente apprezzata dal giudice, deve trovare applicazione, oltre che nell'ipotesi di confessione stragiudiziale, anche - e a fortiori - in ipotesi di confessione giudiziale.
Giova, infatti, ricordare, al riguardo, che l'art. 2733, terzo comma, c.c. - a mente il quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice - è dettato proprio con riferimento alla confessione giudiziale.
1.3. Con il terzo sub-motivo viene denunciata la violazione dell'art. 143 del decreto legislativo n. 209 del 2005, sul presupposto che la (Soggetto 2) non avrebbe assolutamente fornito alcuna prova idonea a superare la presunzione di rispondenza tra accaduto e dichiarato, fondata sulla sottoscrizione del modulo di constatazione amichevole d'incidente da parte dei conducenti dei veicoli in esso coinvolti.
1.3.a. Anche questa doglianza è manifestamente inammissibile già per il fatto di incorrere, al pari delle precedenti, nella violazione dell'art. 366 n. 6 c.p.c., non essendo riprodotto direttamente o indirettamente il contenuto del documento evocato.
Inoltre, il ricorrente non censura la sentenza impugnata per avere escluso il valore presuntivo della descrizione del sinistro contenuta nel modulo di constatazione amichevole (nel che soltanto sarebbe ravvisabile la violazione della norma in questione) ma per aver ritenuto che la (Soggetto 2) non avesse fornito la prova contraria, idonea a vincere la presunzione medesima.
La doglianza è dunque inammissibile, poiché si traduce nella critica ad un accertamento di merito insindacabilmente compiuto dalla Corte territoriale, la quale, movendo dall'esatta premessa, in iure, secondo cui la sottoscrizione del modulo di constatazione amichevole «dà luogo, a termini dell'art. 143 d.lgs. n. 209 del 2005, ad una presunzione di rispondenza tra accaduto e dichiarato» (p. 7 della sentenza impugnata), ha motivatamente ritenuto, tuttavia, che, nella fattispecie, essa presunzione fosse superata dalle risultanze istruttorie di segno contrario desumibili dagli atti.
1.4. Con il quarto sub-motivo viene denunciata la violazione dell'art. 2721 c.c., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto inattendibile il teste (Soggetto 8), escusso all'udienza del 23 aprile 2014.
1.4.a. La manifesta inammissibilità della doglianza è resa evidente dalla circostanza che con essa - paludando una inesistente regola di prevalenza della deposizione testimoniale in senso proprio sulle dichiarazioni rese al di fuori del processo (senza tener conto che le prove atipiche sono, al pari di quelle tipiche, soggette al libero apprezzamento del giudice, salvo che si tratti di prove legali) - invoca dalla Corte di legittimità un sindacato sul giudizio di attendibilità del testimone espresso dal giudice del merito, cui è insindacabilmente riservata l'attività di ricostruzione dei fatti e di apprezzamento delle prove.
Il primo motivo di ricorso va dunque dichiarato inammissibile per manifesta inammissibilità di ognuna delle quattro doglianze in cui esso si articola.
2. Del pari inammissibili sono il secondo e il terzo motivo.
Con il secondo motivo viene formulata richiesta di «riduzione della domanda risarcitoria proposta nei precedenti giudizi di merito» (p. 6 del ricorso), mediante diminuzione del petitum all'importo di Euro 260.000.
2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile in quanto non viene formulata alcuna censura alla sentenza impugnata, inquadrabile in uno dei motivi di ricorso descritti nell'art. 360 c.p.c..
3. Con il terzo motivo si invoca la condanna della resistente al pagamento delle spese di «entrambi» i gradi di giudizio (p. 7 del ricorso), con distrazione delle stesse in favore del procuratore antistatario.
3.1. Anche questo motivo è manifestamente inammissibile, in quanto l'invocata condanna della controparte nelle spese avrebbe postulato, a seguito dell'accoglimento dei motivi di ricorso, la rinnovazione del giudizio sulla domanda risarcitoria e, con essa, quella del regolamento delle spese dei due gradi del giudizio di merito, avuto riguardo ai profili di soccombenza e vittoria; al contrario, la declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, quale si impone nel caso di specie, per un verso implica la condanna del ricorrente a rimborsare alla società controricorrente le spese del giudizio di legittimità; per l'altro, rende inammissibile una nuova pronuncia sulle spese dei gradi di merito.
4. In definitiva, il ricorso proposto da (Soggetto 1) deve essere dichiarato inammissibile.
5. Come detto, le spese del giudizio di legittimità relative al rapporto processuale tra il ricorrente e la società controricorrente seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Non vi è luogo a provvedere, invece, sulle spese relative ai rapporti processuali con gli altri intimati, che non hanno svolto difese in sede di legittimità.
6. A norma dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
condanna il ricorrente a rimborsare alla società controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2023.
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