Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Consiglio di Stato, Sezione quinta, sentenza n. 9314 del 28 ottobre 2022

 

Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza numero 9314 del 28/10/2022
Circolazione Stradale - Art. 120 del Codice della Strada - Requisiti soggettivi per ottenere il rilascio della patente di guida - Detenzione di sostanze con finalità di spaccio - Fatto di lieve entità - L'art. 120, comma 1 del C.d.S. non prevede alcuna distinzione della rilevanza della condanna per la lieve entità del fatto di reato, imponendo comunque all'amministrazione l'emanazione di un provvedimento di diniego del rilascio della patente di guida poiché la distinzione delle condotte descritte nei commi 1 e 5 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 rileva in sede penale ma non anche ai fini dell'applicazione dell'art. 120, comma 1, del codice della strada, per il quale la misura dell'esclusione dal conseguimento della patente di guida deve conseguire essere sempre applicata.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 895 del 2017, proposto da

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, Ufficio della Motorizzazione Civile di Mantova, U.T.G. - Prefettura di Mantova, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

(Soggetto 1), non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, (Omissis), resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 20 settembre 2022 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l'appello in trattazione, il Ministero delle infrastrutture chiede la riforma della sentenza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha accolto il ricorso del sig. (Soggetto 1), proposto per l'annullamento della nota del direttore dell'Ufficio della Motorizzazione di Mantova del 31 marzo 2015 con la quale questi era stato escluso dal conseguimento della patente di guida di tipo B, ai sensi dell'art. 120, comma 1, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada).

Il provvedimento impugnato era motivato dal fatto che nei confronti del (Soggetto 1) era stata emessa sentenza di condanna a 8 mesi di reclusione e 1.400,00 Euro di multa, per la detenzione di anfetamine con finalità di spaccio. La sentenza aveva qualificato il fatto come di lieve entità ai sensi dell'art. 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, riconoscendo anche il beneficio della sospensione condizionale della pena, tenuto conto della giovane età e dell'assenza di altre condanne.

2. Il giudice ha motivato la decisione di accoglimento in base a una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 120, comma 1, del codice della strada, fondata sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni in L. 21 febbraio 2006, n. 49, che aveva modificato gli artt. 14 e 73 del D.P.R. n. 309 del 1990. Ha ritenuto, quindi, che "nello scenario aperto dalla sentenza costituzionale n. 32/2014 e dalla nuova formulazione della fattispecie di lieve entità ex art. 73 comma 5 del D.P.R. n. 309 del 1990" sia venuto meno "l'automatismo della revoca o del diniego di rilascio della patente di guida ex art. 120 commi 1 e 2 del codice della strada in relazione alla fattispecie di lieve entità e alla condanna per droghe leggere, purché in quest'ultimo caso la pena in concreto applicata non superi il massimo edittale della fattispecie di lieve entità. ... La perdita dell'automatismo implica l'obbligo per la Prefettura di valutare in concreto la posizione dell'interessato, tenendo conto non solo delle condanne penali ma anche della condotta successiva e delle prospettive di reinserimento sociale" (punti 20, 31 e 32 della sentenza appellata).

Il fatto che il testo dell'art. 120, comma 1, del codice della strada sia rimasto inalterato non impedirebbe che, nei casi sopra precisati, si riespanda il principio generale della valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione.

3. Il Ministero delle infrastrutture ha proposto appello, deducendo l'ingiustizia della sentenza per la violazione dell'art. 120, comma 1, del codice della strada, in combinato disposto con l'art. 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

4. Il (Soggetto 1) non si è costituito in appello.

5. All'udienza del 20 settembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Con l'unico motivo di appello il Ministero sottolinea come l'interpretazione della normativa fatta propria dal giudice di prime cure, non trovi aggancio in alcun dato testuale, dal momento che l'art. 120, comma 1, del codice della strada (pur a seguito delle modifiche che hanno interessato l'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990) non opera alcuna distinzione tra le fattispecie di reato punibili ai sensi dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 cit., imponendo sempre e comunque all'amministrazione il dovere di emanare il provvedimento di diniego al rilascio (o di revoca) della patente di guida nei confronti di coloro che sono stati condannati. Lamenta, inoltre, l'erronea trasposizione al campo delle conseguenze amministrative delle conclusioni a cui è pervenuta la giurisprudenza penale in materia di lieve entità del fatto.

7. L'appello è fondato.

7.1. Come esattamente prospettato dall'amministrazione appellante, non vi è alcun aggancio testuale che avalli l'interpretazione proposta dal giudice di primo grado. L'art. 120, comma 1, del Codice della strada (secondo cui: "Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all'articolo 2, e dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonché i soggetti destinatari dei divieti di cui agli articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f), del medesimo testo unico di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti divieti. Non possono di nuovo conseguire la patente di guida le persone a cui sia applicata per la seconda volta, con sentenza di condanna per il reato di cui al terzo periodo del comma 2 dell'articolo 222, la revoca della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo comma") non prevede alcuna distinzione della rilevanza della condanna per la lieve entità del fatto di reato, imponendo comunque all'amministrazione l'emanazione di un provvedimento di diniego del rilascio della patente di guida ai soggetti condannati per i reati di cui all'artt. 73 e 74 del D.P.R. n. 309 del 1990. La distinzione delle condotte descritte nei commi 1 e 5 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 rileva in sede penale ma non anche ai fini dell'applicazione dell'art. 120, comma 1, del codice della strada, per il quale la misura dell'esclusione dal conseguimento della patente di guida deve conseguire essere sempre applicata quando la condanna riguardi i reati previsti dall'art. 73, commi 1 e 5, del D.P.R. n. 309 del 1990 (in tal senso si vedano Consiglio di Stato, sez. V, 25 luglio 2017, n. 3673; id., sez. III, 15 novembre 2016, n. 4723).

7.2. A confermare quanto sopra affermato è intervenuta anche la sentenza n. 152 del 2021 della Corte Costituzionale, che ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti dell'art. 120, comma 1, del codice della strada.

Al riguardo, deve rammentarsi che in precedenza, con sentenza n. 22 del 2018, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del codice della strada nella parte in cui, con riguardo alle ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, intervenuta in data successiva a quella di rilascio della patente di guida, disponeva che il prefetto provvedesse alla revoca della patente in via automatica. La disposizione, infatti, ricollegava in via automatica la revoca della patente ad una varietà di fattispecie non omogenee, atteso che la condanna, cui la norma faceva riferimento, poteva riguardare fatti di reato di diversa, se non addirittura di lieve entità, e che potevano essere risalenti nel tempo rispetto alla data di definizione del giudizio (e ciò a fronte della discrezionalità della parallela misura del "ritiro" della patente che, ai sensi dell'art. 85 del D.P.R. n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione "può disporre", motivandola, "per un periodo non superiore a tre anni").

Alla sentenza n. 22 del 2018 hanno fatto seguito la sentenza n. 24 del 2020, con la quale la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 120, comma 2, del codice della strada "nella parte in cui disponeva che il prefetto "provvede" - invece che "può provvedere" - alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale"; e la sentenza n. 99 del 2020, con la quale l'art. 120, comma 2, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, nella parte in cui disponeva che il prefetto "provvede" - invece che "può provvedere" - alla revoca della patente di guida nei confronti dei soggetti che sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione.

7.3. A differenza delle precedenti pronunce, con la sentenza n. 152 del 2021 la Corte Costituzionale ha ritenuto invece che le ragioni che avevano portato al superamento dell'automatismo della revoca prefettizia non fossero ugualmente riferibili al diniego del titolo abilitativo di cui al comma 1 dell'art. 120 del codice della strada. Tale conclusione si fonda sul fatto che il diniego di cui all'art. 120, comma 1, "riflette una condizione ostativa che, diversamente dalla revoca del titolo, opera a monte del suo conseguimento e non incide su alcuna aspettativa consolidata dell'interessato. Inoltre non ricorre, in questo caso, la contraddizione, che ha assunto decisivo rilievo in tema di revoca della patente, tra obbligatorietà del provvedimento amministrativo e facoltatività della parallela misura adottabile dal giudice penale in relazione alla medesima fattispecie di reato. Infine, diversamente da quanto presupposto dal giudice a quo, l'effetto ostativo al conseguimento della patente, previsto dalla disposizione censurata, non incide in modo "indifferenziato" sulla posizione dei soggetti condannati per reati in materia di stupefacenti. La diversa gravità del reato commesso, unitamente alla condotta del reo successiva alla condanna, assume, infatti, determinante rilievo ai fini del possibile conseguimento (anche dopo un solo anno nel caso di condanna con pena sospesa) di un provvedimento riabilitativo (ex artt. 178 e 179 del codice penale), che restituisce al condannato il diritto a richiedere la patente di guida" (così Corte Costituzionale, sentenza 10 giugno 2021, n. 152, che richiama anche la sentenza n. 80 del 2019 e l'ordinanza n. 81 del 2020).

Pertanto il provvedimento vincolato di diniego del rilascio della patente, previsto dall'art. 120, comma 1, del codice della strada, può dirsi giustificato su un piano di non manifesta irragionevolezza per i significativi elementi differenziali rispetto al provvedimento di revoca del titolo di guida, dovendosi così escludere la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Alla stregua delle precedenti argomentazioni, l'interpretazione dell'art. 120, comma 1, fatta propria dal primo giudice non può essere condivisa.

8. In conclusione, l'appello va accolto e, per l'effetto, va rigettato il ricorso di primo grado.

9. Considerata la peculiarità della controversia esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese giudiziali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Stefano Fantini, Consigliere

Elena Quadri, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere, Estensore

Annamaria Fasano, Consigliere.

 

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