Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 48637 del 22 dicembre 2022
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 48637 del 22/12/2022
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool - Modalità di accertamento dello stato di ebbrezza presso l'ospedale - Metodologia enzimatica - Nel reato di guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, ai fini dell'accertamento della concentrazione alcolica, il codice della strada non prescrive alcuna particolare modalità di analisi del sangue, lasciando al personale medico libertà di scelta nel metodo da usare, come quello enzimatico, purché sia scientificamente corretto, e la valutazione delle prove acquisite compete in via esclusiva al giudice.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 luglio 2021 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Sciacca del 10 giugno 2019, ha concesso a (Soggetto 1) i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, nel resto confermando la sentenza di primo grado, con cui l'imputato era stato condannato alla pena di mesi due di arresto ed Euro 1.600,00 di ammenda, oltre alla sospensione della patente di guida per anni uno, per essere stato riconosciuto colpevole del reato di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186-bis, comma 1, lett. a) e comma 3, in relazione all'art. 186, commi 2, lett. b) e comma 2-sexies, perchè, quale conducente infraventunenne con patente conseguita da meno di tre anni, si era posto alla guida di un'autovettura sotto l'influenza di bevande alcoliche, e quindi in stato di ebbrezza alcolica, manifestato attraverso i suoi tipici sintomi comportamentali (alito fortemente vinoso, linguaggio con fonemi non nitidi, tono della voce tendente all'alto, pupille degli occhi lucide) e poi accertato mediante prelievo ematico, da cui era emerso un tasso alcolemico pari a 0.92 g/l.
2. Avverso l'indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione (Soggetto 1), a mezzo del suo difensore, eccependo tre motivi di doglianza.
Con il primo ha dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 186, 186-bis C.d.S.; D.Lgs. n. 495 del 1992, art. 379; art. 191 c.p.p..
Lamenta il ricorrente l'illegittimità della decisione con cui i giudici di merito hanno escluso la configurazione dell'illecito amministrativo ex art. 186-bis C.d.S., comma 1, lett. a) e comma 3, in relazione all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a), in luogo della fattispecie penale contestatagli.
Sarebbe, in particolare, erroneo l'avvenuto accertamento di un tasso alcolemico pari a 0.92 g/l, atteso che esso sarebbe stato individuato mediante il ricorso alla metodologia enzimatica che, per come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, si connoterebbe per un considerevole margine di errore, dalla letteratura scientifica individuato in circa il 20% del risultato. Tale sovrastima avrebbe, dunque, direttamente influenzato la decisione del caso in esame, atteso che, riducendo il tasso alcolemico dell'indicata percentuale, si addiverrebbe ad un valore idoneo a consentire l'applicazione della più mite sanzione amministrativa di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a).
Con la seconda censura sono stati dedotti vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 54 c.p..
La Corte di merito avrebbe errato nel non ritenere la ricorrenza della scriminante dello stato di necessità, nella specie ravvisabile per il fatto che, per come confermato da un teste escusso, il (Soggetto 1) si era dovuto mettere repentinamente alla guida per sfuggire a possibili violenze derivanti dallo svolgimento di una rissa.
Con l'ultima doglianza il ricorrente ha eccepito vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 131-bis e 62-bis c.p..
Le specifiche modalità del fatto e il disvalore complessivo della condotta imputabile al (Soggetto 1) avrebbero dovuto consentire, infatti, l'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, nonché la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
2. Il Collegio ritiene che i motivi di ricorso dedotti siano palesemente generici, oltre che privi di adeguato confronto con le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata.
Quest'ultima, infatti, appare lineare e congrua, oltre che priva di contraddizioni evidenti, e quindi inidonea ad essere sottoposta al sindacato di legittimità, a fronte di argomenti di impugnazione meramente reiterativi di censure già sviluppate nel giudizio di appello ed ivi disattese con motivazione logica.
La Suprema Corte ha, in proposito, più volte chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, R., Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, C., Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, A., Rv. 243838-01).
In altri termini, se il motivo di ricorso in sede di legittimità si limita a ripetere quanto già chiesto al giudice precedente, riproponendo le medesime doglianze, fallisce lo scopo stesso dell'impugnazione, in quanto non si pone in maniera critica rispetto alla decisione che ne forma oggetto - di fatto rendendola indifferente rispetto alla stessa richiesta - ma solo a quella del grado precedente, così da giustificare la conseguente pronuncia di inammissibilità della censura.
3. Chiarito il superiore aspetto, deve comunque essere ritenuta la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente ha lamentato che la presenza di un tasso alcolemico pari a 0.92 g/l sarebbe stata accertata mediante il ricorso ad una metodologia, quella enzimatica, per sua natura connotata da un considerevole margine di errore, dalla letteratura scientifica individuato in circa il 20% del risultato.
In proposito, infatti, assume troncante rilievo il principio per cui, in tema di giudizio, la valutazione delle prove acquisite compete in via esclusiva al giudice, che la esercita secondo il principio del libero convincimento e con divieto di delegarla al sapere scientifico esterno, che ha esclusivamente valenza strumentale ed integrativa delle conoscenze giudiziali e può assumere rilevanza solo ove il giudice ne apprezzi l'assoluta necessarietà ovvero la funzionale imprescindibilità ai fini della decisione, il che è da escludere nel caso in esame.
Il Collegio ritiene, in proposito, di dover ribadire che nel reato di guida in stato di ebbrezza, ai fini dell'accertamento della concentrazione alcolica, il codice della strada e il relativo regolamento non prescrivono alcuna particolare modalità di analisi del sangue lasciando al personale medico libertà di scelta nel metodo da usare, purché sia scientificamente corretto (cfr. Sez. 4, n. 6497 del 09/01/2018, Bagordo, Rv. 272600-01).
Nel caso di specie, le analisi erano state eseguite con una metodologia che la scienza medica ritiene del tutto corretta per decidere, sulla base dei risultati ottenuti, la terapia da applicare al paziente. Non si vede perché, allora, la stessa non dovesse essere ritenuta idonea anche ai fini penali, dal momento che se il risultato conseguito era, per la scienza medica, sufficiente per qualificare il (Soggetto 1) come alterato e per sottoporlo ad una terapia che tenesse conto di tale stato di alterazione, è evidente come detto risultato sia stato considerato scientificamente attendibile, senza necessità di procedere ad ulteriori accertamenti.
La circostanza che si era fatto ricorso al metodo enzimatico, pertanto, non è sufficiente ad inficiare la correttezza del risultato acquisito, peraltro considerato che, per come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, lo stato di ebbrezza alcolica del (Soggetto 1) era stato desunto anche dalla valutazione di risultanze ulteriori rispetto agli accertamenti sanitari svolti, emergendo inconfutabilmente anche dalla constatazione empirica operata dagli agenti intervenuti, "che notavano immediatamente nell'imputato i segni tipici dell'alterazione dovuta all'assunzione di bevande alcoliche quali: alito fortemente vinoso, occhi lucidi, linguaggio con fonemi non nitidi e tono della voce tendente all'alto".
4. Del tutto priva di fondamento è, poi, la seconda doglianza dedotta dal ricorrente, afferente alla ritenuta configurabilità della scriminante dello stato di necessità, derivante dal fatto che, per come emerso da una svolta prova testimoniale, l'imputato si era dovuto mettere repentinamente alla guida della sua auto per sfuggire ai pericoli di una svolgenda rissa.
Orbene, per come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di cause di giustificazione, la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non accompagnata dall'allegazione di precisi elementi idonei ad orientare l'accertamento del giudice, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 c.p.p., comma 2, risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell'esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo (cfr. Sez. 5, n. 22040 del 21/02/2020, R., Rv. 279356-01; Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012, S., Rv. 253036-01). Incombe, cioè, sull'imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine idonei a porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza, o quanto meno la probabile sussistenza, dell'esimente.
Ciò non appare, invero, essersi verificato nel caso di specie, osservato che gli aspetti fattuali indicati dal (Soggetto 1) per giustificare la ricorrenza dello stato di necessità, corrispondenti ad identiche obiezioni sollevate con i motivi di gravame, sono stati oggetto di esame e relativa confutazione da parte della Corte territoriale che, con argomentazione del tutto logica e congrua, ha diffusamente esplicato i motivi per cui ha ritenuto che non vi fosse la sussistenza ne dell'attualità del pericolo di evitare un danno grave alla persona, essendo rimaste prive di riscontri fattuali certi le dichiarazione rese da parte dei testi, ne’ dell'assoluta necessità della condotta criminosa, ben potendo il (Soggetto 1) richiedere l'intervento delle forze dell'ordine.
5. Manifestamente infondata, poi, è anche la doglianza con cui il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
La Corte di appello, infatti, risulta aver fatto buon governo della disciplina che regola l'istituto ex art. 131-bis c.p., offrendo un'adeguata e compiuta motivazione delle ragioni giustificatrici del disposto diniego della indicata causa di non punibilità.
Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte di legittimità, ai fini della configurabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, T., Rv. 266590-01). Il giudizio sulla tenuità dell'offesa deve essere effettuato, cioè, con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., comma 1, ma non occorre la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, M., Rv. 274647-01).
Orbene, facendo puntuale applicazione dei superiori principi, la Corte di merito ha ben evidenziato, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, che la grave modalità della condotta con cui il (Soggetto 1), a tarda notte e con a bordo altri sei individui, si era posto alla guida di un'autovettura con un tasso alcolemico superiore ai limiti di legge, peraltro avendo conseguito la patente di guida solo da meno di due anni, ben rappresenti una condotta distonica con la ratio dell'art. 131-bis c.p., tale da non poter essere configurata entro i necessari limiti della minima offensività.
5.1. L'indicata motivazione appare, poi, congrua, nonché esente da manifesta illogicità, anche con riferimento all'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in tal maniera ponendosi in termini insindacabili in questa sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, C. e altri, Rv. 242419-01).
Per quanto concisa, infatti, la motivazione ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis c.p., senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite.
D'altro canto - in particolare dopo la modifica dell'art. 62-bis c.p. disposta dal D.L. 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 - è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex art. 133 c.p.. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, G., Rv. 192381-01). In altri termini, l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, S. ed altro, Rv. 245241-01).
6. Ne deriva, in conclusione, l'inammissibilità del proposto ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2022.
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