Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione sesta, sentenza n. 39315 del 18 ottobre 2022
Corte di Cassazione Penale, Sezione VI, sentenza numero 39315 del 18/10/2022
Circolazione Stradale - Artt. 12 e 192 del Codice della Strada e art. 337 c.p. - Resistenza a un pubblico ufficiale - Integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale l'elemento materiale della violenza proprio della condotta del soggetto che si dà alla fuga alla guida di una autovettura non limitandosi a cercare di sottrarsi all'inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l'incolumità personale degli agenti che avevano ordinato al ricorrente di fermarsi, che è stata posta a rischio prima ancora che iniziasse la fuga, dato che in tal caso la violenza viene a coincidere con il momento in cui ci si oppone all'atto d'ufficio e se ne impedisce il compimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Roma confermava la condanna del ricorrente in ordine al reato di resistenza a pubblico ufficiale e lo assolveva per la contestazione formulata al capo B), relativa alla guida senza patente. Nelle conformi sentenze di merito, si accertava che (Soggetto 1), nonostante gli fosse stato intimato l'alt dai Carabinieri in servizio di controllo stradale, eludeva il posto di blocco, prima rallentando la velocità, per poi accelerare in prossimità dei militari e dirigendosi contro di loro, in modo da costringerli ad allontanarsi dalla carreggiata, per poi darsi alla fuga.
2. Avverso la suddetta sentenza, il ricorrente ha proposto due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo, il ricorrente deduce violazione di legge relativamente alla ritenuta configurabilità del reato di cui all'art. 337 c.p., sostenendo che la mera fuga non integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale, per la cui configurabilità occorre un quid pluris, dovendosi porre in essere condotte atte ad impedire l'inseguimento.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione dell'art. 157 c.p., comma 2 e art. 161 c.p., comma 2 ritenendo che la Corte di appello avrebbe errato nel computo del termine di prescrizione massimo conseguente al riconoscimento della contestata recidiva ex art. 99 c.p., comma 4.
In particolare, si afferma che l'aumento derivante dalla recidiva non può essere computato sia ai fini della determinazione della pena massima, che per stabilire l'entità dell'aumento del termine massimo di prescrizione, in quanto in tal modo si determinerebbe una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 e D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Per quanto concerne la ritenuta sussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale, il ricorrente non si confronta con la ricostruzione del fatto contenuto nelle sentenze di merito, dalle quali emerge come la condotta non è consistita nella mera fuga a seguito dell'intimazione di fermarsi, bensì è stata caratterizzata da atti idonei ad impedire il compimento dell'atto d'ufficio.
Nella sentenza di appello, infatti, si precisa come l'imputato ha posto in essere una manovra deliberatamente finalizzata ad impedire una tempestiva reazione dei militari a fronte del mancato arresto della marcia.
Si precisa, infatti, che l'imputato dapprima simulava di volersi fermare, rallentando la velocità, per poi accelerare improvvisamente, dirigendo l'autovettura contro i militari che, per evitare di essere investiti, dovevano necessariamente lasciare libera la direzione di fuga.
Al fine di superare tale aspetto, il ricorrente ha richiamato la consolidata giurisprudenza secondo cui integra l'elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che, per sfuggire all'intervento delle forze dell'ordine, si dia alla fuga, alla guida di un'autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida pericolosa, l'incolumità personale degli altri utenti della strada (Sez. 1, n. 41408 del 4/7/2019, F., Rv. 277137).
Il richiamo giurisprudenziale, pur espressivo di un condivisibile principio, non è conferente rispetto al caso di specie, nel quale la condotta di fuga non ha dato luogo ad un pericolo generalizzato per gli utenti della strada, bensì ha ingenerato un rischio per l'incolumità degli agenti.
Rispetto a tale diversa ipotesi, questa Corte ha già avuto modo di affermare che integra l'elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che si dia alla fuga, alla guida di una autovettura, non limitandosi a cercare di sottrarsi all'inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l'incolumità personale degli agenti inseguitori (Sez. F. n. 40 del 10/09/2013, dep.2014, Rv. 257915; Sez. 2, n. 44860 del 17/10/2019, Besana, Rv. 277765).
Tale principio deve trovare applicazione anche nel caso in cui l'incolumità personale degli agenti, che avevano ordinato al ricorrente di fermarsi, è stata posta a rischio prima ancora che iniziasse la fuga, dato che in tal caso la violenza viene a coincidere con il momento in cui ci si oppone all'atto d'ufficio e se ne impedisce il compimento.
3. Parimenti manifestamente infondato è l'ulteriore motivo di ricorso concernente il calcolo del termine massimo di prescrizione.
Anche su tale aspetto non è condivisibile il principio richiamato dal ricorrente, secondo cui in tema di prescrizione, è possibile tener conto della recidiva reiterata al fine dell'individuazione del termine prescrizionale base, ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 2, o del termine massimo, ai sensi dell'art. 161 c.p., comma 2, ma non contemporaneamente per tali fini, altrimenti ponendosi a carico del reo lo stesso elemento, in violazione del principio del "ne bis in idem" sostanziale (Sez. 6, n. 47269 del 9/9/2015, F., Rv. 265518).
Si tratta, infatti, di un'affermazione rimasta isolata e smentita dalla successiva giurisprudenza cui si ritiene di dare continuità.
Si è affermato, infatti, che la recidiva reiterata, quale circostanza ad effetto speciale, incide sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 2, e, in presenza di atti interruttivi, anche, contemporaneamente, su quello del termine massimo, ex art. 161 c.p., comma 2, senza che ciò comporti una violazione del principio del "ne bis in idem" sostanziale o dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Z. c/ Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l'istituto della prescrizione (Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, P., Rv. 273490); in senso conforme si veda Sez.2, n. 57755 del 12/10/2018, Saetta, Rv. 274721; Sez.4, n. 6152 del 19/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 272021; Sez.6, n. 48954 del 21/09/2016, L., Rv. 268224).
Quanto detto comporta che il calcolo della prescrizione è stato correttamente eseguito dalla Corte di appello, con conseguente esclusione dell'effetto estintivo.
4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria, il 18 ottobre 2022.
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