Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 30856 del 9 agosto 2022

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 30856 del 09/08/2022
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool - Lavoro di pubblica utilità e beneficio della sospensione condizionale - Anche a seguito del patteggiamento per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, non è possibile convertire la pena dell'arresto e dell'ammenda con il lavoro di pubblica utilità e contemporaneamente concedere il beneficio della sospensione condizionale in quanto non contemplata dall'ordinamento giuridico.


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Bergamo ha applicato la pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., a P.L. per la fattispecie di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. c), e comma 2-sexies, (di seguito anche "C.d.S.").

In particolare, in quanto oggetto di accordo delle parti, la pena di mesi due e giorni venti di arresto e Euro 900,00 di ammenda è stata convertita con il lavoro di pubblica utilità, di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis, e condizionalmente sospesa ex art. 163 c.p..

2. Avverso la prefata sentenza la Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Si deduce, ai sensi dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, l'illegalità della pena per aver il Tribunale, ancorché in ragione dell'intervenuto accordo delle parti ex art. 444 c.p.p., convertito la pena dell'arresto e dell'ammenda con il lavoro di pubblica utilità e concesso il beneficio della sospensione condizionale, nonostante l'incompatibilità, per alternatività, dei due istituti in forza dell'alternatività dei due regimi sanzionatori emergente implicitamente dalla norma speciale (l'art. 186 C.d.S., comma 9 bis).

3. La Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, nella persona del Sostituto Procuratore Nicola Lettieri, ha richiesto per iscritto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Preliminare è la disamina dell'ammissibilità dell'impugnazione stante il disposto di cui all'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, (introdotto con la L. 23 giugno 2017, n. 103).

In forza del precetto di cui innanzi, difatti, il Pubblico Ministero e l'imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso per cassazione con cui si deducano vizi di violazione di legge differenti da quelli tassativamente indicati nel citato comma 2-bis (ex plurimis, Sez. 5, n. 19425 del 19/04/2021, Coco, in motivazione; Sez. 6, n. 1032 del 7/11/2019, dep. 2020, Pierri, Rv. 278337-01; Sez. F, n. 28742 del 25/8/2020, Messnaoui, Rv. 279761-01).

3. Necessita quindi verificare se, in materia di guida sotto l'influenza dell'alcool, integri una ipotesi di "pena illegale", legittimante il ricorso per cassazione ex art. 448 c.p.p., comma 2-bis, il lavoro di pubblica utilità non eseguibile in applicazione della sospensione condizionale, applicato su concorde richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p..

4. La risposta al quesito di cui innanzi, che si anticipa essere affermativa, non può prescindere da una pur sintetica disamina della nozione di "pena illegale". Essa si è attestata attraverso una progressiva elaborazione da parte della giurisprudenza di legittimità, compresi plurimi interventi delle Sezioni Unite, che l'hanno valorizzata sia in funzione di deroga del principio devolutivo, sia, e soprattutto, per la definizione dei limiti di sindacabilità, quanto alla determinazione della pena, della sentenza resa ex art. 444 c.p.p..

4.1. Con il conforto offerto sul punto da Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin (in motivazione, paragrafo 4.7, pag. 17-18), deve in questa sede evidenziarsi che la Suprema Corte ha proceduto nella progressiva elaborazione della nozione di "pena illegale" da un ambito che la correla ai casi di illegalità ab origine della pena, inflitta extra o contra legem perché non prevista dall'ordinamento giuridico ovvero non corrispondente, per specie ovvero per quantità (sia in difetto che in eccesso), a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice concreta, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal codice penale (tra le altre, Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, Tanzi, Rv. 260326; Sez. 2, n. 20275 del 07/05/2013, Stagno, Rv. 255197; Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729; si vedano altresì, tre quelle più recenti: Sez. 5, n. 1205 del 20/11/2020, dep. 2021, Magini, Rv. 280434; Sez. 5, n. 45360 del 04/10/2019, Quercia, Rv, 277956).

La nozione in esame è stata poi estesa anche alla pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una norma dichiarata costituzionalmente illegittima e, quindi, inesistente sin dalla sua origine (Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon Rv. 264857; Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258651), ovvero in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole sancito dall'art. 24 Cost., comma 2 (Sez. U, n. 40986 del 19/7/2018, Pittalà, che ha anche dato conto degli approdi della giurisprudenza di legittimità e dei casi individuati come integranti ipotesi di pena illegale con riferimento al c.d. "pena illegale"). In linea con tale delineato ambito della illegalità della pena, si è quindi escluso che vi rientri la pena che risulti complessivamente legittima, anche se determinata secondo un percorso argomentativo viziato (come evidenziato da Sez. U, n. 21368/2020, Savin, cit., in motivazione).

4.2. Con particolare riferimento proprio alla determinazione della nozione di "pena illegale" quale limite alla ricorribilità per cassazione avverso sentenze emesse ex art. 444 c.p.p., ciò anche prima della positivizzazione dei limiti di cui all'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, è stato per la giurisprudenza di legittimità centrale il rilievo per cui nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, l'accordo si forma non tanto sulla pena inizialmente indicata e sulle eventuali operazioni con le quali essa viene determinata, bensì sul risultato finale delle operazioni stesse (Sez. 4, n. 1853 del 17/11/2005, dep. 2006, Federico, Rv. 233185; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 518 del 28/01/2000, Carrello, Rv. 216881; Sez. 5, n. 3351 del 29/05/1998, dep. 1999, Carli, Rv. 212379; sostanzialmente nello stesso senso si veda, tra le più recenti, Sez. 5, n. 18304 del 23/01/2019, Rosettani, Rv. 275915).

Come evidenziato da Sez. U, 40986 del 19/07/2018, Pittalà (in motivazione (paragrafo 3.2., pag. 10-12), dalla natura negoziale dell'accordo sulla pena e dall'individuazione del relativo oggetto (il "risultato finale") è discesa una duplice ricaduta sul piano della sindacabilità, quanto alla determinazione della pena stessa, della sentenza di patteggiamento. Il riferimento è, per un verso, alla generale irrilevanza degli errori relativi ai vari "passaggi" attraverso i quali si giunge al "risultato finale" e, per altro verso, alla rilevanza di tali errori quando conducano a una "pena illegale".

Non sono stati dunque ritenuti rilevanti, se non tali da tradursi una pena illegale, gli errori relativi ai singoli passaggi interni per la determinazione della pena concordata (Sez. 6, n. 44907 del 30/10/2013, Marchisella, Rv. 257151; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 1853/2006, Federico, cit.; Sez. 4, n. 518/2000, Carrello, cit.; si veda altresì Sez. 5, n. 18304/2019, Rosettani, cit.), tra i quali quelli compiuti nell'iter di determinazione della pena base (Sez. 5, n. 5047 del 21/10/1999, Paulon, Rv. 214602).

Tra i casi, invece, individuati dalla giurisprudenza di legittimità come integranti ipotesi di pena illegale con riferimento al patteggiamento sono invece richiamati dalla citata Sez. U. "Pittalà" quelli: della pena inferiore al minimo edittale ex art. 23 c.p. (Sez. 3, n. 29985 del 03/06/2014, Lan, Rv. 260263; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 4917 del 03/12/2003, dep. 2004, Pianezza, Rv. 229995); dell'applicazione di una pena congiunta per una contravvenzione punita con pena alternativa (Sez. 1, n. 17108 del 18/02/2004, Merlini, Rv. 228650; Sez. 1, n. 2174 del 14/03/1997, Salvatori, Rv. 207246; Sez. 1, n. 2322 del 22/05/1992, Riccardi, Rv. 191362); dell'erronea applicazione della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria (Sez. 5, n. 5018 del 19/10/1999, dep. 2000, Rezel, Rv. 215673) e della mancata applicazione della pena prevista per il reato rientrante nella competenza del giudice di pace (Sez. 5, n. 13589 del 19/02/2015, Rv. 262943).

E' stato dalle stesse Sezioni Unite "Pittalà" altresì richiamato, con specifico riferimento all'illegalità della pena nel patteggiamento, l'insegnamento di Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, cit. Quest'ultima ha sottolineato come la giurisprudenza abbia sempre ritenuto inammissibile il "ricorso per cassazione che proponga motivi concernenti la misura della pena", facendo in particolare riferimento a casi di pena determinata contra legem, ad esempio per avere applicato una pena in misura inferiore al minimo assoluto previsto dall'art. 23 c.p. ovvero indicato come pena-base una pena inferiore a quella prevista come minimo edittale per il reato unito con il vincolo della continuazione. Nel descritto contesto, la citata sentenza "Jazouli" ha poi qualificato come illegale la pena "determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione" che, per le droghe c.d. "leggere", si sia basato sulla cornice edittale delineata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e dichiarata costituzionalmente illegittima. Caso di "pena illegale", quello appena illustrato, al quale le Sezioni Unite "Pittalà" hanno ritenuto del tutto analogo quello posto al loro vaglio, così annullando la sentenza di patteggiamento con cui era stata applicata la pena più severa introdotta dalla norma incriminatrice dell'omicidio stradale di cui all'art. 589-bis c.p., entrata in vigore medio tempore, prima della verificazione dell'evento lesivo. Ciò in quanto, in caso di successione di leggi penali, nell'ipotesi in cui l'evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta, dovendosi quindi ritenere "pena illegale" quella prevista dalla previdente disposizione normativa.

4.3. La ricostruzione che precede, avallata delle citate sentenze anche delle Sezioni Unite, porta a ritenere, in estrema sintesi, che la nozione di "pena illegale" attenga non al trattamento sanzionatorio globalmente considerato, ricomprendente le modalità con le quali viene applicata la punizione derivante dalla trasgressione di una disposizione penale, ma alla pena inflitta extra o contra legem perché non prevista dall'ordinamento giuridico ovvero non corrispondente, per specie o per quantità (sia in difetto che in eccesso), a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice concreta, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal codice penale, ovvero ancora a quella pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata in violazione del principio di irretroattività della legge pena più sfavorevole.

4.4. La sintesi di cui innanzi consente già di prendere le distanze da quell'orientamento che, muovendo da una nozione di "pena illegale" invece estesa al trattamento punitivo (Sez. 4, n. 17119 del 14/03/2019, P., Rv. 275898) ovvero alla concreta e effettiva applicazione delle sanzioni (Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018, dep. 2020, Rv. 27511), ritiene che, in tema di patteggiamento, l'illegittima applicazione della sospensione condizionale della pena, in quanto non subordinata agli obblighi di cui all'art. 165 c.p., comma 1, possa essere dedotta con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis.

Più aderente alla nozione di "pena illegale", come innanzi sinteticamente ricostruita, tanto da non estendersi al più generale concetto di "trattamento sanzionatorio", si mostra invece il condivisibile diverso orientamento della Suprema Corte che, nella fattispecie di cui innanzi, esclude la ricorribilità per cassazione trattandosi di mera ipotesi di "illegittima" applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena e non di "pena illegale".

Diversamente opinando, difatti, la nozione di "pena illegale" finirebbe per ricomprendere non solo l'illegalità della sanzione in senso tecnico (sostanzialmente in relazione agli artt. 1 e 2 c.p., e artt. 25 e 27 Cost., quest'ultimo in termini di finalità della pena) ma anche l'illegittimità di taluno degli aspetti a essa accessori, tra i quali proprio la sospensione della sua applicazione, invece annoverabili nel diverso concetto di "trattamento sanzionatorio". Dovendo ricomprendersi invece, in quest'ultimo, tutti i molteplici aspetti legati alle modalità con le quali viene applicata la punizione derivante dalla trasgressione di una disposizione penale.

5. Delimitata la nozione di "pena illegale", negli stretti limiti di quanto rileva in questa sede, deve ora verificarsi la sussumibilità in essa dei lavori di pubblica utilità quale pena sostitutiva non eseguibile in quanto condizionalmente sospesa, muovendo dall'ontologica incompatibilità tra la lavori di pubblica utilità di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis, e sospensione condizionale, derivante delle diverse sottese rationes.

6. Sul punto occorre muovere da Sez. 3, n. 20726 del 07/11/2012, dep. 2013, Cinciripini, Rv. 254996-01, la quale, in ipotesi diversa dall'applicazione di pena su richiesta delle parti, ha ritenuto che la richiesta della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità in esame implichi la tacita rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena eventualmente concesso in precedenza, stante l'incompatibilità tra i due istituti.

In quella sede è stato in particolare chiarito che l'istituto del lavoro di pubblica utilità, introdotto con riferimento al reato di guida in stato di ebbrezza dalla L. n. 120 del 2010, art. 33, non rappresenta una novità assoluta nel nostro ordinamento. Istituti similari sono stati infatti rinvenuti: nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5-bis, in materia di detenzione illecita di sostanze stupefacenti e per l'ipotesi di fatto di "lieve entità" di cui al precedente comma 5 del medesimo articolo; nelle ipotesi disciplinate dall'art. 165 c.p., comma 1, sotto forma di condotta riparatoria in favore della collettività, cui può essere subordinata la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ovvero ancora, in materia di sanzioni alternative irrogabili da parte del giudice di pace per reati rientranti nella sua competenza (D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54).

Per quanto rileva in questa sede, in linea generale è stato altresì osservato che nella materia dei reati rientranti nella competenza del giudice di pace non è consentita la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, per espresso divieto imposto dal citato D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 60. Tale specifica previsione costituisce una implicita conferma della tesi secondo la quale non è possibile concedere contemporaneamente il beneficio della sospensione condizionale e il lavoro di pubblica utilità. In caso contrario, infatti, l'istituto verrebbe snaturato e svuotato del suo contenuto intrinseco rappresentato proprio dall'espletamento di una attività che comporta la collaborazione da parte del condannato e che esige, soprattutto, una esecuzione concreta della sanzione sostitutiva.

Una conferma ulteriore della non compatibilità tra sospensione condizionale della pena e lavoro di pubblica utilità è stata altresì rinvenuta nel testo del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5-bis, nella parte in cui si dispone che, nell'ipotesi di cui al comma 5 del medesimo articolo, "qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena", è applicabile, fermi restando gli altri specifici presupposti ivi previsti, in luogo delle pene detentive e pecuniarie il lavoro di pubblica utilità di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54, secondo le modalità ivi previste.

Da quanto innanzi è stata tratta l'evidenza per cui il lavoro di pubblica utilità quale pena sostitutiva, anche nell'ipotesi di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9-bis, costituisce una alternativa - e non una aggiunta - al beneficio della sospensione condizionale della pena anche in assenza di una esplicita previsione normativa in tal senso.

La norma in esame, peraltro, è stata ritenuta lex specialis in quanto - nonostante il richiamo in termini generali al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54 ivi contenuto - costituisce per certi aspetti una deroga al sistema generale di tipo sanzionatorio previsto per i reati di competenza del giudice di pace. Per essa, difatti, non è prevista una richiesta esplicita da parte del soggetto interessato ma è sufficiente la sua non opposizione (diversamente da quanto invece previsto anche per l'operatività dell'istituto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5-bis).

Tale deroga è stata giustificata dalla citata Sez. 3, n. 20726 del 2013, Cinciripini, cit., per quanto maggiormente rileva ai presenti fini, in relazione alla peculiare natura del reato previsto dall'art. 186 C.d.S. e alle sottese finalità che il legislatore intende perseguire con la previsione della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità. Esse sono state difatti individuate nello scopo di consentire a soggetti che si siano resi responsabili di violazioni delle regole sulla circolazione stradale, legate all'uso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti, di essere avviati a un recupero sociale specifico comportante una vera e propria opera di rieducazione al rispetto delle norme stradali nell'ottica di un maggiore rispetto verso la collettività attraverso l'espletamento di attività collegate alla normativa generale della circolazione stradale e agli enti che operano in tale specifico settore dell'ordinamento. Tali finalità specifiche hanno consentito quindi di assimilare o, quanto meno, avvicinare l'istituto in esame a quello, sostanzialmente analogo, previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5-bis. Non potendosi negare, anche in quest'ultimo caso, la specificità del lavoro di pubblica utilità collegata alla particolare natura del reato, nell'ottica di una rieducazione del soggetto interessato a un maggior rispetto della propria salute e in ultima analisi anche della collettività all'interno della quale tale soggetto dovrà svolgere la propria vita.

Così delineati i tratti salienti della pena sostitutiva disciplinata dall'art. 186 C.d.S., comma 9-bis, è stato ritenuto possibile, dalla giurisprudenza di legittimità in esame, sostituire il già concesso beneficio della sospensione condizionale della pena con il lavoro di pubblica utilità, proprio tenendo presente, quale dato di riferimento generale, l'incompatibilità tra i due istituti. Sarebbe invero quanto mai singolare e irrazionale che l'eventuale lavoro sostitutivo comporti, comunque, il mantenimento della sospensione condizionale, in quanto l'effetto estintivo del reato (ma anche il dimezzamento della sanzione accessoria amministrativa della sospensione della patente di guida) per l'imputato, derivante dall'esito positivo dell'attività lavorativa sostitutiva, in tanto può verificarsi in quanto quell'attività venga prestata effettivamente.

L'incompatibilità tra i due istituti ha infatti indotto la citata Sez. 3, n. 20726 del 2013 a ritenere che nell'ipotesi di mancata espressa rinuncia al beneficio della sospensione condizionale eventualmente concesso, in sede di richiesta di applicazione della pena sostitutiva, essa debba considerarsi implicitamente avvenuta. In caso contrario si perverrebbe all'insostenibile conclusione di una sanzione sostitutiva a sua volta condizionalmente sospesa e si determinerebbe un'inammissibile lesione dei diritti del condannato che vedrebbe pregiudicata la possibilità di usufruire di una modalità di esecuzione della pena diversa e più favorevole, con aperta violazione della regola generale di cui all'art. 2 c.p..

E' stato difatti ritenuto indubbio "che la disposizione introdotta nell'art. 186 C.d.S., rispetto alla sospensione condizionale della pena, contiene effetti più favorevoli, sia in termini di durata della pena sostitutiva, sia in termini di criteri di ragguaglio, sia in termini di conseguenze finali (sotto il profilo di un dimezzamento "secco" della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida e di una durata inferiore della pena sostituiva da "scontare"), fermo restando, poi, l'effetto estintivo del reato sostanzialmente analogo a quello previsto dagli artt. 166 e 167 c.p.".

6.1. Le condivisibili ragioni sottese alla ritenuta incompatibilità tra i due istituti non risultano peraltro minate dalla generale previsione della subordinabilità della sospensione condizionale della pena (anche) alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, nei termini di cui all'art. 165 c.p..

Tale subordinabilità del beneficio della sospensione condizionale all'effettiva esecuzione di attività non retribuita, difatti, conferma l'assunto per cui consustanziale al lavoro di pubblica utilità è la sua eseguibilità in vista della sua concreta esecuzione, alla quale, ex art. 165 c.p., è subordinata la sospensione condizionale.

7. Nel solco interpretativo di cui innanzi, in termini di incompatibilità tra i due istituti e di recessività della sospensione condizionale della pena rispetto ai lavori di pubblica utilità di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9-bis si è mossa la giurisprudenza di legittimità successiva al fondamentale arresto costituito dalla citata Sez. 3, n. 20726 del 2013, Cinciripini (ex plurimis, tra le più recenti, la conforme Sez. 4, n. 36783 del 09/12/2020, Caltis, Rv. 280086-01), tanto in ipotesi di applicazione di pena su richiesta delle parti quanto al di fuori del c.d. "patteggiamento".

7.1. Con riferimento all'ultima delle due ipotesi, in particolare, Sez. 4, n. 10939 del 02/02/2014, Caneo, Rv. 259130-01, chiarito che, in tema di guida in stato di ebbrezza, ove sia stata operata la sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità, non può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, stante l'incompatibilità tra i due istituti, ha provveduto a eliminare essa stessa il beneficio della sospensione condizionale ex art. 620 c.p.p., lett. l), (con sentenza di annullamento senza rinvio della pronuncia impugnata).

In quella sede la Suprema Corte ha argomentato dall'incompatibilità dei due istituti, dei quali il lavoro di pubblica utilità è più favorevole, come già affermato da Sez. 3, n. 20726 del 2013, Cinciripini, e ha ritenuto giuridicamente non corretto il diverso ragionamento sviluppato dal giudice di merito a supporto della concessione del beneficio della sospensione condizionale (della pena sostituita) subordinatamente a una condizione futura e incerta, quale quella del mancato fruttuoso svolgimento del lavoro di pubblica utilità. E' stato in particolare osservato che proprio tale condizione apposta dal giudicante mal si concilia con la prognosi che è alla base del beneficio della sospensione condizionale della pena.

7.2. Medesimo argomentare ha portato Sez. 4, n. 30365 del 02/07/2015, Zuncheddu, Rv. 264324-01, a ribadire il principio sancito dalla citata Sez. 4, n. 10939 del 2014, Caneo, Rv. 259130-01, in ipotesi di applicazione dei due istituti in sede di c.d. "patteggiamento".

La Suprema Corte, in fattispecie antecedente all'introduzione dei limiti di ricorribilità per cassazione di cui all'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, ha difatti annullato senza rinvio la sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al giudice di merito per l'ulteriore corso, proprio muovendo dall'incompatibilità dei due istituti e dalla conseguente necessità di una completa rivisitazione dell'accordo concluso dalle parti e recepito dal giudice ex art. 444 c.p.p..

8. L'iter logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte nell'affermare, nei termini di cui innanzi, l'incompatibilità tra i due istituti del lavoro di pubblica utilità e della sospensione condizionale della pena convince questo Collegio e si pone altresì a fondamento dell'ammissibilità del ricorso per cassazione con il quale si deduca, come nella specie, l'illegalità della pena sostitutiva condizionalmente sospesa applicata ex art. 444 c.p.p. (nonostante la concorde richiesta delle parti sul punto).

8.1. Il lavoro di pubblica utilità in oggetto è previsto dal legislatore non alla stregua di una sorta di misura alternativa a una pena bensì quale "pena", la cui "illegalità" è deducibile quale motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione di pena, ai sensi dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis.

L'art. 186 C.d.S., comma 9 bis, difatti, nel prevedere, letteralmente, nella sua prima parte che "la pena detentiva e pecuniaria" possa essere "sostituita (...) con quella del lavoro di pubblica utilità (...1" fa espressamente riferimento a un rapporto tra pene, quella "sostituita" (la pena detentiva e pecuniaria) e quella "sostitutiva" (il lavoro di pubblica utilità). Ciò è peraltro letteralmente confermato dallo stesso citato comma 9-bis, laddove, nell'ultimo inciso, prevede per l'ipotesi della violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, tenuto comunque conto dei motivi, dell'entità e delle circostanze della violazione, la revoca della "pena sostitutiva" con ripristino di "quella sostituita" (e delle sanzioni amministrative della sospensione della patente e della confisca).

Consustanziale alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità è la sua necessaria eseguibilità, in vista di una concreta esecuzione, con conseguente ontologica incompatibilità con l'istituto della sospensione condizionale di cui all'art. 163 c.p., in considerazione della relativa ratio, argomentata dalla peculiare natura del reato previsto dall'art. 186 C.d.S. e dalle sottese finalità che il legislatore intende perseguire con la previsione della sostituibilità della pena detentiva e pecuniaria.

Con l'introduzione del lavoro di pubblica utilità in oggetto, difatti, è stato perseguito lo scopo di consentire a soggetti che si siano resi responsabili di violazioni delle regole sulla circolazione stradale legate all'uso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti, di essere avviati a un recupero sociale specifico comportante una vera e propria opera di rieducazione al rispetto delle norme stradali. Ciò nell'ottica di un maggiore rispetto verso la collettività attraverso l'espletamento di attività collegate alla normativa generale della circolazione stradale e agli enti che operano in tale specifico settore dell'ordinamento.

8.2. La descritta necessaria (ontologica) eseguibilità della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità porta quindi a ritenere che l'applicazione (della pena) dei lavori di pubblica utilità non eseguibili, in forza dalla sospensione condizionale, si sostanzi nell'applicazione di un tertium genus di pena, illegale in quanto non prevista dall'ordinamento (bensì di formazione pretoria), così contraria al principio di legalità di cui all'art. 1 c.p. e art. 25 Cost..

Si tratta peraltro di una pena illegale connotata da irrazionalità in quanto l'effetto estintivo del reato oltre che il dimezzamento della sanzione accessoria amministrativa della sospensione della patente di guida e la revoca della confisca della patente, derivanti dall'esito positivo dell'attività lavorativa sostitutiva, non potrebbero realizzarsi perché presupponenti proprio l'effettivo espletamento dei lavori di pubblica utilità.

La fattispecie in esame è quindi lungi dall'atteggiarsi in termini di mera illegittima concessione della sospensione condizionale della pena, ipotesi, quest'ultima, non sussumibile nella nozione di "pena illegale" in quanto inerente al "trattamento sanzionatorio", ricomprendente i molteplici aspetti legati alle modalità con le quali viene applicata la punizione derivante dalla trasgressione di una disposizione penale (come già chiarito al precedente paragrafo 4.4).

Ci si trova invece al cospetto di una pena extra legem derivante dallo snaturamento, pretorio, della pena sostitutiva di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis, svuotata del suo contenuto intrinseco rappresentato proprio dall'espletamento di un'attività che comporta la collaborazione da parte del condannato e che esige, soprattutto, l'eseguibilità.

8.3. Ne consegue il principio di diritto per cui: "In materia di guida sotto l'influenza dell'alcool, è impugnabile, ai sensi dell'art. 448 c.p.p., comma 2-bis, la sentenza c.d. di patteggiamento che abbia applicato, in sostituzione di quella detentiva e pecuniaria, la pena del lavoro di pubblica utilità non eseguibile perché sospensivamente condizionata, in quanto "pena illegale" perché non contemplata dall'ordinamento giuridico ma frutto dello snaturamento della pena sostitutiva di cui all'art. 186 C.d.S., comma 9 bis, svuotata del suo contenuto intrinseco caratterizzato dall'eseguibilità di un'attività che comporta la collaborazione da parte del condannato".

9. Passando al merito cassatorio, il ricorso, per le stesse ragioni sottese alla sua ritenuta ammissibilità, è fondato in forza della illegalità della pena sostitutiva applicata ex art. 444 c.p.p..

10. L'accertato vizio, in quanto inerente a sentenza di applicazione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità condizionalmente sospesa in forza dell'accordo delle parti sul punto, impone l'annullamento senza rinvio con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo, per l'ulteriore corso, ai fini di una completa rivisitazione dell'accordo delle parti, che potranno rinegoziarlo su altre basi, o, in mancanza, della prosecuzione nelle forme ordinarie.

10.1. In merito all'aspetto di cui innanzi occorre chiarire che anche l'attuale testo dell'art. 620 c.p.p., lett. l), non consente di ovviare alla descritta illegalità, nonostante la lettura fornita da Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831-01.

10.2. Nella vigenza del regime derivante dalla disposizione poi innovata dalla L. n. 103 del 2017, la giurisprudenza di legittimità ha posto il principio per il quale l'illegalità della pena applicata all'esito del patteggiamento rende invalido l'accordo su di essa concluso tra le parti e ratificato dal giudice, comportando l'annullamento senza rinvio della sentenza che l'abbia recepito con esclusione della procedura di rettificazione dell'errore materiale (ex multis, Sez. 3, n. 1883 del 22/09/2011, dep. 2012, La Sala, Rv. 251796).

Tuttavia, con la modifica della disposizione il legislatore ha inteso ampliare i poteri del giudice di legittimità, come espressamente rilevato dalle citate Sez. U, n. 3464 del 2018, Matrone. Essa hanno evidenziato che la finalità perseguita dal legislatore con la L. n. 103 del 2017, e, in particolare, con la modifica dell'art. 620 c.p.p., lett. l), era chiaramente quella di estendere le ipotesi di annullamento senza rinvio, in un'ottica deflattiva dei casi di nuovo giudizio di merito a seguito di annullamento in cassazione. Secondo la Suprema Corte la nuova formulazione rende possibili valutazioni discrezionali purché aventi a oggetto gli elementi accertati dal giudice di merito, senza alcuna necessità o possibilità di modificazione delle statuizioni da questi rese: "Si tratta, evidentemente, di una "discrezionalità vincolata", il cui esercizio è vincolato, infatti, da tali statuizioni".

Sulla scorta di tali premesse interpretative, come recentemente ribadito da Sez. 4, n. 26092 del 27/02/2019, Belardinelli, Rv. 276582-01 (in motivazione), la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che anche in ipotesi di patteggiamento, ove il giudice di merito, nel recepire l'accordo delle parti, abbia determinato la pena da infliggere a titolo di continuazione separatamente per ogni reato, non sussiste alcun elemento ostativo affinché la Corte di cassazione, nel rilevare e pronunciare la causa di estinzione per alcuni reati (prescrizione), ridetermini la pena finale, eliminando quella parte di essa concordata dalle parti per i reati venuti meno (Sez. 5, n. 3752 del 18/10/2018, dep. 2019, Scarpa, Rv. 275107-01). E' stato così superato, in ragione della innovazione normativa, la circostanza dell'esistenza di un contrasto interpretativo - definitosi nel tempo anteriore - in merito ai poteri della Corte di cassazione nell'ipotesi in cui uno dei delitti (avvinti dal vincolo di continuazione) contemplati nell'accordo ex art. 444 c.p.p. venga meno per effetto di cause di estinzione del reato.

10.3. Ciò che vale rilevare ai fini che qui occupano è che le pronunce appena Rammentate, successive al citato intervento delle Sezioni Unite del 2018, non rinvengono nell'origine pattizia della decisione un insuperabile limite all'esercizio del potere discrezionale previsto dall'art. 620 c.p.p., lett. l), diversamente da quanto ritenuto dalla giurisprudenza che si è confrontata con il testo previgente.

10.4. Il detto approdo ermeneutico è condivisibile, sia perché la disposizione della quale si sta facendo menzione non limita il proprio campo operativo estromettendone alcune tipologie decisorie, sia perché risulta coerente con quanto rilevato dalle Sezioni Unite nella citata pronuncia Matrone.

Nonostante ciò, il principio non è applicabile nella specie. Esso, difatti, necessita di essere calato nella particolarissima dimensione della sentenza di patteggiamento che abbia applicato la specifica pena illegale in esame (per tale necessita, si veda Sez. 4, n. 26092/2019, Belardinelli, cit.).

In particolare, la nozione di accertamenti di fatto va coordinata con la specifica estensione dei doveri di accertamento che incombono sul giudice al quale venga sottoposta la richiesta di pena concordata, che includono anche la verifica della volontà delle parti (cfr. art. 448 c.p.p., comma 2-bis), ma nel caso di specie non è evidente il riferimento della volontà delle parti verso l'applicazione del lavoro di pubblica utilità, in assenza di una sua sospensione condizionale, ovvero, verso l'applicazione della pena detentiva e pecuniaria, sospesa ma non sostituita con il lavoro di pubblica utilità.

Diversamente opinando, la Suprema Corte travalicherebbe i limiti della "discrezionalità vincolata", di cui alle citate Sezioni Unite del 2018, scegliendo, in luogo delle parti e dopo l'eliminazione della pena illegale, la tipologia di pena da applicare in concreto, tra quella sostituita e quella sostitutiva.

11. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo per l'ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Bergamo per l'ulteriore corso.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2022.

 

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