Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione seconda, sentenza n. 23932 del 21 giugno 2022
Corte di Cassazione Penale, Sezione II, sentenza numero 23932 del 21/06/2022
Circolazione Stradale - Art. 177 del Codice della Strada - Art. 640 c.p. - Circolazione delle autoambulanze - Si configura il reato di truffa aggravata quando, con artifici e raggiri consistiti nell'erogare il servizio di trasporto mediante autoambulanza di soggetti dializzati con modalità diverse da quelle convenzionalmente stabilite, si induce in errore il competente ufficio deputato alla liquidazione, procurandosi un ingiusto profitto con danno allo Stato o di altro ente pubblico.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di A. S. ed A. L. propone, con un unico atto, ricorso per cassazione nell'interesse di entrambi gli imputati avverso la sentenza in data 9 dicembre 2020 con cui la Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo in data 19 luglio 2017, riduceva la pena ad A. S. e riconosceva ad A. L. il beneficio della non menzione, confermando nel resto la sentenza di primo grado, in forza della quale gli imputati erano stati ritenuti penalmente e civilmente responsabili dei reati, loro ascritti, di cui all'art. 81 cpv. c.p., artt. 110 e 356 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere, con artifici e raggiri consistiti nell'erogare il servizio di trasporto mediante autoambulanza di soggetti dializzati con modalità diverse da quelle convenzionalmente stabilite, indotto in errore il competente ufficio deputato alla liquidazione, procurandosi un ingiusto profitto di Euro 803.063,56, con pari danno per l'ente.
2. Il ricorso è affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in punto di omessa motivazione riferibile alla penale responsabilità degli imputati in ordine all'assenza dell'elemento soggettivo.
La Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado senza effettuare alcuna valutazione degli atti d'appello. I testi "hanno confermato quello che già aveva riferito il Sig. A.", con riguardo alla mancata specificazione delle modalità di trasporto in convenzione ed all'autorizzazione al trasporto in più occasioni espressa dall'ASL. Tenuto presente che il delitto di truffa è punito a titolo di "dolo generico", nella vicenda che ne occupa, in cui si assume che gli atti siano stati realizzati mediante la produzione all'ente di "documentazione contabile artefatta", difetta il dolo, mancando la consapevolezza della falsità della documentazione.
La Corte d'appello liquida la questione del dolo limitandosi ad affermare che gli imputati avevano sin dall'inizio posto in essere artifici e raggiri finalizzati alla sottoscrizione del contratto. Essa prende per buono quello che il primo giudice ha omesso di valutare, ossia il fatto che, firmato il primo contratto, non ci sono più stati adeguamenti, essendosi avute solo integrazioni autorizzate e quietanzate dall'ASL, con la conseguenza che gli imputati non hanno potuto indurre in errore alcuno, avendo semplicemente agito così come previsto dal contratto.
La truffa è carente sotto ogni profilo, poiché la Corte d'appello non motiva in ordine al danno, in realtà dall'ASL non patito. Tutti i pazienti hanno ricevuto il servizio di cui alla convenzione. Le fatture venivano emesse solo dopo aver svolto il servizio, e mai prima, a cagione di ciò omettendo la Corte d'appello di spiegare come siano configurabili gli estremi della truffa.
Dalla sentenza impugnata non emerge la circostanza che l'associazione "B. Soccorso" ha cessato di esercitare il servizio su sua istanza: detta circostanza, non valutata, comporta ancor di più l'assoluta assenza di elemento soggettivo.
Infine, neppure è stato valutato che nessuna sanzione è stata mai applicata agli imputati, nonostante che ne fosse convenzionalmente prevista la possibilità in caso di inosservanza delle prescrizioni.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in punto di omessa motivazione, quanto ad A. S., sull'esclusione e non applicabilità della recidiva per cancellazione della sentenza oggetto di recidiva.
Con motivazione "puramente apparente" la Corte d'appello, quanto alla posizione di A. S., non ha escluso la recidiva, che invece avrebbe dovuto esserlo in ragione dell'estinzione del reato oggetto della sentenza di patteggiamento in data 23 settembre 2009.
La Corte d'appello ha trascurato la circostanza che il provvedimento di estinzione è stato emesso dal Tribunale di Torre Annunziata ed è stato finanche depositato in allegato ai motivi di appello. L'effetto estintivo si era già avuto senza nessuna impugnazione del P.M., con la conseguenza che la recidiva andava obbligatoriamente esclusa. L'estinzione del reato, ai sensi dell'art. 445 c.p.p., comma 2, in combinato disposto con l'art. 106 c.p., comma 2, opera "ipso iure" e comporta l'estinzione di ogni effetto penale, ragion per cui non avrebbe potuto tenersi conto della precedente condanna neppure ai fini della recidiva.
Nella specie sull'estinzione del reato vi è addirittura il provvedimento del Tribunale di Torre Annunziata; per l'effetto, anche il decreto penale segue la stessa sorte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, cumulativamente proposti mediante un unico atto, sono inammissibili.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, sia perché aspecifico, non richiamando le doglianze devolute alla Corte d'appello cui la medesima non avrebbe risposto, sia perché del tutto generico e completamente avulso dal tenore della lunga ed approfondita motivazione della sentenza impugnata, che consta aver esaminato finanche espressamente le censure riproposte in questa sede, sia perché sostanzialmente volto a sollecitare a questa Suprema Corte una più favorevole, per gli imputati, rivalutazione del materiale istruttorio, in patente violazione dei canoni del giudizio di legittimità.
2.1. In particolare, la Corte d'appello:
- rende conto della sussistenza del requisito degli artifici e raggiri nel momento esecutivo del contratto, in relazione alle modalità di effettuazione delle prestazioni non conformi alle pattuizioni pur richieste a rimborso come se lo fossero, facendo buon governo degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la truffa ben può configurarsi anche dopo la stipula del contratto (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 5046 del 17/11/2020 (dep. 2021), Cantone, Rv. 280563-02);
- chiaramente spiega che i trasporti che davano diritto al rimborso erano soltanto quelli per i quali il personale medico stabiliva la necessità dell'autoambulanza: talché era proprio in ragione delle condizioni dei pazienti che erano previste particolari modalità di trasporto e specifici requisiti di sicurezza dei mezzi; solo in via del tutto eccezionale, il responsabile del centro di dialisi poteva disporre che taluni pazienti, quali per esempio quelli affetti da malattie psichiatriche o da obesità, fossero trasportati con mezzi speciali, che, nondimeno, dovevano garantire gli stessi livelli di assistenza caratterizzanti il trasporto in autoambulanza: ragion per cui giammai i trasporti speciali avrebbero potuto essere effettuati con mezzi privati, il cui impiego, invece, fuoriuscendo dalla convenzione, non dava diritto ad alcun rimborso.
Il ricorrente completamente neglige di confrontarsi sia con tale ricostruzione del servizio che gli imputati erano tenuti a svolgere, sia con l'ulteriore osservazione - perspicuamente compiuta dalla Corte d'appello - a termini della quale "queste indicazioni" - ossia le modalità del servizio dianzi descritte - "risultano ribadite anche con missiva inviata il 4 febbraio 2015 dall'ASL a B. Soccorso".
A fronte di ciò, la Corte d'appello rende precipuamente conto della decettività della condotta degli imputati e del loro intento frodatorio, allorquando (cfr. la seconda metà di p. 12) spiega come le fatture rimesse all'ASL per il rimborso esponessero prestazioni di per sé stesse inveritiere, alla stregua, tra l'altro, di quanto direttamente accertato dalla Guardia di Finanza: rileva ad esempio detta Corte come nelle fatture si esponessero prestazioni corrispondenti;
- da un lato, ad un numero di trasporti singoli non corrispondenti alla realtà, atteso che i trasporti venivano effettuati per lo più cumulativamente, con conseguente diritto ad un minor rimborso rispetto alla somma dei trasporti singoli;
- dall'altro lato, all'impiego usuale (come riferito dai testimoni) di una Seat Ibiza, che "non avrebbe potuto certamente essere fatturato come trasporto su una autoambulanza (sia pure intesa come equivalente a un "mezzo speciale"), attesi i costi certamente inferiori e le inesistenti condizioni di sicurezza e di assistenza".
2.2. Anche sotto il profilo dell'esistenza di un ingiusto profitto in capo agli imputati, con pari danno per l'ASL, la Corte d'appello si è lungamente intrattenuta (cfr. l'intera p. 13), con osservazioni obnubilate dal ricorrente. Detta Corte ha spiegato come gli imputati abbiano esposto costi per servizi resi (giusta il personale ed i mezzi impiegati) "con "standard" qualitativi assai lontani da quelli imposti dalla convenzione" oppure alla stregua di modalità che (come nel caso dei trasporti cumulativi), in ragione della convenzione, avrebbero dato diritto a rimborsi inferiori.
Sotto altro profilo, per mera completezza, osservasi che la Corte d'appello - con un'affermazione non fatta specificamente oggetto di censura - ha ritenuto essere indimostrato che sarebbero stati esposti come effettuati nei 15 km. anche trasporti più lunghi, concludendo - con motivazione del tutto logica - che siffatto meramente ipotetico vantaggio per l'ASL non sarebbe comunque opponibile in compensazione di un "pregiudizio concreto e tangibile quale quello patito dall'ASL per il pagamento di servizi non effettuati secondo la convenzione".
2.3. Relativamente alle due circostanze che "B. Soccorso" ha cessato di esercitare il servizio su sua istanza e che nessuna sanzione è stata mai applicata, esse sono irrilevanti, atteso che, per costante giurisprudenza, ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa (cfr. "funditus" Sez. 2, n. 42941 del 25/09/2014, Selmi, Rv. 260476-01).
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. L'affermazione del ricorrente secondo cui la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione, o comunque esibirebbe una motivazione solo apparente, con riferimento al "thema" della mancata esclusione della recidiva per A. S., tenuto conto che il reato oggetto della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti in data 23 settembre 2003, da cui questi era attinto, è stato dichiarato estinto dal Tribunale di Torre Annunziata, con i pretesi effetti di cui all'art. 445 c.p.p., comma 2, e art. 106 c.p., comma 2, è palesemente priva di fondamento, considerato che invece sul punto la Corte d'appello ha reso esplicita e congrua motivazione.
Invero detta Corte, in risposta a doglianza identica a quella reiterata con il ricorso per cassazione, osserva che il "dedotto effetto estintivo", relativamente alla sentenza ex art. 444 c.p.p. in data 23 settembre 2003, non si è verificato in quanto, da un lato, essa è divenuta irrevocabile il 14 novembre 2003 e, dall'altro, risale all'A. luglio 2006, dunque nel quinquennio dall'irrevocabilità, la commissione del delitto di falso previsto dall'art. 483 c.p. per cui, nei confronti dell'imputato, è stato emesso decreto penale di condanna: donde - conclude la Corte - la recidiva reiterata ed infraquinquennale è stata correttamente ritenuta già dal primo giudice, poiché l'inflizione della sola pena pecuniaria per il falso non impedisce l'operatività della causa ostativa all'estinzione del reato con pena patteggiata".
Una tale motivazione rassegnata dalla Corte d'appello nella sentenza impugnata si palesa, non solo esplicita, e dunque nient'affatto "omessa", ma altresì puntualmente rivolta, con un'articolata disamina dei titoli di condanna attingenti l'imputato, a render conto delle ragioni per cui l'effetto estintivo" già "dedotto" in appello in realtà non sussiste, dovendo dunque escludersi che si versi in ipotesi di motivazione solo "apparente".
3.2. A fronte di siffatto ragionamento della Corte d'appello, che dimostra di aver esaminato e respinto la tesi difensiva dell'effetto estintivo" in piana applicazione dell'art. 445 c.p.p., comma 2, rilevando l'ostatività della commissione del delitto di falso nel quinquennio dal passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena, il ricorrente si limita a nuovamente dedurre "sic et simpliciter" la declaratoria di estinzione del reato pronunciata dal giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Torre Annunziata, senza tuttavia allegare - come invece sarebbe stato suo onere fare al fine di invocare l'erronea valutazione, da parte della Corte d'appello, delle preclusioni derivanti dal cd. giudicato esecutivo - che il giudice dell'esecuzione, pur a conoscenza della causa ostativa all'estinzione del reato alla luce dell'effettivo contenuto degli atti e documenti sottoposti al suo esame, aveva nondimeno ritenuto sussistere gli estremi per dichiarare l'effetto estintivo" alla stregua di una decisione non impugnata e proprio per tale motivo impeditiva di ulteriori diversi apprezzamenti: ciò in quanto costituisce insegnamento recettizio quello secondo cui detto giudicato dispiega efficacia preclusiva, tuttavia non già "in maniera assoluta e definitiva", come il giudicato cognitorio, che copre il dedotto ed il deducibile, ma solo "rebus sic stantibus", ossia in relazione alle questioni giuridiche ed agli elementi di fatto concretamente considerati ai fini della decisione (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 29983 del 31/05/2013, Bellin, Rv. 256406-01).
Anche sotto il profilo che ne occupa, pertanto, il motivo si dimostra inammissibile, non avendo il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, compiuto la ridetta necessaria allegazione, in guisa da mettere questa Suprema Corte nelle condizioni di materialmente apprezzare eventuali errori o manchevolezze rimproverabili alla Corte d'appello.
4. Quanto precede rende conto, come anticipavasi, dell'inammissibilità dei ricorsi.
4.1. All'inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna delle parti nel cui interesse essi sono stati proposti al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 3.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2022.
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