Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 23116 del 14 giugno 2022

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 23116 del 14/06/2022
Circolazione Stradale - Art. 141 del Codice della Strada - Velocità - La velocità "prudenziale" a cui fa riferimento l'art. 141 del C.d.S. è quella che permette di mantenere il controllo del proprio veicolo e di compiere manovre di emergenza senza creare ulteriori pericoli e che permette l'arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità, nonchè quella che permette l'arresto dinanzi ad ostacoli prevedibili.


RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Vercelli nei confronti di C. A., giudicato colpevole del reato di cui all'art. 589 c.p., comma 1 e 2 e pertanto condannato alla pena ritenuta equa e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Su appello incidentale della parte civile la Corte distrettuale ha infatti escluso il concorso di colpa della persona offesa nella causazione dell'evento e pertanto rideterminato in aumento l'ammontare della somma da risarcire alla medesima. Nel resto ha confermato la decisione impugnata.

La vicenda che ha dato luogo ai giudizi di merito attiene al sinistro stradale occorso il (OMISSIS), allorquando l'autovettura condotta dal C. investì La. Tom. che, alla guida di una bicicletta, attraversava la strada percorrendo il tratto definito dalle strisce pedonali. A seguito della collisione il La. riportava lesioni personali che ne determinavano la morte.

Il Tribunale aveva ritenuto che il C. non avesse mantenuto una velocità adeguata alle condizioni della circolazione e pertanto che avesse cagionato per colpa la morte del ciclista; del quale, tuttavia, aveva riconosciuto un concorso di colpa quantificato nella misura del 20%" perché aveva attraversato senza previamente fermarsi e senza procedere spingendo a mano la bicicletta.

La Corte di appello ha ribadito le valutazioni del primo giudice, salvo che per il concorso della persona offesa, che ha ritenuto insussistente perché la violazione cautelare da questa commessa non aveva avuto concreto rilievo causale nell'investimento.

2. C. A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza a mezzo del difensore di fiducia avv. N. G..

2.1. Con un primo motivo ha denunciato la violazione di legge in relazione all'art. 140 C.d.S., art. 141 C.d.S., comma 1, artt. 68 e 182 C.d.S. e art. 337 del relativo regolamento di attuazione.

Ad avviso dell'esponente la Corte di appello ha errato nell'analizzare l'evento ponendosi esclusivamente nell'ottica del danneggiante; prospettiva che l'ha indotta a interpretare erroneamente sia le norme extrapenali pertinenti al caso che le risultanze documentali e le deposizioni testimoniali. La situazione dei luoghi è chiara, nel senso che l'attraversamento stradale in corrispondenza del quale si verificò il sinistro non era un prolungamento della pista ciclabile percorsa dal La. ma esattamente un attraversamento pedonale. Il che significa che il ciclista non aveva diritto di precedenza rispetto all'automobilista ed anzi era tenuto a concederla, secondo la previsione dell'art. 145 C.d.S., comma 6. Obbligo di precedenza che sul posto era ribadito da un segnale specifico apposto dal Comune di (OMISSIS). Si tratta di una circostanza ignorata dalla Corte di appello. Da tale circostanza l'esponente ricava il dubbio che l'investimento fosse stato inevitabile per il C., considerata la violazione dell'obbligo di precedenza da parte di un ciclista privo dei sistemi che lo avrebbero reso visibile, in un'area non illuminata.

L'esponente ha aggiunto che la Corte di appello ha anche errato nella interpretazione della relazione del consulente tecnico del P.M. e della deposizione di B. A., quanto alla velocità di marcia del ciclista; ha apoditticamente affermato che se il C. avesse mantenuto una velocità di 20 km/h avrebbe evitato l'impatto, non accertando quale fosse la velocità adeguata alla luce delle condizioni concrete e quindi dell'improvviso proporsi del ciclista, in transito ad elevata velocità.

Quanto alla deposizione della B., la Corte di appello ha utilizzato l'affermazione che ella aveva visto il ciclista per concludere che anche il C. era stato in condizione di avvistare il La.; ma la Corte di appello non ha considerato il diverso punto di visuale: frontale quello della B. ed agevolata dalla illuminazione e dalla vicinanza all'attraversamento. Il C. invece proveniva da una semicurva non illuminata.

In conclusione, per il ricorrente la manovra compiuta dal ciclista non era prevedibile dal C..

Non era neppure evitabile, alla luce del comportamento di guida del ciclista, che violò più regole sulla circolazione stradale (quelle sopra rammentate e quella che impone il dispositivo di illuminazione anteriore sul velocipede), tenendo una condotta abnorme.

Se egli non avesse tenuto tale condotta l'evento non si sarebbe verificato o avrebbe avuto conseguenze di minore gravità; invece, con la condotta avuta egli rese l'investimento inevitabile da parte del C., portandone quindi la responsabilità prevalente, se non anche esclusiva.

2.2. Con un secondo motivo di ricorso ci si duole della quantificazione del danno ai fini civili perché la Corte di appello non ha svolto alcun concreto accertamento in ordine al danno verificatosi, in particolare in relazione al vincolo parentale tra persona offesa (padre) e danneggiata (figlia) e più in generale in relazione ai parametri che la giurisprudenza ha individuato per la determinazione dell'ammontare del danno da risarcire. Viene rappresentato, al proposito, che la parte civile non conviveva da tempo con il La., che è coniugata e si è definitivamente allontanata dall'originaria famiglia di appartenenza. In ogni caso l'importo da risarcire non può essere superiore ai parametri medi riportati nelle cd. tabelle milanesi.

2.3. Con un terzo motivo si lamenta la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7 e al bilanciamento tra le concorrenti circostanze eterogenee.

3. Con atto datato 2.3.2022 è stata depositata "Memoria di replica e di precisazione delle conclusioni dell'imputato", con la quale si argomenta in particolare in merito allo stato dei luoghi ove avvenne il sinistro e sulle relative implicazioni.

4. Con atto datato 3.3.2022 ha depositato conclusioni scritte la parte civile L. L. L., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato in parte, nei sensi di seguito precisati.

1.1. I rilievi che attengono all'affermazione della responsabilità del C. sono infondati.

Alla luce delle argomentazioni del ricorrente vale ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 2037C) del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).

Invero, il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei casi in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell'uno e nell'altro caso quando tal prove siano in sè determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata. Il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l'adeguatezza dell'apprezzamento probatorio, perché ciò estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente (in tal senso anche Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015 - dep. 24/03/2015, Miccichè, Rv. 262948).

In conclusione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601).

Le due sentenze, che vanno lette in modo integrato in quanto conformi ("Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale": Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), espongono una serie di argomentazioni non manifestamente illogiche, alcune delle quali neppure considerate dal ricorrente; la cui critica si concreta nell'accusa di un errore metodologico invero insussistente, ma che svela al più presto il suo carattere strumentale, siccome a servizio di una alternativa ricostruzione dell'accadimento, che si vorrebbe avallata da questa Corte.

1.2. Ai giudici di merito l'imputazione imponeva di accertare la responsabilità del C. e non certo quella della persona offesa. Il comportamento di questa assume rilievo, in tale prospettiva, al fine di verificare la sussistenza della relazione causale tra la condotta del C. e l'evento tipico, alla luce della previsione dell'art. 41 c.p., comma 2; e poi sotto il profilo sanzionatorio e della entità della somma da liquidare a titolo di risarcimento del danno (nel caso che occupa, il Tribunale determinò anche l'ammontare della somma da corrispondere alla parte civile a tal titolo).

In altri termini, per il primo aspetto, si trattava di accertare se la condotta del La. si fosse posta come causa da sola sufficiente a causare l'evento.

In realtà la critica del ricorrente sottende l'assunto secondo il quale la elevata gravità della colpa del soggetto passivo del reato dimostrerebbe che il sinistro fu causato esclusivamente o prevalentemente da questi.

Il ricorrente ha avanzato rilievi a riguardo della motivazione con la quale si è data ragione del giudizio di sussistenza della colpa oggettiva dell'automobilista, ovvero della trasgressione da parte di questi dell'obbligo di tenere una velocità adeguata alle condizioni della circolazione; infatti, si è doluto della motivazione con la quale si è sostenuto che la velocità non era adeguata.

Quando si tratta di regole codificate, l'eventuale natura "elastica" pone non irrilevanti problemi di definizione contenutistica.

Esemplare, al riguardo, è proprio l'art. 141 C.d.S. che impone di tenere una velocità prudenziale ma non definisce quale essa sia attraverso parametri "rigidi", valevoli in ogni caso; la norma vuole che essa sia definita in relazione alle condizioni concrete nelle quali si pone l'atto della guida. Nella giurisprudenza di questa Corte si rinviene una concettualizzazione appropriata; si è scritto che è regola cautelare cosiddetta "elastica" quella che necessita, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l'agente deve operare; mentre quelle cosiddette "rigide" fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento (Sez. 4, n. 29206 del 20/06/2007, Di Caterina, Rv. 236905, attinente proprio all'art. 141 C.d.S.).

L'insidia che incombe in presenza di regole elastiche è che agisca più o meno inconsapevolmente l'errore cognitivo evocato dal brocardo post hoc ergo propter hoc. L'art. 141, comma 2 recita: "Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile". Dalla disposizione emerge che la velocità prudenziale è quella che permette di mantenere il controllo del proprio veicolo e di compiere manovre di emergenza senza creare ulteriori pericoli; ed è quella che permette l'arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità nonché quella che permette l'arresto dinanzi ad ostacoli prevedibili.

La articolazione prescrittiva appare corrispondere alla varietà delle situazioni delle quali si ha esperienza; sono le peculiarità dell'accadimento a indirizzare verso l'una o l'altra ipotesi.

Ma se la regola cautelare non può essere più dettagliata, non gode di analogo privilegio l'accertamento giudiziario: quella velocità che la norma non indica in termini rigidi deve essere individuata dal giudice; il grado di approssimazione della misura dipende dalla necessità proposta nel caso concreto di fare riferimenti a valori più o meno specifici. Di certo non sono sufficienti giudizi avulsi dall'elaborazione di definiti parametri tecnici.

Nel caso di specie si è rimproverato al C. di aver tenuto una velocità non adeguata in relazione allo stato dei luoghi, alle condizioni di luminosità della strada e alla possibile presenza di pedoni; non si è mancato di esplicitare quale fosse la velocità adeguata, ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del caso, secondo un giudizio ex ante era idonea ad evitare l'investimento di un eventuale pedone. È quindi infondato il rilievo difensivo.

Il nucleo del ricorso è però nella sottolineatura dell'incidenza del comportamento del La..

Orbene, non ha errato la Corte di appello nel rammentare quanto la giurisprudenza di legittimità è solita affermare; ovvero che, in tema di circolazione stradale, il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo costituisce mera concausa dell'evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente; esso può costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, soltanto nel caso in cui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile, cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 23309 del 29/04/2011, Rv. 250695). E' opportuno esplicitare che nel caso che ha dato luogo alla formulazione di tale principio, è stata esclusa l'imprevedibilità della condotta del pedone che aveva iniziato l'attraversamento sulle strisce, in corrispondenza della quali era irregolarmente parcheggiato un voluminoso furgone, osservando che in prossimità di esse, ed a maggior ragione quando la visuale risulti in parte ostruita, non può ritenersi imprevedibile la presenza di un pedone in fase di attraversamento.

In realtà, per quanto il sempre ribadito principio sia stato ancora perpetuato ("in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile, dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo: Sez. 4, n. 37622 del 30/09/2021, Rv. 281929), non poche decisioni, sulla scorta dell'insegnamento di Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, adottano una impostazione non del tutto coincidente, sostenendo che il comportamento del soggetto passivo del reato o del terzo, per poter essere ritenuto causa da sola sufficiente a cagionare l'evento deve aver introdotto nella sequenza degli antecedenti un rischio eccentrico. Con ciò si vuole significare che, almeno in alcuni casi, la prevedibilità o l'imprevedibilità di quel comportamento non è realmente significativa. Mentre lo è l'innesco di un rischio la cui gestione non era affidata al soggetto della cui responsabilità si controverte.

Ne consegue, che ai fini che si stanno considerando, non è di per sé rilevante il grado di divergenza tra condotta attesa (quella corretta) e condotta concreta (scorretta) del soggetto passivo del reato. È il profilo sul quale il ricorrente ha reiteratamente insistito. Ciò che davvero rileva è se il comportamento del La. abbia introdotto un rischio eccentrico; il che, in questa sede, significa dare risposta al quesito se sul tema sia stata resa dai giudici di merito una motivazione priva di taluno dei vizi elencati nell'art. 606 c.p.p., comma 1.

Orbene, dalle sentenze di merito emerge che il La. aveva attraversato sulle strisce pedonali la strada percorsa dal C. e che lo aveva fatto inforcando la bicicletta e non conducendola a mano.

Tanto che si è discusso in ordine alla incidenza della repentinità dell'attraversamento sulla evitabilità dell'investimento da parte del C..

Ma se così è, va certamente escluso che nella fattispecie il comportamento del La. abbia innescato un rischio eccentrico rispetto a quello che il conducente dell'autovettura che si approssima ad un attraversamento pedonale è chiamato a gestire; ovvero il rischio per l'incolumità delle persone che, appiedate o su mezzi di locomozione in grado di percorrere perpendicolarmente la strada, possono trovarsi sulla traiettoria di marcia. Ne deriva, altresì, che la velocità di attraversamento del ciclista non incide sul rischio in questione, modificandolo in altro; mentre è da considerare ai fini del giudizio in ordine alla valenza impeditiva del comportamento lecito atteso e non realizzato.

Non erra, quindi, la Corte di appello nell'affermare, con una prospettiva a lungo coltivata dalla giurisprudenza di legittimità, che "l'attraversamento sulle strisce pedonali è evento prevedibile per legge"; con ciò intendendo che la predisposizione di specifici punti di attraversamento segnalati sulla sede stradale, e sovente anche con la cartellonistica verticale, è di per sé sufficiente ad evidenziare una situazione di rischio per le persone, della quale il conducente di un veicolo deve farsi carico.

Proprio perché quel rischio non è ritagliato su particolari modalità di attraversamento, non assume rilievo che, nel caso di specie, non di pedone si sia trattato ma di un ciclista e quale velocità questi procedesse, essendo l'automobilista tenuto a mantenere una velocità in grado di far fronte ad improvvisi ed improvvidi attraversamenti.

1.2. Per contro, il ricorso è fondato quanto alla motivazione con la quale la Corte di appello ha escluso il concorso di colpa del ciclista. Il tema è stato posto con il terzo motivo.

La ragione esposta dalla corte territoriale per escludere quel concorso è che la condotta a sua volta colposa del La. venne "posta in essere al momento in cui la vittima intraprese l'attraversamento in corrispondenza della carreggiata opposta a quella dove avvenne l'urto...".

In altri termini, secondo la Corte di appello la manovra scorretta del La. "intervenne dall'altro lato della strada" e quindi avrebbe potuto determinare un concorso di colpa con quella del conducente che transitava su quel lato (la B.) ma non con quella del C.. Si comprende che ciò viene affermato perché si è ritenuto che, avendo la B. avuto la possibilità di scorgere il ciclista (tanto che aveva arrestato la propria marcia), a maggior ragione questa possibilità aveva avuto il C.. Ma tale ragionamento esibisce un errore di diritto. Il quale consiste nell'aver confuso la evitabilità dell'evento da parte del C. con il contributo causale dato al verificarsi dell'evento dalla condotta del soggetto passivo. Il primo giudizio ha ad oggetto la condotta dell'imputato e concerne la attitudine della condotta doverosa inattuata di evitare il verificarsi dell'evento. È un giudizio controfattuale, di carattere prognostico. L'altro giudizio ha ad oggetto la condotta del soggetto passivo e concerne la idoneità della stessa a contribuire alla verificazione dell'evento.

È un giudizio improntato al modello della "eliminazione mentale dell'antecedente", ancorché assuma rilievo essenziale che si tratti di condotta colposa.

Andrà quindi nuovamente considerato il tema, impostando correttamente il relativo accertamento.

Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata con riferimento alla statuizione relativa alla esclusione del concorso di colpa del soggetto passivo del reato, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio sul punto. Al giudice del rinvio va demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

1.3. Resta assorbito il motivo relativo all'entità del risarcimento accordato, dovendo questa essere rivalutata all'esito della nuova deliberazione in tema di concorso di colpa del soggetto passivo del reato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Torino, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2022.

 

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