Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quinta, sentenza n. 1759 del 17 gennaio 2022
Corte di Cassazione Penale, Sezione V, sentenza numero 1759 del 17/01/2022
Circolazione Stradale - Art. 159 del Codice della Strada e artt. 392 e 393 C.P. - Rimozione e blocco dei veicoli - Posizionamento di un escavatore ed impedimento dell'utilizzo della strada a terzi, non titolari del diritto di servitù di passaggio, per un periodo temporale eccessivamente lungo rispetto alle esigenze - Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone - Qualificazione dei reati - La differenza tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quello di violenza privata sta nel fatto che per il primo è richiesto il dolo specifico consistente nel fine particolare ed esclusivo di esercitare un diritto, rimanendo in tal modo assorbito il delitto di violenza privata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del 11 dicembre 2019 del Tribunale di Enna, che ha affermato la penale responsabilità di P. S. per il delitto di violenza privata ai danni dei fratelli M. T. e B. G. consistito nel collocare un escavatore all'ingresso di una stradella da essi utilizzata per accedere ad un terreno di loro proprietà, in tal modo impedendo loro di utilizzare la stradella ed il loro terreno, e lo ha condannato alla pena di giustizia oltre che al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore delle predette persone offese, costituitesi parti civili.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso P. S., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando sei motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole dell'omessa pronuncia sull'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
Il giudice di primo grado aveva inizialmente accolto l'istanza di ammissione della testimonianza del Dott. Pa. Sa. allo scopo di dimostrare che il terreno del P., sul quale passava la suddetta stradella, era stato interessato da frane che avevano reso necessario intervenire anche mediante mezzi meccanici. L'escavatore era stato posizionato all'ingresso della stradella non per impedire l'accesso alle persone offese, ma per provvedere all'esecuzione di detti lavori. Successivamente, però, il giudice aveva revocato il provvedimento di ammissione.
Con l'atto di appello era stata, quindi, chiesta la rinnovazione dell'istruttoria per sentire il teste Pa., evidenziando che la sua deposizione era assolutamente necessaria ai fini della decisione, ma su tale richiesta la Corte di appello non si era affatto pronunciata.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente sostiene che il fatto andrebbe qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulla cosa ai sensi dell'art. 392 c.p. poiché l'imputato, attraverso la sua condotta, intendeva far valere il suo diritto di proprietà sul terreno percorso dalla stradella e quindi ad impedire alle persone offese l'utilizzo di questa facendosi giustizia da sé senza ricorrere all'autorità giudiziaria. La pretesa in tal modo attuata dal P. corrispondeva esattamente a quella apprestata dall'ordinamento giuridico.
Peraltro, successivamente al fatto per cui è processo, evidenzia il ricorrente, egli aveva proposto nei confronti delle persone offese un'azione negatoria di servitù che era stata accolta.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta un'erronea valutazione delle prove da parte dei giudici del merito e sostiene che le prove assunte dimostrerebbero, contrariamente a quanto affermato nelle due sentenze di merito, che l'escavatore venne posizionato sulla stradella al solo scopo di rimuovere detriti e fango originati dalla frana che aveva interessato il suo terreno; in particolare, la versione del fatto sostenuta dal ricorrente sarebbe provata dal contenuto delle deposizioni dei testi B. M. T. e C. B..
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente invoca la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p..
L'applicazione della citata disposizione era stata richiesta con l'atto di appello, ma la Corte territoriale aveva replicato che il fatto era reso grave dall'ostinazione manifestata dal P. nell'impedire il transito; detta motivazione era inadeguata, perché non considerava la natura episodica dell'impedimento; non era ravvisabile alcuna pervicacia o ostinazione.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente si duole della mancata motivazione del rigetto dell'istanza di applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente sostiene che, essendo stata accertata l'inesistenza del diritto delle persone offese a transitare sul suo terreno, neppure esse potevano vantare un diritto al risarcimento del danno sofferto dall'impedimento del passaggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il giudice d'appello ha l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli, Rv. 275114).
Nel caso di specie la richiesta istruttoria è stata implicitamente rigettata, avendo la Corte di appello deciso sulla penale responsabilità dell'imputato senza ammettere la deposizione del teste Pa. Sa..
Peraltro, la Corte di appello ha implicitamente chiarito le ragioni dell'irrilevanza della deposizione del teste evidenziando che anche laddove fossero stati dimostrati l'evento franoso e la conseguente necessità di provvedere ai necessari interventi di ripristino, il P. aveva comunque strumentalmente sfruttato la circostanza per impedire alle persone offese l'utilizzo della stradella collocando su di essa un escavatore per un periodo temporale eccessivamente lungo e del tutto sproporzionato rispetto a tale esigenza; i mezzi meccanici, appartenenti alla ditta del P., erano rimasti posizionati sulla stradella per diversi mesi (da settembre 2013 a maggio del 2014) e non erano stati utilizzati e il P. si era addirittura reso irreperibile, tanto che le persone offese non erano riuscite a rintracciarlo, per indurlo a rimuovere l'ostacolo, neppure con l'intervento dei carabinieri.
2. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimità.
La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).
3. E', invece, parzialmente fondato il secondo motivo di ricorso.
Il delitto per il quale è stata pronunciata condanna deve essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone di cui all'art. 393 c.p. (e non con violenza sulle cose di cui all'art. 392 c.p., come sostenuto dal ricorrente).
La differenza tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quello di violenza privata sta nel fatto che per il primo è richiesto il dolo specifico consistente nel fine particolare ed esclusivo di esercitare un diritto, rimanendo in tal modo assorbito il delitto di violenza privata (vedi Sez. 5, n. 6641 del 11/04/1986, Moncada, Rv. 173272).
Dalla sentenza di secondo grado emerge che lo scopo della condotta dell'odierno ricorrente era quello di esercitare il suo diritto di proprietà impedendo alle persone offese l'esercizio della servitù di passaggio sul fondo di sua proprietà nella convinzione della inesistenza del loro diritto, tanto che il ricorrente, subito dopo il fatto per il quale è processo, ha esercitato nei loro confronti l'azione negatoria della servitù che è stata accolta con sentenza ormai passata in giudicato che ha accolto pure la domanda riconvenzionale di costituzione coattiva della servitù medesima.
Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è stato, però, commesso con violenza sulle cose. Agli effetti della legge penale la violenza sulle cose si configura quando la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione. Nel caso di specie non ricorre alcuna di tali ipotesi.
Sussiste, invece, la violenza alla persona, atteso che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi un veicolo in modo tale da bloccare il passaggio, impedendo l'accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione (vedi in proposito Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017, dep. 2018, Andriulo, Rv. 272322).
4. La fondatezza, sia pure parziale, del ricorso impone di rilevare, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 1, la intervenuta estinzione del reato per prescrizione ai sensi dell'art. 157 c.p., non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2.
A tale proposito deve rilevarsi che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è reato istantaneo, al pari del delitto di violenza privata (per il quale vedi Sez. 5, n. 1174 del 20/11/2020, dep. 2021, Zaffaroni, Rv. 280130, che ha affermato che il delitto di violenza privata si consuma nel momento in cui si realizza la limitazione coattiva della libertà di determinazione ed azione della vittima, essendo irrilevante che gli effetti della imposizione si protraggano nel tempo e l'offeso possa successivamente eliminarli) dal quale si differenzia solo per lo scopo prefissatosi dal suo autore, e nel caso di specie, sulla base della ricostruzione del fatto descritta nelle due sentenze di merito, il reato si è perfezionato già nel mese di settembre del 2013.
Ne consegue che il termine di massimo di prescrizione pari ad anni sette e mesi sei è maturata nel mese di maggio 2021, considerata la sospensione dei termini nel periodo dal 9 marzo al 11 maggio 2020 ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83.
La sentenza impugnata deve, quindi essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione.
5. L'estinzione del reato per prescrizione comporta l'assorbimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, non essendo più ravvisabile alcun interesse del ricorrente al loro accoglimento.
In particolare, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., in quanto essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l'imputato, mentre la seconda lascia inalterato l'illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Sez. 6, n. 11040 del 27/01/2016, Calabrese, Rv. 266505).
Nè rileva a tal fine l'accoglimento della azione civile, atteso che anche la declaratoria di non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p. implica, ai sensi dell'art. 651-bis c.p.p., l'accertamento dell'obbligo dell'imputato di risarcire il danno da quantificarsi innanzi al giudice civile.
6. Il sesto motivo di ricorso è, invece, manifestamente infondato atteso che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione lo spoglio e la turbativa dell'altrui possesso, anche laddove non assistito dal corrispondente diritto reale, integrano fatti illeciti e determinano la responsabilità dei loro autori (vedi Cass. Sez. 2 civ. n. 22833 del 11/11/2005, Rv. 584689; Cass. Sez. 2 civ. n. 11916 del 11/09/2000, Rv. 540070).
La circostanza che le persone offese non fossero titolari del diritto di servitù di passaggio non esclude l'obbligo del reo di risarcire il danno da esse patito.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato agli effetti civili.
7. Ai sensi dell'art. 541 c.p.p., il ricorrente, rimasto soccombente, deve essere condannato alla rifusione, in favore delle parti civili, delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 3.800,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, per essere il reato di cui all'art. 393 c.p., così qualificata l'imputazione di cui all'art. 610 c.p., estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado che liquida in complessivi Euro 3.800,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022.
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