Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 13730 del 11 aprile 2022
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 13730 del 11/04/2022
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool - Rifiuto di sottoporsi all'accertamento strumentale - Configurazione del reato - Il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, che integra il reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, si configura non solo in presenza di manifestazioni espresse di indisponibilità a sottoporsi al test, ma anche quando il conducente del veicolo - pur opportunamente edotto circa le modalità di esecuzione dell'accertamento - attui una condotta ripetutamente elusiva del metodo di misurazione del tasso alcolemico.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone, ha assolto T. G. dal reato di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 187, comma 8, perché il fatto non sussiste e, per l'effetto, ha rideterminato la pena per il restante reato di cui all'art. 186, comma 7, medesimo codice, confermando nel resto l'appellata sentenza. Nell'occorso, si è contestato all'imputato di essersi rifiutato di sottoporsi all'accertamento del proprio stato di alterazione psico-fisica, per come richiesto dall'organo accertatore.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale, in punto elemento soggettivo del reato per il quale è intervenuta condanna: la difesa contesta l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui, versandosi in ipotesi di reato contravvenzionale, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo, sarebbe sufficiente la colpa, cosicché anche se il rifiuto non fosse sostenuto dalla consapevole volontà di sottrarsi al test, esso avrebbe comunque valore giuridico integrando la fattispecie di reato in esame. Al contrario, il deducente rileva che il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamenti alcolimetrici costituisce eccezione al generale principio della punibilità delle contravvenzioni indifferentemente a titolo di dolo o di colpa, la deroga derivando proprio dalla formulazione legislativa della fattispecie e dalle concrete modalità di realizzazione del fatto tipico, tali da non poter non essere sorrette dall'intenzionalità dolosa, a prescindere dalle modalità attraverso le quali il rifiuto sia espresso, dalle quali, comunque, deve emergere un atteggiamento non equivoco di riottosità del conducente e il suo intendimento a sottrarsi al controllo.
Con un secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, assumendo la mancata esposizione delle ragioni della operata svalutazione dello stato di incensuratezza dell'imputato.
3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Ca. Gi., ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con ogni conseguente statuizione.
4. La difesa ha rassegnato proprie conclusioni scritte, con le quali ha ribadito le argomentazioni svolte nel ricorso, ulteriormente precisandole alla luce delle conclusioni del Procuratore generale, e ha insistito per l'annullamento della sentenza impugnata per erronea applicazione dell'art. 186 C.d.S., comma 7 e per omessa motivazione in punto applicazione delle generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte d'appello ha richiamato la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza appellata, operata sulla scorta delle risultanze documentali e dibattimentali, dalle quali era emerso che, nell'occorso, i militari allertati da una segnalazione, avevano constatato il danneggiamento di alcuni tavoli presso un bar e rinvenuto nei pressi la targa anteriore di un veicolo che era poi combaciata con quella di un'autovettura trovata più avanti presso un altro locale. A bordo del mezzo, ancora acceso, seduto al lato guida, vi era l'odierno imputato con i sintomi tipici dello stato di alterazione da assunzione di sostanze alcoliche (alito fortemente alcolico, equilibrio instabile, difficoltà a stare in piedi, sbandamenti, occhi lucidi); l'uomo, avvisato della necessità di procedere all'alcol test, vi opponeva un rifiuto.
La Corte di merito, investita della doglianza difensiva, con la quale si era prospettata la mancanza di un quadro probatorio tale da poter fare affermare senza dubbio che l'imputato si fosse consapevolmente opposto agli accertamenti di polizia giudiziaria, ha ritenuto che, dalla testimonianza del teste di P. G., detta prova fosse invece emersa in maniera chiara e univoca, avendo egli riferito che al momento dell'arrivo sui luoghi, all'imputato era stato richiesto di sottoporsi all'accertamento, richiesta sulla quale non potevano sorgere equivoci, atteso che l'apparecchio era in dotazione agli organi accertatori che avrebbero proceduto direttamente alla somministrazione del test. Alla obiezione difensiva, secondo cui il teste avrebbe affermato che l'imputato non rispondeva e che il dialogo con il medesimo era difficile, la Corte ha ribattuto evidenziando che le eventuali difficoltà di comunicazione non escludevano la consapevolezza del significato delle richieste rivolte e che, in ogni caso, a un certo punto, l'imputato aveva rifiutato di sottoporsi all'accertamento, aggiungendo a rafforzamento di tale affermazione, la considerazione in base alla quale l'agente non potrebbe addurre il suo stato di alterazione a scusante del reato di rifiuto, poiché l'ubriachezza volontaria non esclude la piena responsabilità e che, in ipotesi di reato contravvenzionale, come nella specie, l'elemento soggettivo può essere anche sorretto dalla sola colpa e il rifiuto anche non essere esplicito, ma risultare da un comportamento concludente.
Quanto, poi, al trattamento sanzionatorio, la Corte d'appello ha confermato il giudizio del Tribunale (negativo quanto alla meritevolezza delle generiche per difetto di elementi positivi valutabili a tal fine), precisando che il comportamento processuale era stato del tutto neutro e confermando il rilievo attribuito al difetto di elementi positivi valutabili, dando conto del fatto che la conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato era dimostrata a seguito della deposizione del teste P., gestore del locale presso il quale quegli si era fermato prima dell'arrivo dei Carabinieri.
3. Il primo motivo è infondato.
Il ricorrente ha riproposto la tesi che ha costituito anche motivo del gravame, evocando sostanzialmente un travisamento del dato probatorio rappresentato dalle dichiarazioni del teste di P.G. La Corte territoriale, esaminando la relativa censura, vi ha dato una risposta che si fonda su un ragionamento probatorio del tutto corretto, poiché ha valorizzato l'apporto testimoniale in questione, ricavandone il convincimento che, pur nelle difficoltà di comunicazione tra gli operanti e il soggetto controllato, costui avesse perfettamente inteso il significato della richiesta e deciso volontariamente di non acconsentirvi. Trattasi di conclusione coerente con il significato delle dichiarazioni testimoniali, come tale insindacabile in questa sede.
Rispetto a tale passaggio motivazionale, pertanto, la censura difensiva si atteggia quale prospettazione di una diversa lettura del dato probatorio che la difesa ritiene più plausibile, oltretutto in un caso di doppia sentenza conforme di merito, come tale non deducibile in sede di legittimità (ex multis, sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250; sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; sez. 3 n. 38341 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911; n. 18521 del 11/1/2018, Ferri, RV. 273217, tutte sui limiti del sindacato di legittimità).
4. A tale motivazione, poi, la Corte territoriale ha aggiunto tre ulteriori argomenti rafforzativi: da un lato, ha richiamato l'art. 92 c.p., per affermare che l'ubriachezza volontaria non può escludere la penale responsabilità dell'agente; dall'altro, che il reato di rifiuto di sottoporsi ad esame mediante alcoltest può essere integrato anche da una condotta sorretta dalla sola colpa, precisando in chiusura che il rifiuto può risultare anche da un comportamento concludente.
Tali affermazioni devono essere in parte rettificate.
Il terzo assunto è corretto, avendo questa Corte già chiarito che il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, che integra il reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, si configura non solo in presenza di manifestazioni espresse di indisponibilità a sottoporsi al test, ma anche quando il conducente del veicolo - pur opportunamente edotto circa le modalità di esecuzione dell'accertamento - attui una condotta ripetutamente elusiva del metodo di misurazione del tasso alcolemico (sez. 4, n. 3202 del 12/12/2019, dep. 2020, Berton, RV. 278025; n. 5409 del 27/1/2015, Avondo, Rv. 262162).
Del tutto irrilevante, invece, è il richiamo all'art. 92 c.p.: la colpevolezza di una persona in stato di ubriachezza deve essere valutata, infatti, secondo i normali criteri d'individuazione dell'elemento psicologico del reato e, poiché l'art. 92 c.p., nel disciplinare l'imputabilità nulla dice in ordine alla colpevolezza, questa deve essere apprezzata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 c.p. (sez. 5, n. 45997 del 14/7/2016, Beti, RV. 268482; n. 10226 del 20/1/2005, Bacciu, Rv. 231146, in cui si è affermato, proprio in tema di guida in stato di ebbrezza, che l'ubriachezza volontaria, non determinata cioè da caso fortuito ne da forza maggiore, non esclude ne’ diminuisce l'imputabilità: l'agente risponde del reato commesso in tale stato a titolo di dolo o di colpa a seconda dell'elemento psicologico del reato accertato).
Quanto, infine, all'affermazione secondo cui, versandosi in ipotesi di reato contravvenzionale, del tutto irrilevante sarebbe l'accertamento dell'elemento psicologico del reato che può indifferentemente essere integrato sia dal dolo che dalla colpa, giovi considerarne l'erroneità in diritto ai soli fini di cui all'art. 619 c.p.p., stante la sua irrilevanza ai fini della decisione: i giudici territoriali, infatti, hanno precisato che il T., nell'occorso, aveva perfettamente inteso la richiesta dell'organo accertatore, volontariamente opponendosi ad essa.
Così facendo la Corte non si è sottratta all'obbligo di verificare l'elemento psicologico che sorregge la condotta di rifiuto, nella specie connotata da un chiaro atteggiamento volitivo dell'agente. Tale superflua affermazione risulta, dunque, neutralizzata e assorbita dal ragionamento probatorio operato dalla Corte d'appello in prima battuta, essendo stato risolutivamente evidenziato che la condotta di rifiuto era stata nell'occorso sorretta dalla specifica volontà di sottrarsi all'accertamento della P.G., mediante utilizzo dell'etilometro, cosicché la fallacità dell'argomentazione, nei termini in cui è stata esposta in sentenza, è del tutto inidonea a disarticolare il complessivo ragionamento probatorio che ha sorretto la decisione censurata.
5. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, la presunzione di non meritevolezza impone al giudice di primo grado di spiegare le ragioni che giustificano la decisione di mitigare il trattamento sanzionatorio, mentre nel caso di mancato riconoscimento di tale riduzione l'obbligo di motivazione non sussiste, in assenza di richiesta da parte dell'interessato o nell'ipotesi di richiesta generica (sez. 3, n. 35570 del 30/5/2017, Di Luca, Rv. 270694; n. 11539 del 8/1/2014, Mammola, RV. 258696; n. 26272 del 7/5/2019, Boateng, Rv. 276044).
Nella specie, già in sede di gravame, la difesa aveva invocato il beneficio in esame facendo rinvio alla incensuratezza dell'imputato e all'asserita incertezza in ordine all'elemento soggettivo del reato. Orbene, l'ultimo elemento è stato escluso dai giudici d'appello con la motivazione sopra richiamata; la incensuratezza è stata, invece, ritenuta di per sè insufficiente a motivare la concessione delle generiche. Trattasi di motivazione del tutto congrua e coerente con il disposto normativo di cui all'art. 62 bis c.p., comma 3, a mente del quale l'assenza di precedenti condanne non può essere, per ciò solo, posta a fondamento del riconoscimento delle attenuanti in questione.
6. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2022.
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