Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 11029 del 28 marzo 2022
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 11029 del 28/03/2022
Circolazione Stradale - Art. 193 del Codice della Strada - Sinistro stradale - Risultanze dei filmati - Utilizzazione in giudizio - Le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza sono prove documentali rappresentative, acquisibili ex art. 234 c.p.p., sicché per la loro utilizzazione in giudizio non è necessario procedere alla diretta visione nel contraddittorio delle parti, alle quali è garantito il diritto di prenderne visione e di ottenerne copia, legittimando la visione degli stessi, da parte del Collegio decidente, in camera di consiglio e non anche in udienza pubblica.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Lecco del 31 ottobre 2017, emessa a seguito di giudizio abbreviato, ha sostituito la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida con la sospensione della stessa per la durata di mesi sei ha concesso la sospensione condizionale della pena e la non menzione della pena sul casellario giudiziale ad uso dei privati e ha confermato la condanna nei confronti di C. P. alla pena di Euro diecimila di multa, in sostituzione della pena detentiva di giorni quaranta di reclusione, in relazione al reato di cui all'art. 590 bis c.p., comma 1, e art. 583 c.p., comma 1, perché, in qualità di conducente di un autoveicolo VW Golf, che parcheggiava regolarmente in apposita piazzola sul lato destro della carreggiata di (OMISSIS), all'altezza del civico (OMISSIS) con direzione (OMISSIS), per colpa, nonché per la violazione dell'art. 157 C.d.S., commi 7 ed 8, per non essersi assicurato, nello scendere dal mezzo, che l'apertura della portiera potesse costituire pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada, nell'aprire la portiera anteriore lato conducente, non si avvedeva del velocipede condotto da B. E., che procedeva nella medesima direzione ed impattava contro la portiera, determinando lo sbalzo in aria in avanti del ciclista, con ricaduta sul manto stradale, cagionandogli una lesione personale diagnosticata in trauma cranico commotivo, flc. occipitale, frattura temporale sinistra con emoseno, infrazione F3, frattura composta dell'apofisi spinosa di S2 e della porzione distale dell'ala sacrale destra", successivo ricovero in ospedale in prognosi riservata e dimissione in data (OMISSIS), con ulteriore prognosi di ulteriori giorni 30 - in (OMISSIS).
I giudici di merito ritenevano sussistente la violazione dell'art. 157 C.d.S., commi 7 ed 8, ed evidenziavano la scorrettezza del comportamento del C., che aveva aperto repentinamente la portiera dell'auto, senza avvedersi del sopraggiungere del ciclista, valutazioni confermate dalla visione del filmato presente in atti.
La Corte di appello ha rilevato che dalla lettura del verbale di udienza dell'11 luglio 2017 si evinceva la richiesta difensiva di procedersi con giudizio abbreviato condizionato a produzione documentale. La difesa non risultava essersi opposta a tale produzione del P.M., comprendente anche la consulenza tecnica redatta dal Dott. Br. Gr. nell'interesse della persona offesa, che, pertanto, era stata correttamente acquisita dal Tribunale e ritenuta utilizzabile nel giudizio abbreviato.
La difesa aveva potuto difendersi sul punto della durata della malattia e della sussistenza delle aggravanti di cui agli artt. 583 e 590 bis c.p., in quanto contestate fin dall'esercizio dell'azione penale nella qualificazione giuridica del reato e in fatto, mediante l'indicazione nel capo di imputazione dell'iniziale prognosi riservata, di giorni trenta alla data delle dimissioni, senza complicazioni; le ragioni dell'allungamento della durata della malattia e il decorso della guarigione erano poi provate dal P.M. grazie alla produzione della documentazione in possesso della persona offesa.
L'imputato aveva potuto esercitare il proprio diritto di difesa, avendo incaricato il proprio consulente di predisporre un'integrazione dell'elaborato, alla luce della documentazione prodotta dal P.M., consistente nella consulenza del Dott. Br., del referto di visita audiologica e della cartella clinica relativa al ricovero del B.. La difesa era stata messa in condizione di visionare la documentazione medica successiva ed aveva potuto argomentare e difendersi in merito al contenuto della stessa.
Quanto al motivo concernente l'improcedibilità dell'azione, alla luce del referto del pronto soccorso che sottolineava la pluralità di fratture e il conclamato pericolo di vita per la persona offesa, si trattava di lesioni gravi.
Secondo la Corte di merito, il velocipede percorreva la sua via a velocita moderata e la vittima non risultava aver violato il Codice della Strada, per cui non era applicabile l'attenuante di cui all'art. 590 bis c.p., comma 7. L'imputato aveva aperto la portiera repentinamente, senza guardare cosa avveniva sulla platea stradale e, senza assicurarsi, nello scendere dal mezzo, che l'apertura della portiera potesse costituire pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada. Il pericolo ed il danno causati alla vittima non potevano considerarsi esigui o di particolare tenuità, in quanto il B., rimasto in prognosi riservata per dieci giorni in ospedale, aveva riportato dal trauma conseguenze permanenti.
2. Il C., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo sette motivi di impugnazione.
2.1. Violazione dell'art. 620 c.p.p., lett. a), ed improcedibilità dell'azione.
Si deduce che l'aggravante contestata era quella identificata dall'art. 583 c.p., comma 1, n. 1, con la locuzione "se dal fatto deriva una malattia per un tempo superiore ai quaranta giorni". Infatti, il capo d'imputazione conteneva il testuale riferimento alla prognosi di giorni 30 salvo complicazioni certificata dal personale medico all'atto delle dimissioni della persona offesa dall'ospedale: si trattava quindi di una prognosi relativa alle lesioni (rectius: malattia) identificate nel capo d'imputazione in trauma cranico, in ferita lacero contusa e in alcune fratture di non grave entità.
Tale contestazione era frutto di un evidente errore di calcolo della durata complessiva della malattia. Come ricostruito dal c.t. dell'imputato Dott. M. R., la somma dei giorni di ricovero, pari ad undici, e la durata della malattia prognosticata in sede di dimissioni, era complessivamente pari (e non superiore) a quaranta giorni. Pertanto, il G.I.P., avvedutosi di tale circostanza, anziché respingere la richiesta, si focalizzava sulla diversa aggravante integrata dal pericolo di vita asseritamente corso dal B., in qualche modo evocato dalla "prognosi riservata" assegnata al paziente al momento del suo arrivo al Pronto Soccorso.
L'imputato, consapevole della guarigione del B. in prossimità delle sue dimissioni (essendo andato più volte a trovarlo per sincerarsi delle sue condizioni), presentava opposizione al decreto penale richiedendo il giudizio abbreviato, condizionandolo all'acquisizione di una consulenza tecnica a firma del Dott. M. (o, qualora ritenuto necessario, alla sua audizione). Tale consulenza era finalizzata principalmente a chiarire che il B. non aveva mai corso alcun effettivo pericolo di vita, per quanto la circostanza fosse già palesata dalla rapidità della sua guarigione (secondo il costante insegnamento di Codesta Suprema Corte, infatti, la prognosi riservata quoad vitam assegnata in via cautelativa all'ingresso in P.S. deve trovare riscontro in un autonomo accertamento "in concreto" da parte del giudicante).
All'udienza dell'11 luglio 2017, il G.U.P. presso il Tribunale di Lecco ammetteva la richiesta dell'imputato di giudizio abbreviato condizionato (acquisendo la relazione del Dott. M.) e la richiesta del P.M. di "poter acquisire e produrre tutta la documentazione in possesso della persona offesa relativa alla durata complessiva della malattia e delle lesioni dallo stesso patite", come prova contraria ex art. 438 c.p.p., comma. Pertanto, il G.U.P. disponeva il rinvio ad altra udienza.
Nei giorni precedenti alla celebrazione di tale udienza, il P.M. produceva due "documenti": il referto di visita otorinolaringoiatrica del (OMISSIS) a firma del Dott. Mi. Gr. e il "parere tecnico medico - legale di stima del danno della persona di B. E.", sottoscritto in data (OMISSIS) dal Dott. Br. e commissionato dal B. allo scopo di quantificare il danno dal medesimo patito in funzione del risarcimento da parte dell'Istituto assicurativo dell'imputato e recante a tale scopo le "classiche" percentuali di invalidità biologica temporanea.
Visionati gli atti, all'udienza del 31 ottobre 2017, la difesa chiedeva l'espunzione dal fascicolo della relazione di c.t. del Br. e, in subordine, l'acquisizione di una relazione integrativa redatta dal Dott. M. per replicare, da un punto di vista tecnico, alle nuove produzioni del P.M.. Tuttavia, il G.U.P. respingeva entrambe le richieste e procedeva alla lettura del dispositivo.
Il G.U.P., muovendosi in una prospettiva completamente differente rispetto alle contestazioni e alle conseguenti difese, sembrava fare riferimento alla "incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni". Infatti la giurisprudenza citata dal G.U.P. riguardava esclusivamente tale aggravante, che la sentenza impropriamente ha ricollegato ai punteggi di invalidità individuati dalla relazione del c.t. Br..
La Corte di appello ha sovrapposto in modo confuso le diverse ragioni che secondo l'atto d'impugnazione avrebbero portato all'improcedibilità dell'azione. È richiesto, pertanto, un particolare sforzo di ricostruzione interpretativa tale da sostanziare un primo vizio logico-motivazionale della sentenza impugnata soprattutto nell'individuazione della specifica circostanza per cui le lesioni sono considerate gravi e quindi procedibili d'ufficio.
Risultava arduo comprendere se la sentenza condannasse in relazione alla "incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni" oppure alla "malattia per un tempo superiore a quaranta giorni", alle quali spesso è fatto riferimento seppur in modo quasi indistinto. Al contrario, le altre ipotesi previste dall'art. 583 c.p., comma 1 dovrebbero essere logicamente escluse, poichè nella sentenza impugnata sono ritenute punibili solo le conseguenze non permanenti delle lesioni o comunque non è mai fatto riferimento alla circostanza prevista dall'art. 583 c.p., comma 1, n. 2). Del pari, erano inesistenti i riferimenti al "pericolo di vita": l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni deve ritenersi concettualmente e giuridicamente distinta dalla malattia.
Il G.U.P. non permetteva alla difesa, tramite il suo consulente tecnico, di replicare alla relazione del c.t. Br., disponendo l'audizione degli autori delle relazioni tecniche nell'ambito un'apposita udienza o consentendo una replica cartolare al Dott. M.. Il G.U.P. non verificava il risultato di tale complessiva fase di integrazione probatoria, valutando se fossero emersi fatti nuovi non contestati in precedenza. All'esito di tale verifica doveva eventualmente sollecitare al P.M. la formulazione di una nuova contestazione che ai sensi dell'art. 441 bis c.p.p. consentisse all'imputato di introdurre nuove prove o di chiedere la prosecuzione del procedimento nelle forme ordinarie. Il P.M. documentava qualcosa di ontologicamente diverso dalla durata di una malattia e dalla sua guarigione, utilizzando la consulenza tecnica del Br., che aveva tratto le sue conclusioni in punto di incapacità (rectius invalidità) sulla base di fatti sconosciuti al Dott. M. nel momento in cui questi aveva predisposto la propria consulenza tecnica.
2.2. Travisamento della prova con riferimento al filmato presente in atti in relazione all'elemento soggettivo.
Si osserva che il filmato in atti non consentiva di appurare il compimento dell'azione doverosa da parte dell'imputato.
Infatti, il C. dapprima socchiudeva la portiera, verificando se stesse sopraggiungendo qualcuno, per poi aprirla del tutto con maggior decisione una volta constatata l'assenza di pericolo per gli altri utenti della strada. Evidentemente, non aveva potuto avvedersi dell'arrivo della bicicletta condotta dalla persona offesa a causa dell'eccessiva velocità con cui quest'ultima procedeva, per cui l'impatto era inevitabile nonostante l'osservanza della regola cautelare. Una visione attenta del filmato avrebbe consentito di accertare l'inadeguatezza della velocità, da ritenere pari, se non superiore, a quella delle autovetture che procedevano nel medesimo rettifilo.
Tale considerazione era confermata dalla significativa distanza di m. 4,5, intercorrente tra il punto d'impatto e il punto in cui era stata sbalzata la persona offesa, mentre apparivano neutri gli altri elementi riportati nella sentenza di primo grado, per confutare la tesi difensiva.
2.3. Violazione dell'art. 590 bis c.p., comma 7, e art. 62 bis c.p..
Si osserva, relativamente alla circostanza di cui all'art. 590 bis c.p., comma 7, che era evidente la corresponsabilità della persona offesa nell'eziologia dell'evento per l'eccessiva velocità con cui procedeva e per la significativa prossimità al margine della carreggiata della bici, condotta quest'ultima che avrebbe quanto meno imposto una velocità più bassa e un'attenzione maggiore. Dal filmato risultava palese la posizione della bici a filo della striscia delimitante la carreggiata.
Con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, doveva rilevarsi la sussistenza di plurimi fattori favorevoli all'imputato, quali il comportamento tenuto dall'imputato nell'immediatezza del fatto e successivamente nonché il minimo grado della colpa.
2.4. Violazione dell'art. 131 bis c.p..
Si deduce che nel corso dell'udienza svoltasi dinanzi alla Corte di appello era stata chiesta l'esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ma nonostante ciò la sentenza impugnata era del tutto priva di motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Col primo motivo di ricorso, il C. deduce l'improcedibilità dell'azione penale, avendo la Corte di appello ritenuta integrata l'aggravante di cui all'art. 583 c.p., comma 1, n. 1, con la derivata procedibilità d'ufficio alla luce di un evidente errore di calcolo inerente alla durata complessiva della malattia; lamenta altresì la violazione dell'art. 522 c.p.p. per mancata correlazione tra accusa e sentenza ed una violazione del contraddittorio e del diritto di difesa.
Va premesso che, in tema di reato di lesioni aggravate dalla durata della malattia, è sufficiente la contestazione nel capo d'imputazione della tipologia delle lesioni, laddove risulti acquisita agli atti del processo la documentazione relativa alla durata della malattia (Sez. 4, n. 22782 del 06/02/2018, Montuori, Rv. 273396, in fattispecie relativa alla contestazione nel capo d'imputazione di lesioni "allo stato non ancora qualificate e quantificate", definite in termini di "malattia insanabile"; Sez. 1, n. 8561 del 11/02/2015, De Luca, Rv. 262882, in fattispecie relativa alla contestazione nel capo d'imputazione di "politrauma", senza indicazione precisa della protrazione della malattia oltre i quaranta giorni).
Ciò posto sul consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, come emerge dal testo del capo di imputazione, erano state espressamente contestate la natura e la durata delle lesioni provocate dalla condotta colposa posta in essere dall'imputato e l'effettiva consistenza era poi specificata nella documentazione sanitaria acquisita agli atti e negli esiti della consulenza disposta nell'interesse della persona offesa.
In proposito, nella sentenza di primo grado si evidenziava che le fratture riportate dal B. ("frattura temporale sinistra con emoseno, infrazione F3, frattura composta dell'apofisi spinosa di S2 e della porzione distale dell'ala sacrale destra") avevano determinato un'invalidità temporanea assoluta di giorni undici, un'invalidità temporanea media al 75% di giorni trenta, un'invalidità temporanea media al 50% di ulteriori giorni trenta ed un'invalidità permanente.
La Corte territoriale ha poi ribadito che si trattava di lesioni gravi consistenti in trauma cranico commotivo e plurime fratture alla teca cranica e alla colonna vertebrale che per la loro consistenza e per l'età della vittima ultrasessantacinquenne avevano posto la vittima in pericolo di vita ed in prognosi riservata per dieci giorni ed ha illustrato gli esiti della visita disposta dal consulente della persona offesa, che aveva constatato ancora "dolore alla palpazione del sacro con rom alla cerniera dorso lombare impacciato ai grandi estremi su base antalgica", conseguenti alle lesioni subite, nonché l'evoluzione delle stesse in ipoacusia sinistra nonché in deficit di gusto ed olfatto, con conseguente invalidità temporanea biologica di gran lunga superiore a quaranta giorni.
Al riguardo, peraltro, la Corte distrettuale ha riportato gli esiti della consulenza tecnica del Dott. Br., prodotta dalla persona offesa, dalla quale emergeva che, effettivamente, in conseguenza del trauma cranico, la persona offesa aveva riportato lesioni tradottesi in un'invalidità temporanea biologica di gran lunga superiore a quaranta giorni.
Ne consegue che nella sentenza impugnata è stata correttamente valutata anche l'evoluzione delle lesioni sulla base del certificato del Dott. Mi. dell'ASL di Lecco e della relazione del consulente del Dott. Br. ed è stata riscontrata, quale conseguenza delle lesioni, un'invalidità temporanea biologica di gran lunga superiore a quaranta giorni. Per tali ragioni non v'è spazio per escludere la procedibilità dell'azione penale.
Il ricorrente non formulava specifiche contestazioni in ordine alla documentazione sanitaria e agli esiti di tale relazione peritale, acquisita in sede di giudizio abbreviato condizionato anche col suo consenso. Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, non sono evincibili le ipotizzate lesioni al diritto di difesa e, peraltro, in violazione del principio di autosufficienza, i verbali di udienza non erano allegati al ricorso.
2. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente si duole per il travisamento della prova per avere la Corte ritenuta provata, alla luce dei filmati in atti, la violazione della regola cautelare da parte dell'imputato nella misura in cui lo stesso apriva la portiera della macchina, senza sincerarsi preventivamente dell'arrivo di altri veicoli.
Con riferimento al dedotto travisamento della prova, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica deduzione - che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217).
In tale cornice, nella fattispecie in esame deve escludersi che sia verificato il dedotto travisamento, in quanto il ricorrente non introduceva elementi nuovi con l'atto di appello.
Peraltro, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è responsabile del reato di lesioni personali colpose colui che, trasportato su una vettura apra lo sportello senza prestare la dovuta attenzione ai veicoli sopraggiungenti, causando così la caduta di un motociclista che urti contro la portiera stessa (Sez. 4, n. 4254 del 20/12/1983, dep. 1984, Ferrara, Rv. 164099) e al conducente di un motociclo che, nel sorpassare un'automobile ferma a lato della strada, proceda troppo accostato a tale veicolo e riporti lesioni personali per l'urto contro lo sportello dell'autovettura, aperto improvvisamente dal suo conducente, non può essere attribuita una colpa concorrente, perchè non è normalmente prevedibile la gravissima imprudenza relativa alla apertura di uno sportello effettuato senza il preventivo accertamento della possibilità di farlo liberamente (Sez. 4, n. 1207 del 18/11/1982, dep. 1983, Rossatto, Rv. 157362).
Al riguardo, già il Tribunale aveva fornito plurimi elementi indicativi della circostanza che il conducente della bicicletta marciasse a velocità non elevata: a) la tipologia di bicicletta adoperata dal B. e, cioè, una bici da città, con cestello posteriore per la spesa; b) l'assenza di segni visibili dell'impatto sull'auto e sulla bici; c) la limitata distanza intercorrente tra il punto di impatto e il punto nel quale era stato trovato il corpo del B., in posizione di quiete, pari a m. 4,5 circa.
La Corte di appello ha ribadito tali considerazioni, aggiungendo che dalla visione del filmato presente in atti.
La conclusione cui sono pervenuti i giudici di merito è esatta in diritto, in quanto l'apertura dello sportello di un veicolo, del lato che prospetta verso il centro della strada, è una manovra, che costituisce pericolo ed intralcio per la circolazione e va pertanto effettuata con ogni più opportuna cautela e senza costringere gli altri utenti della strada a manovra di emergenza; ne deriva - nella fattispecie - un giudizio convincente sulla riconducibilità della responsabilità dell'incidente all'esclusiva condotta colposa, generica e specifica, dell'odierno ricorrente, che non ammette censure in sede di legittimità (Sez. 4, n. 12239 del 14/01/2005, Billardello, non massimata).
Il ricorrente, anche con la presente impugnazione, persiste nel fornire una non consentita ricostruzione alternativa della vicenda criminosa, senza confrontarsi con l'adeguato apparato argomentativo delle sentenze di merito. Contesta, inoltre, le risultanze del filmato che la Corte milanese ha attestato di aver visionato. In proposito, è opportuno ricordare che le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza sono prove documentali rappresentative, acquisibili ex art. 234 c.p.p., sicché per la loro utilizzazione in giudizio non è necessario procedere alla diretta visione nel contraddittorio delle parti, alle quali è garantito il diritto di prenderne visione e di ottenerne copia (Sez. 5, n. 31831 del 06/10/2020, Comune, Rv. 279776). Va quindi respinta la doglianza prospettata al riguardo, apparendo peraltro pienamente legittimo che il Collegio decidente abbia proceduto all'eventuale visione del filmato in camera di consiglio e non in udienza pubblica.
3. Col terzo motivo di ricorso, si deduce l'erronea applicazione di legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con travisamento della prova con riguardo al filmato acquisito, in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'art. 590 bis c.p., comma 7 e art. 62 bis c.p..
Al riguardo, non può che richiamarsi quanto già evidenziato nel paragrafo precedente in relazione alla videoripresa effettuata e all'indimostrato assunto difensivo circa la presunta parziale diversa modalità di svolgimento del fatto.
La Corte di merito, infatti, con percorso lineare e logico, ha escluso il concorso della vittima nella realizzazione dell'evento, in quanto il ciclista viaggiava a velocità adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, per cui ha escluso la possibilità di configurare l'attenuante di cui all'art. 590 bis c.p., comma 7.
In ordine alle circostanze attenuanti generiche, va osservato che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione, come avvenuto nella fattispecie, avendo il giudice segnalato la gravità della condotta criminosa e i numerosi precedenti penali dell'imputato, indicativi di spiccata capacità a delinquere (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, D. C., Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell'11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce dell'assenza di elementi valutabili a favore dell'imputato, evidenziando che l'avvenuto risarcimento del danno era già stato considerato ai fini del riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 62 c.p., n. 6.
I rilievi difensivi non integrano precise carenze argomentative, in quanto considerano in modo parcellizzato gli elementi considerati rilevanti dall'organo giudicante, che invece, ha svolto una valutazione complessiva ed esauriente della vicenda criminosa, descrivendone i connotati di particolare gravità.
4. Col quarto motivo di ricorso, il ricorrente si duole della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento del beneficio ex art. 131 bis c.p..
Va osservato che, con l'atto di appello il C. non aveva richiesto l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. ne' si era lamentato dell'entità della pena irrogata, avendo proposto doglianze esclusivamente in tema di affermazione della responsabilità dell'imputato e di diniego di alcune circostanze attenuanti.
Ebbene, non sono deducibili con il ricorso per Cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
Peraltro, il predetto principio di carattere generale è stato riaffermato anche con riferimento all'istituto di cui all'art. 131 bis c.p.. Questa Corte, infatti, ha affermato che, nel caso di appello proposto per motivi relativi alla sussistenza del fatto e alla determinazione della pena, non può essere dedotta come motivo nuovo a sostegno dell'impugnazione la questione concernente la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in quanto punto della decisione impugnata distinto da quelli fatti valere con l'atto di appello originario (Sez. 3, n. 3162 del 18/11/2019, dep. 2020, Giannetto, Rv. 278255).
5. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2022.
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