Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione seconda, sentenza n. 17679 del 31 maggio 2022

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione II, sentenza numero 17679 del 31/05/2022
Codici e regolamenti - Regolamento per la circolazione acquea - Art. 142 del Codice della Strada e art. 345 del Regolamento di esecuzione e attuazione C.d.S. - Superamento limiti di velocità delle imbarcazioni a motore nelle acque del Comune di Venezia - Esclusione applicazione norme del C.d.S. e relativo regolamento di esecuzione e attuazione - Pur non escludendo l'esistenza del problema dei difetti di percezione degli eccessi di velocità anche nella circolazione acquea, la sola esigenza comune alla circolazione stradale e acquea a mezzo di veicoli a motore non è motivo sufficiente ad estendere la riduzione automatica di 5 km/h citata nel regolamento di esecuzione e attuazione del C.d.S. anche alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore circolanti nelle acque del Comune di Venezia per finalità di controllo e di sanzionamento.


RITENUTO IN FATTO

Con un proprio regolamento per la circolazione acquea, il Comune di Venezia dispone le velocità massime consentite in rii e canali alle imbarcazioni a motore (art. 2). Il motoscafo taxi targato (OMISSIS), di proprietà dell'imprenditore P. D. e condotto da E. N., transita in località (OMISSIS), proveniente da (OMISSIS), ad una velocità - rilevata con apparecchiatura telelaser - di 10 km/h ove vige il limite di velocità di 5 km/h. Il Comune di Venezia contesta la violazione dell'art. 2, comma 1 del predetto regolamento ed emette una correlativa ordinanza ingiunzione, contro la quale P. ed E. presentano opposizione.

In primo grado l'opposizione è accolta.

La pronuncia è confermata in secondo grado con diversa motivazione (mentre le spese giudiziali sono compensate per novità della questione).

Secondo il Tribunale di Venezia, il difetto della previsione di una "tolleranza strumentale", con riduzione automatica della velocità rilevata dall'apparecchiatura in sede di misurazione della velocità delle imbarcazioni a motore, costituisce una lacuna da colmare attraverso l'applicazione analogica dell'art. 345, comma 2 del regolamento di esecuzione del codice della strada (D.P.R. n. 495 del 1992). Nella parte rilevante l'art. 345, comma 2 dispone che "In sede di approvazione è disposto che per gli accertamenti della velocità, qualunque sia l'apparecchiatura utilizzata, al valore rilevato sia applicata una riduzione pari al 5%, con un minimo di 5 km/h. Nella riduzione è compresa anche la tolleranza strumentale. Non possono essere impiegate, per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di velocità, apparecchiature con tolleranza strumentale superiore al 5%". 

L'applicazione analogica è intermediata dal riferimento all'art. 1 c.n., comma 2 ("Ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile").

Ricorre per cassazione il Comune di Venezia con tre motivi.

Resistono con controricorso P. ed E..

Chiamata la causa all'adunanza camerale non partecipata del 13/1272021, essa è rinviata alla pubblica udienza.

Il P.M. ha depositato le proprie conclusioni.

Le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo è censurata la violazione dell'art. 12 e dell'art. 14 preleggi; è censurata inoltre la violazione del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345 (entrambe le censure, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). E' censurata infine l'omessa considerazione della diversità tra circolazione acquea e circolazione stradale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). In sostanza, con tale complesso motivo, il Comune di Venezia denuncia l'erroneità della seguente ragione, posta dal giudice di secondo grado a fondamento della propria decisione: "la tolleranza strumentale prevista dal D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, comma 2, va applicata perchè l'art. 1 c.n. prevede l'applicazione del c.d. "diritto civile" inteso come diritto comune per il caso di lacune e la mancanza di limiti di tolleranza è palesemente una lacuna dell'ordinamento della navigazione". Con tale argomento, il Tribunale di Venezia applica analogicamente alla circolazione delle imbarcazioni a motore nelle acque del Comune di Venezia il predetto articolo del regolamento di esecuzione del codice della strada, nella parte in cui dispone che la rilevazione della velocità di un veicolo ad opera di apparecchiature debba essere ridotta almeno di 5 km/h per contenere il rischio che eventuali difetti di misurazione dello strumento inducano falsi accertamenti di eccesso di velocità.

Ad avviso del ricorrente, il fatto che la disciplina normativa della circolazione nelle acque del Comune di Venezia (il codice della navigazione, il regolamento della città metropolitana per il coordinamento della navigazione locale nella laguna veneta e il regolamento per la circolazione acquea nel Comune di Venezia) non prevedano la riduzione di cui all'art. 345, comma 2 cit. non è una lacuna normativa, ma è frutto di ragion veduta delle autorità di regolazione, e, in ogni caso, non è una lacuna normativa che possa essere colmata attraverso un'estensione analogica del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, comma 2.

Con il secondo motivo è censurata la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 c.n.; del D.Lgs. n. 422 del 1997, art. 11, comma 3 e del relativo art. 1 regolamento della città metropolitana per il coordinamento della navigazione locale nella laguna veneta; dell'art. 12 e dell'art. 14 preleggi; dell'art. 112 c.p.c.; del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345; della L. n. 400 del 1988, art. 17, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 E' censurata di nuovo l'omessa considerazione della diversità tra circolazione acquea e circolazione stradale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Con tale motivo, il ricorrente sviluppa ulteriori profili di critica dell'operazione ermeneutica compiuta dal Tribunale di Venezia, argomentando in particolare che i limiti di velocità previsti per le imbarcazioni a motore siano talmente minori rispetto a quelli per i veicoli stradali che è integralmente incongruo applicare ai primi la riduzione automatica della velocità rilevata di 5 km/h di cui al D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, comma 2, cosicchè una tale applicazione finirebbe per annichilire il valore precettivo della disciplina normativa dei limiti di velocità delle imbarcazioni a motore nelle acque del Comune di Venezia.

Con il terzo motivo è censurata per la terza volta la violazione del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, in questo caso sotto un profilo abbinato alla denunzia della violazione dell'art. 3 Cost., ma pur sempre in riferimento all'omessa considerazione della diversità tra circolazione acquea e circolazione stradale, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Con tale motivo, il ricorrente sviluppa un ultimo profilo di critica dell'operazione ermeneutica compiuta dal Tribunale di Venezia, argomentando che questi abbia erroneamente omesso di considerare che la tolleranza strumentale - in quanto accorgimento tecnico coessenziale a un'apparecchiatura di misurazione della velocità, che nel caso de quo è di 2 km/h - è fenomeno radicalmente diverso dalla riduzione automatica della velocità rilevata di 5 km/h, disposta in ambito stradale in considerazione degli errori di percezione della velocità del conducente. Corollario di tale omissione è l'affermazione, parimenti riprovata dal ricorrente, che, allo stesso modo di un conducente di un veicolo stradale, il conducente di un'imbarcazione a motore non percepisca variazioni di velocità di 5 km/h.

La sintesi dei tre motivi di ricorso rivela che essi possono essere oggetto di un esame congiunto, poichè sono diretti a censurare sotto profili parzialmente diversi, parzialmente sovrapposti, ma in ogni caso convergenti, l'operazione interpretativa compiuta dal giudice di secondo grado, cioè l'applicazione analogica del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, comma 2, sotto il profilo della riduzione automatica di 5 km/h, alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore circolanti nelle acque del Comune di Venezia, al fine di controllo e di eventuale sanzionamento degli eccessi ai sensi del Regolamento per la circolazione acquea.

I motivi sono fondati e il ricorso per cassazione è da accogliere. La via argomentativa muove da due elementi. Il primo è il sostrato comune ai tre motivi di ricorso, cioè l'omessa considerazione delle diversità della circolazione a mezzo di dispositivi meccanici a motore adibiti al trasporto (d'ora in poi chiamati in modo approssimativo: veicoli), a seconda che avvenga nell'acqua o sulla terra. Il secondo elemento è l'unica osservazione certamente erronea contenuta nel ricorso del Comune di Venezia: che tali due tipi di circolazione siano "abissalmente differenti" (sono le parole finali del ricorso). Infatti, se tra la circolazione acquea e la circolazione terrestre vi fosse un'abissale differenza, un'alterità radicale, i due fenomeni non potrebbero essere comparati tra di loro. La comparabilità presuppone che i fenomeni non siano integralmente differenti, ma al contrario che essi abbiano elementi comuni. Tali elementi devono poter distinguersi concettualmente rispetto ai due fenomeni da comparare e costituirsi idealmente come intermedi (nel senso che intermediano e rendono possibile la comparazione). In altri contesti e ad altre finalità si parla del "terzo (elemento) della comparazione" (tertium comparationis), che l'osservatore deve ricostruire di volta in volta. Infatti, gli elementi comuni non sono dati naturali che si manifestano in quanto tali, così da essere oggetto di percezione, ma sono fatti dell'osservatore, frutto di un'operazione di accomunamento che è teleologicamente orientata, cioè determinata dalle finalità che l'osservatore ha di mira.

Se due fenomeni non fossero comparabili, non se ne potrebbe nemmeno predicare la diversità. Il predicato di diversità, su cui si possa ragionevolmente fondare un'esigenza di differenziazione di regime normativo - in particolare quella che il ricorrente vuole veder riconosciuta nel caso de quo - presuppone la comparabilità tra due fenomeni. La diversità non può che stagliarsi sullo sfondo della comunanza.

Se tra la circolazione acquea e la circolazione terrestre vi fosse un abisso, questa controversia non sarebbe nemmeno sorta. Al contrario, dal punto di vista della disciplina giuridica, esse sono conformate da aspetti largamente comuni. Se si limita il discorso - com'è indispensabile - al profilo che è al centro di questo giudizio, la pericolosità della circolazione a mezzo di dispositivi meccanici a motore induce la necessità di: (a) prevedere limitazioni di velocità; (b) introdurre strumenti per controllarne il rispetto; (c) fare luogo ad accorgimenti per comprimere i margini di errore (sia quelli meccanici dell'apparecchiatura di controllo, sia gli errori percettivi degli esseri umani alla guida dei veicoli sottoposti al controllo). Per dimostrare la centralità di questi aspetti comuni ai due tipi di circolazione basta por mente al fatto che tali esigenze non si pongono (almeno: non in modo così imperioso e conformato) in relazione ad altri dispositivi che pur condividono con i primi due il tratto di servire al trasporto, come i veicoli a trazione umana o animale.

Delineato così il quadro di riferimento, esso consente di scandire rapidamente i passi che avviano il problema de quo alla sua soluzione. Il primo passaggio consiste nel richiamare alla mente il criterio generale di validità dell'applicazione analogica del diritto, che è sotteso sia all'art. 12, comma 2 preleggi ("se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato") che alla giurisprudenza di questa Corte (tra le pronunce meno remote, cfr. Cass. 2656/2015). Esprimendosi in termini formali: dati due fenomeni, il primo, "A", assoggettato alla norma "X", e il secondo, "B", ipoteticamente in cerca di disciplina giuridica; dato inoltre un aspetto, "C", a loro comune; è possibile estendere la norma X al fenomeno B, se (solo se) l'aspetto C è ragione sufficiente (senza necessità di altri elementi) della norma "X".

Il secondo passaggio consiste nel selezionare il tertium compara-tionis (l'aspetto C di cui alla formula precedente) in vista della finalità di verificare la correttezza dell'operazione ermeneutica compiuta dal Tribunale di Venezia. Esso si focalizza sulla esigenza - comune alla circolazione a mezzo di veicoli a motore, sia terrestre (specificamente: stradale) che acquea - di introdurre accorgimenti per comprimere i margini di errore (meccanici ed umani) che si verificano in relazione alle operazioni di controllo del rispetto dei limiti di velocità.

Il terzo passaggio, che è quello decisivo, consiste nel concretizzare il criterio generale con riferimento al caso particolare, cui si può procedere domandandosi se sia sufficiente la predetta esigenza comune alla circolazione stradale e acquea (a mezzo di veicoli a motore) a rendere (da sola) ragione dell'estensione analogica della riduzione automatica di 5 km/h D.P.R. n. 495 del 1992, ex art. 345, comma 2, alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore circolanti nelle acque del Comune di Venezia per finalità di controllo e di sanzionamento.

La risposta (che già si intuisce essere negativa) deriva dalla considerazione della funzione delle limitazioni giuridiche della velocità dei veicoli di trasporto a motore, che è l'anello iniziale della catena che conduce al problema de quo. Si tratta della funzione di bilanciare l'esigenza di trasportare persone, animali e cose ad una velocità corrispondente allo stadio evolutivo dei veicoli a motore con l'esigenza di proteggere ragionevolmente le persone e gli ambienti circostanti dai pericoli che tale velocità inevitabilmente comporta.

Orbene, tale pericolosità è nozione eminentemente relazionale, scaturisce cioè dalla relazione tra il tipo di veicolo a motore, il grado di velocità che esso può raggiungere, l'elemento terrestre o acqueo su cui esso si muove, la forza d'attrito che il primo oppone al secondo, e - da ultimo, ma non per ultimo - le persone e l'ambiente circostanti. Tutti questi elementi costituiscono altrettante differenze specifiche tra la circolazione stradale e la circolazione acquea, specialmente nel Comune di Venezia. Tali differenze, se hanno fornito delle ragioni integrative della scelta compiuta dal legislatore con il disporre la riduzione automatica di 5 km/h di cui al D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, comma 2, escludono che essa possa essere estesa per analogia alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore circolanti nelle acque del Comune di Venezia. Per quest'ultima soccorrono altre ragioni, che possono essere colte alzando lo sguardo dall'art. 2, comma 1 del Regolamento per la circolazione acquea nel Comune di Venezia, che ha costituito l'oggetto immediato del contendere, al precedente art. 1: "Il presente Regolamento disciplina la circolazione acquea nel Comune di Venezia allo scopo di: a) favorire la circolazione delle imbarcazioni secondo criteri di compatibilità tra le esigenze di vita cittadina e il contesto storico, urbano e ambientale; b) contenere al massimo gli effetti dannosi prodotti dai movimenti dell'acqua provocati dal moto delle barche e delle eliche e per la prevenzione dell'inquinamento aereo, acqueo e acustico; c) privilegiare, tra i traffici effettuati con imbarcazioni a motore, il trasporto pubblico di linea, il trasporto merci, il trasporto pubblico di persone non di linea; d) salvaguardare i servizi e le attività anche di trasporto in conto proprio di persone e cose, che si svolgono con imbarcazioni tipiche veneziane condotte a remi; e) ridurre al minimo i disagi che possono determinarsi con le chiusure di rii e canali per le necessità di scavo e manutenzione degli stessi".

Costituisce una specie di "prova del nove" della correttezza del risultato uno degli argomenti più persuasivi fra quelli invocati a più riprese dal Comune di Venezia nel corso del giudizio: ove il limite di velocità sia di 5 km/h (come nel caso de quo), l'estendere analogicamente una riduzione di 5 km/h alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore vale esattamente quanto consentire alle autovetture un'andatura di 100 km/h nei centri abitati in cui vige un limite di velocità di 50 km/h.

Ciò non significa negare l'esistenza del problema dei difetti di percezione degli eccessi di velocità anche nella circolazione acquea. Significa solo escludere che l'estensione analogica del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, comma 2, sia lo strumento per risolverlo. Se il problema possa essere risolto (con eterogenesi dei fini) attraverso la tolleranza strumentale applicata al dispositivo LTI 20-20, con cui è stata accertata la velocità del motoscafo taxi targato (OMISSIS), rimane fuori dall'oggetto del presente giudizio.

Ne seguono una serie di corollari e di conseguenze - molte delle quali menzionate nel ricorso del Comune di Venezia - che fanno opportunamente perno sulle prevalenti differenze specifiche tra circolazione stradale e circolazione acquea e che la difesa di P. e E. non riesce a scalfire.

Allargando il raggio di generalità degli strumenti normativi che entrano in considerazione in questo contesto e che sono stati chiamati in causa, il codice della navigazione contiene una disposizione speciale in materia di analogia (art. 1, comma 2 c.n.: "ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile"). Ove necessario, essa induce a cercare tertia comparationis che forniscano la base di operazioni di estensione analogica dapprima nel diritto della navigazione (segnatamente all'interno del relativo codice) e solo in seconda battuta nel "diritto civile" (in questo senso, tra le altre, Cass. 7571/1987).

A sua volta quest'ultimo è da intendere come referente del diritto comune, cioè del complesso delle norme e dei principi di diritto sullo sfondo del quale è possibile attribuire al diritto della navigazione il carattere della specialità. Allo stato attuale della legislazione italiana, segnatamente ad opera del predetto art. 1, comma 2, l'applicabilità del codice della strada per colmare le lacune del diritto della navigazione appare doppiamente esclusa: da un lato, s'interpone il criterio della somiglianza del caso ristretto all'interno della materia; dall'altro lato, s'interpone un fatto negativo, cioè la non appartenenza al diritto comune del codice della strada, del quale si può similmente predicare il carattere di disciplina speciale ispirata alla finalità della sicurezza della circolazione stradale (D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 1). Rimane fuori dall'oggetto del presente giudizio l'indagine relativa al probabile contributo che l'art. 1 c.n., comma 2, può offrire all'interpretazione dello stesso art. 12 preleggi, laddove quest'ultimo colloca ambiguamente sullo stesso piano il riguardo a "casi simili" o "materie analoghe".

Per quanto attiene al presente giudizio, si deve concludere che la censura di violazione dell'art. 1 c.n., comma 2 è fondata.

In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa al Tribunale di Venezia, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, al Tribunale di Venezia, in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2022.

 

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