Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione seconda, ordinanza n. 37178 del 20 dicembre 2022

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione II, ordinanza numero 37178 del 20/12/2022
Circolazione Stradale - Artt. 7, 39 e 157 del Codice della Strada - Divieto di sosta - Segnaletica verticale - Estremi della ordinanza di apposizione - Mancata indicazione - Obbligo del rispetto della prescrizione - In tema di segnaletica stradale, la mancata indicazione, sul retro del segnale verticale di prescrizione, degli estremi della ordinanza di apposizione, come invece imposto dal Regolamento di esecuzione del codice della strada, non determina la illegittimità del segnale e non esime l'utente della strada dall'obbligo di rispettare la prescrizione, con l'ulteriore conseguenza che detta omissione non comporta l'illegittimità del verbale di contestazione dell'infrazione alla condotta da osservare.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 3658/2019, il Tribunale di Catania, decidendo in rinvio per ordinanza di questa Corte n. 9093/2012, ha confermato la sentenza n. 606/2006 con cui il Giudice di pace di Acireale aveva rigettato l'opposizione di (Soggetto 1) avverso il processo verbale n. (Omissis) del 3/7/05 della Polizia municipale di Acicastello, di contestazione della violazione dell'art. 14 C.d.S., commi 1 e 7, per avere lasciato in divieto di sosta la propria autovettura.

La cassazione della precedente sentenza n. 358/2011 dello stesso Tribunale era stata pronunciata per difetto del contraddittorio.

(Soggetto 1) aveva lamentato la nullità del verbale per difetto di una compiuta contestazione del fatto quanto al luogo della sosta vietata, atteso che il verbalizzante aveva utilizzato l'acronimo "c.a.", a suo dire per sè incomprensibile, con ciò precludendogli l'esercizio del diritto di difesa; aveva quindi sostenuto che il cartello verticale di divieto di sosta fosse "privo delle indicazioni prescritte dall'art. 77 del Regolamento attuativo del Codice della strada, con conseguente sua invalidità per mancanza di indicazione degli estremi dell'ordinanza di apposizione".

Il Tribunale ha confermato, in giudizio di rinvio, l'infondatezza dei due motivi: ha ritenuto che l'utilizzo dell'acronimo, il cui significato, peraltro, per prassi sarebbe corrispondente al sintagma "centro abitato", non ha comunque precluso la comprensione della trasgressione, consistita nell'aver parcheggiato in un luogo precluso dalla segnaletica; ha quindi affermato che, seppure l'art. 77 invocato dall'opponente effettivamente è finalizzato a "consentire il controllo (sia dell'utente della strada che della stessa amministrazione), della provenienza del segnale stesso e della legittimità della sua apposizione, la contestazione di (Soggetto 1) sul punto non era stata tempestivamente articolata in modo specifico e, pertanto, non era idonea a far ritenere che il Comune opposto fosse stato chiamato al relativo onere probatorio".

Avverso questa sentenza (Soggetto 1) ha spiegato ricorso per cassazione per cinque motivi. Il Comune di Acicastello non ha svolto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, rubricato "nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione di legge o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis e dell'art. 132 c.p.c., n. 4", il ricorrente ha lamentato che il Tribunale non avrebbe considerato che l'utilizzo dell'acronimo di significato oscuro aveva precluso la compiutezza della contestazione, perché le norme sanzionatorie in centro abitato sono differenti da quelle della periferia e la pretesa infrazione era stata appunto accertata su una strada provinciale; non avrebbe inoltre considerato che era stata contestata analiticamente la legittimità del cartello e, addirittura e ancor prima, la sua esistenza che non risultava provata perché agli atti non risultava la fotografia che, secondo la sentenza di primo grado, era stata prodotta dal Comune.

Con il secondo motivo, rubricato "nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all'art. 112 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, per omesso esame di una domanda", il ricorrente ha sostenuto che il Tribunale non si sarebbe pronunciato sul motivo di opposizione relativo alla indeterminatezza della contestazione: era stata infatti contestata la violazione dell'art. 7 C.d.S., senza alcuna specifica indicazione dell'illecito.

Con il terzo motivo, rubricato "nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione di legge o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e art. 77 C.d.S." il ricorrente ha sostenuto che già con l'opposizione aveva specificamente contestato la legittimità dell'apposizione del cartello, tant'è che il Comune aveva "indicato tra gli atti offerti in produzione" l'ordinanza del prefetto di Catania del 16/4/05 che aveva disposto in merito; il documento, tuttavia, non risultava "prodotto ne in primo grado, ne’ nei gradi successivi, ne’ risultava nell'indice degli atti di parte".

Con il quarto motivo, rubricato "nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione di legge o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell'art. 118 disp. att. c.p.c." il ricorrente ha censurato la condanna alle spese di ciascun grado di giudizio nonostante l'accoglimento del ricorso in Cassazione e, in conseguenza, il suo essere stato "vittorioso in due gradi su tre"; sarebbe altresì illegittima la liquidazione di due compensi per la fase di appello e la fase di rinvio, nonostante fosse stata riconosciuta la nullità della prima sentenza resa in grado di appello.

Con il quinto motivo, rubricato "nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione di legge o falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 5 e dell'art. 55/2014", per avere il giudice riconosciuto a controparte l'ammontare dei diritti e degli onorari nel primo giudizio di appello in misura superiore ai minimi e, poi, per avere, nel giudizio di rinvio, operato la liquidazione dei compensi discostandosi, senza motivazione, dai valori medi prescritti dal D.M. n. 55 del 2014.

2. I primi tre motivi sono infondati laddove non inammissibili.

Innanzitutto non risulta correttamente prospettata, nel primo motivo, la violazione dell'art. 115 c.p.c., atteso che lo stesso ricorrente ha riferito, in ricorso, che nel verbale l'infrazione contestata - sosta in luogo vietato - era indicata come avvenuta nella "strada provinciale di fronte lido (Omissis)": era, dunque, possibile individuare con certezza il luogo dell'infrazione a prescindere dall'utilizzo dell'acronimo "c.a." e il Tribunale ha proprio sottolineato l'irrilevanza di questo utilizzo, seppure ha indicato comunque il significato dell'acronimo stesso nel linguaggio comune.

Per principio consolidato, la violazione dell'art. 115 c.p.c. è deducibile invece qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione o prove inesistenti o elementi non ricavabili dalle prove raccolte, ma purché sia prospettata pure l'assoluta impossibilità logica - e non la mera probabilità - di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati (Sez. 3, Sentenza n. 12971 del 26/04/2022): il ricorrente non ha formulato in tal senso la sua censura.

E' poi inammissibile, in disparte ogni considerazione sulla contraddittorietà della prospettazione, la questione della mancanza agli atti della foto del cartello verticale come invece affermata dal giudice di primo grado, atteso che non risulta dal ricorso se questa mancanza sia stata censurata con l'appello.

Ugualmente, quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che il giudice del rinvio, dopo aver riportato sinteticamente quale motivo di opposizione la censura di "nullità dell'accertamento perché inidoneo a dar conto del fatto contestato" (così in sentenza), ha rappresentato che nel verbale di contravvenzione si rinviene chiaramente la descrizione della condotta laddove si legge "in c.a. lasciava in sosta il veicolo nonostante il divieto con zona di rimozione imposto dalla segnaletica verticale": in tal senso è stata esclusa la genericità della contestazione.

La censura di omessa pronuncia, invero, è stata formulata quale omesso esame di un motivo di opposizione, ma il vizio ex art. 112 c.p.c. è configurabile soltanto in riferimento ad una domanda, non ad un'eccezione qual è ciascun motivo che fonda un'opposizione, quando - come nella specie - dal percorso motivazionale, il motivo risulti comunque incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa tanto da poterne ritenere implicito il rigetto. (Sez. 3, Ordinanza n. 24953 del 06/11/2020).

Per quel che concerne il terzo motivo, infine, deve rilevarsi che in sentenza è riferito che l'opponente aveva testualmente dedotto, in conclusionale, la necessità di "conoscere gli estremi dell'ordinanza impositiva per risalire all'ente emanante e per poter accedere agli atti amministrativi (e verificarne la legittimità del perfezionamento dell'iter e dell'emanazione o meno) ed individuare il soggetto passivo legittimato in un eventuale giudizio".

In diritto, costituisce principio consolidato per cui "in tema di segnaletica stradale, la mancata indicazione, sul retro del segnale verticale di prescrizione, degli estremi della ordinanza di apposizione - come invece imposto dall'art. 77, comma 7, del Regolamento di esecuzione del codice della strada (D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 e successive modificazioni) - non determina la illegittimità del segnale e, quindi, non esime l'utente della strada dall'obbligo di rispettarne la prescrizione, con l'ulteriore conseguenza che detta omissione non comporta l'illegittimità del verbale di contestazione dell'infrazione alla condotta da osservare (Sez. 2, Sentenza n. 7709 del 19/04/2016; Sez. 1, Sentenza n. 7125 del 29/03/2006).

Costituisce, invece, diverso profilo la legittimità dell'atto amministrativo del divieto, pur sempre sindacabile dal G.O. "al fine della sua eventuale disapplicazione" (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 30 ottobre 2007, n. 22894).

Nella specie, invece, come riportato in ricorso, il Comune si è immediatamente difeso rappresentando precisamente che l'apposizione del cartello era stata disposta con ordinanza del prefetto di Catania del 16/4/2005 che ha pure indicato tra gli atti offerti in produzione; l'opponente, pertanto, era stato posto a conoscenza degli estremi del provvedimento e questa informazione era sufficiente a consentirgli di attivarsi, avendo egli accesso agli atti. Non risulta, tuttavia, che egli abbia ulteriormente argomentato il suo motivo di opposizione fondato sull'art. 77 del Reg. esec. del Codice della strada; in tal senso è immune da censure il giudizio di genericità di questo motivo formulato dal Tribunale.

Anche il quarto motivo è infondato. Per principio consolidato, nella attribuzione delle spese processuali, il giudice non può "frazionare" il criterio della soccombenza nelle varie fasi del giudizio, considerando l'esito della lite in ciascuna fase, ma deve applicarlo unitariamente secondo la soluzione complessiva e finale della controversia (da ultimo, costantemente, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 13356 del 18/05/2021): correttamente, pertanto, il Tribunale non ha considerato che l'opponente soccombente aveva comunque ottenuto l'accoglimento del suo primo ricorso per cassazione.

Il quinto motivo è inammissibile.

Per contestare l'ammontare dei diritti in sede di legittimità è necessario specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, non risultando sufficiente il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa (Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 30716 del 21/12/2017). Quanto agli onorari, con la censura il ricorrente pretenderebbe una diversa liquidazione degli importi, pur avendo riconosciuto che la quantificazione è avvenuta per un ammontare inferiore a quello risultante dall'applicazione dei parametri medi, laddove la determinazione del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità perché valutazione discrezionale, a meno che non sia dedotta la violazione dei limiti tariffari o, quando sia stato applicato il D.M. n. 55 del 2014, per lo scostamento "apprezzabile" dai parametri medi.

3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è statuizione sulle spese perché il Comune non ha svolto difese.

Si applica alla presente impugnazione, proposta dopo il 30.1.2013, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (introdotto dalla Legge di stabilità 228/12), che obbliga la parte, che proponga un'impugnazione inammissibile, improcedibile o totalmente infondata, a pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 23 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2022.

 

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