Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione terza, ordinanza n. 30723 del 19 ottobre 2022

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione III, ordinanza numero 30723 del 19/10/2022
Circolazione Stradale - Art. 193 del Codice della Strada - Circolazione stradale - Sinistro - Area del molo del demanio portuale interdetta alla circolazione stradale adibita esclusivamente alle operazioni di ormeggio e disormeggio dei natanti - Operatività della copertura assicurativa - La copertura assicurativa comprende, a condizione che se ne dimostri l'operatività a favore di chi la invoca, anche la circolazione che sia avvenuta con una manovra di circolazione vietata e dunque su un'area su cui vi erano limitazioni di circolazione, a nulla rilevando che la manovra di arresto in sosta del veicolo e prima di essa quella di accesso all'area del molo si fosse verificata in un'area facente parte del demanio portuale interdetta alla circolazione stradale ed adibita esclusivamente alle operazioni di ormeggio e disormeggio dei natanti.


FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del Marzo 2014, il Tribunale di (Omissis) rigettava la domanda, formulata ai sensi dell'art. 141 C.d.S. (di seguito C.d.S.) dagli odierni ricorrenti nei confronti della (Omissis) Assicurazioni Spa per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti iure proprio e iure hereditatis a causa del decesso del loro congiunto (Soggetto 1).

Secondo la prospettazione svolta dagli attori nell'atto introduttivo del giudizio: a) il de cuius, il (Omissis), si trovava in qualità di trasportato sull'autovettura condotta da (Soggetto 2) e di sua proprietà, assicurata presso l'indicata società; b) la (Soggetto 2) aveva effettuato una incauta manovra sul molo (Omissis), in prossimità del margine della banchina, provocando la caduta in acqua dell'autovettura ed il conseguente decesso per annegamento dei due occupanti.

1.1. Il primo giudice motivava il rigetto ritenendo che gli attori non avessero fornito la prova, come sarebbe stato loro onere, degli elementi costitutivi della domanda, cioè del trasporto nel loro congiunto e dell'essere il sinistro riconducibile alla circolazione stradale.

2. Gli eredi del de cuius appellavano la sentenza sulla base di tre motivi, inerenti alla disconosciuta qualità di terzo trasportato di (Soggetto 1), all'essere stato il veicolo in movimento al momento del sinistro e all'essere stata l'area del sinistro aperta alla circolazione stradale.

2.1. La Corte di Appello Di (Omissis), nella resistenza della società assicuratrice, dopo avere disatteso per novità un'istanza di prova testimoniale formulata dagli appellanti ed averla comunque reputata superflua, in quanto aveva ad oggetto circostanze già acquisite al processo a mezzo delle relazioni di servizio delle forze dell'ordine intervenute sul luogo del sinistro, esaminava congiuntamente i primi due motivi e ripercorreva in primo luogo la motivazione del tribunale in questi termini:

"Il primo giudice escludeva sussistesse la relativa prova sulla base dei suddetti elementi: i corpi dei due occupanti del veicolo al momento del rinvenimento si trovavano sollevati dai sedili quasi a toccare il tetto in quanto privi di cinture di sicurezza; il sedile lato guida si trovava spostato in avanti e quello accanto aveva lo schienale reclinato; la leva del cambio era in folle e le chiavi si trovavano inserite nel quadro di accensione; i finestrini e le portiere erano chiusi. Posta l'impossibilità di evincere dalla originaria postazione degli occupanti e dalla posizione dei due corpi lo stato dei due sedili e la leva del cambio porterebbe a ritenere, secondo il primo giudice che nessuno dei due ragazzi si trovasse a lato guida al momento del sinistro, ostandovi sia lo spostamento in avanti del sedile lato guida, che lo schienale reclinato dell'altro sedile anteriore, normalmente in posizione verticale durante la marcia. I medesimi elementi portano ad escludere che l'autovettura fosse in movimento subito prima di precipitare dal molo in acqua, e, d'altra parte, l'area del molo dove si trovava, del demanio portuale, era interdetta alla circolazione stradale ed adibita esclusivamente alle operazioni di ormeggio e disormeggio dei natanti. In conclusione, secondo la ricostruzione del primo giudice, quando era precipitata in acqua l'autovettura si trovava ferma ed i due occupanti si erano recati sul posto notoriamente meta di coppie in cerca di intimità, per appartarsi. Quindi, il sinistro si era verificato per un utilizzo improprio incauto e negligente del veicolo".

2.2. La Corte territoriale, di seguito, riferiva la doglianza proposta dagli appellanti sull'assunto che gli elementi di fatto sopramenzionati sarebbero stati rivelatori di una diversa ricostruzione dei fatti, precisamente nel senso che: aa) il sedile del guidatore spostato in avanti consentiva di escludere che l'(Soggetto 1) lo occupasse al momento del sinistro, in quanto ciò era incompatibile con la sua altezza di mt. 1,78, mentre era compatibile, per contro, con la bassa statura della (Soggetto 2); bb) l'essere stato reclinato lo schienale del sedile passeggero avrebbe provato che esso era occupato dall'(Soggetto 1), per consentirgli di sedersi, tenuto conto della sua altezza e delle dimensioni ridotte dell'abitacolo; cc) la posizione di trasportato del medesimo sarebbe, del resto emersa anche dalle lesioni (escoriazioni) che erano state riscontrate sul corpo del loro congiunto alla regione dorsale e alle nocche della mano destra, terzo e quarto dito mano sinistra, spalla destra, in quanto esse sarebbero derivate dal tentativo di uscire dall'abitacolo compiuto dall'(Soggetto 1) in quanto occupava il sedile destro dell'autovettura, mentre se fosse stato seduto dal lato guida le stesse escoriazioni si sarebbero presentate alla mano ed alla spalla sinistra; dd) l'autovettura sarebbe stata in fase di circolazione, in quanto le chiavi erano inserite nel quadro "in accensione" e l'autovettura mancava di freno di stazionamento, mentre la posizione del cambio in folle sarebbe spiegabile ipotizzando che nelle fasi concitate della caduta si fosse disinnescato l'innesto della marcia.

2.3. Ancora di seguito, la corte palermitana ha disatteso la censura così motivando:

"Osserva il Collegio che le conclusioni a cui pervengono gli appellanti in base alla posizione dei due sedili anteriori e alle lesioni riscontrate sul corpo di (Soggetto 1) potrebbero essere condivisibili, a tutto concedere, ove fosse sufficientemente certo che l'autovettura era in movimento al momento della sua caduta in acqua. In tale ipotesi, dovendo presumere che uno dei due occupanti fosse alla guida, sarebbe plausibile ritenere che si trattasse della (Soggetto 2). Tuttavia, gli elementi acquisiti al processo non consentono di affermare che uno dei due occupanti stesse conducendo il veicolo. Al contrario, come ben evidenziato dal Tribunale, la posizione dei sedili consente di presumere, con un grado di probabilità superiore o quanto meno uguale, che nessuno dei due ragazzi fosse alla guida. Infatti, la ridottissima distanza fra sedile del guidatore e pedaliera, di soli 30 centimetri (come risulta dal verbale e dai rilievi fotografici in atti) sembrerebbe escludere che la (Soggetto 2) stesse guidando. Infine, nella relazione di servizio prodotta viene dato atto che le chiavi vennero trovate inserite nel quadro "di accensione" e non "in accensione", circostanza del tutto neutrale rispetto alle diverse ricostruzioni, così come la mancanza di freno di stazionamento, che non può offrire alcun valido elemento di convincimento, essendo compatibili con le più disparate ipotesi (dimenticanza, eliminazione nelle concitate fasi immediatamente successive alla caduta etc ...). A ciò si aggiungano le caratteristiche del luogo del sinistro (senza via di uscita, isolato, privo di illuminazione ed a circolazione parzialmente interdetta) e la relazione sentimentale tra i due occupanti (in procinto di sposarsi), che avvalorano ulteriormente l'ipotesi formulata dal primo giudice. Alla luce delle superiori considerazioni, deve ritenersi che correttamente il primo giudice ha ritenuto non offerta la prova della qualità di trasportato e della circolazione stradale al momento del sinistro.".

Sulla base di tale iter motivazionale, la corte di appello, ritenuto assorbito il terzo motivo, ha rigettato l'appello con sentenza del 30 aprile 2019.

3. Avverso tale sentenza gli eredi di (Soggetto 1) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La (Omissis) Assicurazioni Spa ha resistito con controricorso.

La trattazione del ricorso è stata fissata in pubblica udienza, ma ha avuto luogo in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in quanto ne il Pubblico Ministero presso la Corte ne' le parti hanno chiesto la discussione orale.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del ricorso.

4. Il Presidente, all'esito di riconvocazione del Collegio e di nuova deliberazione, ha sostituito se stesso al relatore ai sensi dell'art. 276 c.p.c., u.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio rileva preliminarmente che nel giudizio avrebbero dovuto essere convenuti anche gli eredi della ragazza proprietaria dell'autovettura. Nell'azione ai sensi del D.lgs. n. 209 del 2005, art. 141, il proprietario assicurato dell'autovettura su cui il trasportato ha subito danno è litisconsorte necessario: vedi Cass. n. 17963 del 2021 (in motivazione non massimata sul punto ma diffusa) e Cass. n. 23706 del 2016.

Tale questione in realtà era stata posta dall'assicurazione nelle sue difese in primo grado, e tuttavia emerge che il Tribunale, a pag. 10 della sua sentenza, ha affermato l'integrità del contraddittorio. Non essendovi stato appello sul punto, si è formato giudicato interno che in questa sede preclude l'applicazione dell'art. 383 c.p.c., comma 3, in quanto il giudice della sentenza impugnata, a sua volta non avrebbe potuto e dovuto provvedere ai sensi dell'art. 354 c.p.c.. E', infatti, principio consolidato quello secondo cui "il difetto di integrità del contraddittorio nel primo grado del giudizio, in riferimento all'ipotesi di litisconsorzio necessario per ragioni di ordine sostanziale, può essere rilevato d'ufficio dal giudice d'appello, ad eccezione del caso di giudicato interno, formatosi su una statuizione di merito resa tra le parti dalla sentenza appellata" (Cass. (ord.) n. 38024 del 2021; e vedi già Cass. n. 2922 del 1974).

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 141.

Vi si sostiene che la corte territoriale avrebbe errato "nella parte della sentenza in cui ha escluso il diritto al risarcimento degli attori per non avere questi provato la qualità di trasportato di (Soggetto 1) e la circolazione stradale al momento del sinistro, in violazione del D.lgs. n. 209 del 2005, art. 141".

Dopo un richiamo a tale norma, nella parte in cui, in tema di risarcimento del terzo trasportato, prevede che "salva l'ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo a momento del sinistro a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro", si svolgono considerazioni sul concetto di caso fortuito richiamando precedenti, e, quindi, si argomenta che nella motivazione della Corte territoriale, e comunque nemmeno in quella della sentenza di primo grado cui essa rimanda, sarebbe stato spiegato se sia esistito o meno un caso fortuito e in cosa si sarebbe sostanziato e tanto meno se esso sia stato tale da escludere il nesso di causalità. In particolare, dopo avere riprodotto la motivazione della sentenza impugnata, si sostiene che da essa "non si evince quale circostanza la Corte abbia ritenuto sussumibile nel concetto di caso fortuito, circostanza tale da escludere il nesso di causalità, essendosi limitata a ribadire cosa aveva detto il primo giudice, cioè che "il sinistro si era verificato per un utilizzo improprio, incauto e negligente del veicolo" (v. pag. 4 della sentenza della Corte), senza precisare in cosa fosse consistito tale utilizzo improprio, incauto e negligente del veicolo e se ciò fosse sussumibile nel concetto di caso fortuito tale da elidere il nesso di causalità con l'evento che ha determinato la caduta in acqua dell'autovettura (Omissis) con a bordo gli sventurati (Soggetto 2) e (Soggetto 1).".

3. Con il secondo motivo si denuncia nuovamente violazione e falsa applicazione del citato art. 141, nonchè dell'art. 2697 c.c., sempre in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è così testualmente illustrato:

"Invero, la Corte territoriale ha errato nella parte della sentenza in cui ha escluso il diritto al risarcimento degli attori per non avere questi provato la qualità di trasportato di (Soggetto 1) e la circolazione stradale al momento del sinistro, in violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 141, e dell'art. 2697 c.c.. Il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 141, in tema di risarcimento del terzo trasportato, prevede che "salva l'ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall'impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo a momento del sinistro a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro". Ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 141, quindi, l'assicuratore del vettore risarcisce il trasportato, tranne nell'ipotesi in cui il caso fortuito abbia cagionato il sinistro. Il trasportato, quindi, non è avvinto al paradigma probatorio dell'art. 2043 c.c., e neppure a quello dell'art. 2054 c.c., comma 2, non essendo tenuto a dimostrare le modalità in cui si è verificato il sinistro (ut supra rilevato, ciò infatti è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte: Cass. sez. III, 30 luglio 2015 n. 16181 e, in motivazione, Cass. sez. III, ord. 5 luglio 2017 n. 16477), dovendo soltanto provare la sua esistenza e il proprio conseguente danno. Sarà allora il convenuto, assicuratore del vettore, a dover dimostrare, per svincolarsi dall'obbligo ex adverso addotto come suo, che esista il caso fortuito e che sia stata l'unica causa del sinistro. Nella fattispecie, nonostante parte convenuta non abbia assolto l'onere probatorio previsto ex art. 2697 c.c., la Corte territoriale ha ritenuto provato un fatto sussumibile nel concetto di caso fortuito tale da elidere il nesso di causalità con l'evento che ha determinato la caduta in acqua dell'autovettura Citroen".

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2054 c.c..

Vi si sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nell'escludere che la vicenda fosse riconducibile alla circolazione stradale e ciò in violazione dell'art. 2054 c.c..

La censura attinge in particolare la motivazione con cui il Collegio palermitano ha affermato che "le conclusioni cui pervengono gli appellanti in base alla posizione dei due sedili anteriori e alle lesioni riscontrate sul corpo di (Soggetto 1) potrebbero essere condivisibili, a tutto concedere, ove fosse sufficientemente certo che l'autovettura era in movimento al momento della sua caduta in acqua", per poi rilevare che "in tale ipotesi, dovendo presumere che uno dei due occupanti fosse alla guida, sarebbe plausibile ritenere che si trattasse della (Soggetto 2)", e soggiungere che "tuttavia, gli elementi acquisiti al processo non consentono di affermare che uno dei due occupanti stesse conducendo il veicolo".

Si adduce che, "al di là della stridente dichiarazione "ove fosse sufficientemente certo che l'autovettura era in movimento al momento della sua caduta in acqua", atteso l'evento nefasto verificatosi, sembrerebbe intendersi che la Corte Territoriale abbia escluso la riconducibilità dell'evento all'ipotesi di circolazione stradale, per la mera presunzione che nessuno dei due ragazzi fosse alla guida", onde "è come se si fosse ritenuto che il movimento che ha necessariamente determinato la caduta non fosse riconducibile al concetto di circolazione perché verificatosi in assenza del conducente".

Secondo i ricorrenti la violazione ed erronea applicazione dell'art. 2054 c.c. si configurerebbe perché la circolazione stradale si sostanzia in un concetto che accanto ad una circolazione "dinamica", coincidente con il movimento veicolare in senso proprio, includerebbe nel proprio novero anche la fermata e l'arresto dei veicoli, enucleando una circolazione c.d. "statica". Si assume che "tale interpretazione è stata ribadita più volte dalla Corte di Cassazione giacché il concetto di circolazione stradale è integrato anche dalla posizione di arresto del veicolo in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche o in funzione della partenza o connesse alla fermata, estendendo così l'ambito di applicazione della disciplina in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, essendo sufficiente che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali risultando invece indifferente l'uso che in concreto se ne faccia, sempreché esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo". Vengono citate Cass. n. 27759 del 2017 e Cass., Sez. Un., n. 8620 del 2015, nonché CGUE 15 novembre 2018, n. 648, ed ancora - evocandone il principio di diritto - Cass. n. 1280 del 2019, in tema di risarcimento del danno subito da minori che erano salite su un autoveicolo in sosta che, a motore spento, aveva iniziato a muoversi, prendendo velocità ed andando a schiantarsi contro una porta di una cascina.

Si asserisce, dunque, che una corretta applicazione del paradigma normativo dell'art. 2054 c.c. avrebbe dovuto valorizzare "proprio l'interazione tra veicolo e circolazione che è fondamento della particolare ipotesi di responsabilità da attività pericolosa, quale quella di cui all'art. 2054 c.c., nella fattispecie oggetto di violazione da parte della Corte territoriale" e che "in tale ottica ha quindi errato la Corte territoriale a non ritenere, nella fattispecie, la sussistenza della circolazione stradale - e la contestuale applicazione della disciplina della r.c. auto - in considerazione che la tutela del danneggiato ricomprenda, in ogni caso, anche il concetto di "rischio statico" connesso alla circolazione con il quale - la copertura assicurativa viene estesa anche ai fatti che accadono durante o a causa del parcheggio dell'autovettura".

5. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano "violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per vizio dl motivazione assoluta della sentenza impugnata in relazione alla statuizione d'appello di conferma della sentenza dl primo grado che aveva rigettato le domande degli attori e in relazione alla mancata prova della qualità dl trasportato e della circolazione stradale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4".

Vi si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe nulla: a1) in quanto la motivazione sarebbe del tutto apparente, "poiché la Corte ha omesso di specificare e illustrare l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè ha omesso di chiarire su quali prove abbia fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni sia pervenuta alla propria determinazione"; a2) perché la motivazione, benché esistente, "non rende tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, che costringe l'interprete al compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture"; a3) perché presenterebbe "un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e precisamente, là dove, affermando "che "le conclusioni cui pervengono gli appellanti in base alla posizione dei due sedili anteriori e alle lesioni riscontrate sul corpo di (Soggetto 1) potrebbero essere condivisibili, a tutto concedere, ove fosse sufficientemente certo che l'autovettura era in movimento al momento della sua caduta in acqua", (pag. 5 della sentenza della Corte di Appello)", sembrerebbe "far ritenere che non fosse certo che quando l'autovettura è caduta in acqua questa fosse in movimento, ma che la stessa possa essere caduta senza movimento alcuno", là dove "l'ipotesi di una caduta dalla banchina del porto in acqua senza movimento è illogica e contraddittoria"; a4) perché, non chiarendo la sentenza se intenda riferirsi ad "un movimento con il motore acceso o spento", circostanza peraltro "del tutto irrilevante nel concetto di circolazione stradale", l'interprete dovrebbe ricorrere ad "un'ipotetica congettura tesa ad integrare una motivazione del tutto apparente"; a5) perché altrettanto apparente sarebbe la motivazione, "ove la corte territoriale avesse ritenuto che il movimento che ha necessariamente determinato la caduta non fosse riconducibile al concetto di circolazione perché verificatosi in assenza del conducente"; a6) perché la motivazione presenterebbe "un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, là dove, dopo avere rilevato che potrebbero essere condivisibili le conclusioni degli appellanti circa la posizione dell'(Soggetto 1)", ha affermato che in realtà lo sarebbero solo "ove fosse sufficientemente certo che l'autovettura era in movimento al momento della sua caduta in acqua", soggiungendo poi che "in tale ipotesi, dovendo presumere che uno dei due occupanti fosse alla guida, sarebbe plausibile ritenere che si trattasse della (Soggetto 2)", nel mentre "la circostanza, secondo la Corte territoriale, che nessuno si trovasse alla guida dell'autovettura avrebbe dovuto essere sufficiente, per la stessa Corte, a ritenere dimostrato che alla guida non ci potesse essere, di conseguenza, nemmeno il Sig. (Soggetto 1), il quale quindi non poteva che rivestire necessariamente la qualità di terzo trasportato e non di conducente".

6. La prospettazione svolta nei primi tre motivi evidenzia che essi ruotano attorno a due questioni.

La prima è quella della riconducibilità del triste accaduto alla nozione di circolazione stradale e si coglie nel terzo motivo.

La seconda è quella della posizione di trasportato del de cuius e si coglie nel primo e, soprattutto, nel secondo motivo.

Sia con riferimento alla prima che alla seconda questione, ritiene il Collegio che i tre motivi prospettino dei vizi di sussunzione, cioè dei vizi che hanno determinato la falsa applicazione ai fatti come accertati e ritenuti verificatisi dalla corte di merito, sia delle norme che individuano la nozione di circolazione stradale, sia delle norme che individuano la nozione di terzo trasportato.

Com'è noto, il vizio di sussunzione o falsa applicazione della norma di diritto ricorre allorquando emerga da essa stessa che il giudice di merito, avendo accertato il fatto in certi termini, si è erroneamente rifiutato di ricondurlo alla norma idonea a disciplinarlo oppure lo abbia ricondotto ad una norma diversa da quella alla quale avrebbe dovuto ricondurlo (in termini, vedi già Cass. n. 22348 del 2007; adde, ex multis; Cass. n. 23851 del 2019; (ord.) n. 21772 del 2019; n. 13447 del 2018).

Nella specie la corte territoriale ha compiuto un primo errore di sussunzione (o falsa applicazione), là dove ha negato che la vettura fosse in circolazione e, conseguentemente, ha escluso l'operatività della copertura assicurativa per tale ragione. Il fatto per come da essa accertato avrebbe dovuto certamente essere integratore della circolazione del veicolo.

Ne ha poi compiuto un secondo, là dove ha affermato che il de cuius non dovesse essere ritenuto terzo trasportato ed è pervenuta a quella esclusione anche sotto tale profilo. Invece, il fatto per come accertato evidenziava una situazione in cui il de cuius avrebbe dovuto ritenersi terzo trasportato.

I due errori hanno determinato congiuntamente la motivazione.

Entrambi gli errori, come si evidenzierà, sono rilevabili da questa Corte sulla base di quanto dedotto nei primi tre motivi e nell'esercizio del potere di individuare comunque, con riguardo alla prospettazione svolta in essi (secondo i criteri indicati da Cass. Sez. Un., n. 17931 del 2013) e con riferimento alla situazione di fatto per come accertata dal giudice di merito, l'esatto diritto applicabile a quest'ultima. E ciò, conforme alla figura del vizio di sussunzione (o falsa applicazione), senza alcuna attività di sindacato sulla ricostruzione del fatto e dunque senza procedere ad alcuna ricostruzione alternativa, cosa che fuoriesce dai limiti del giudizio di legittimità, bensì procedendo all'individuazione dell'esatto diritto applicabile al fatto stesso per come individuato dal giudice di merito.

7. Prima di procedere all'individuazione dei due errori di sussunzione che si possono ritenere denunciati dai primi tre motivi, si deve notare che i primi due e di riflesso il terzo evocano a torto la norma del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 141, ancorché nella specie il sinistro abbia coinvolto solo il veicolo su cui il de cuius era trasportato. Tale circostanza avrebbe giustificato, secondo un orientamento già manifestatosi (Cass. n. 17963 del 2021, che ha preso consapevole posizione contro Cass. n. 4147 del 2019), invece l'evocazione dell'art. 144 del D.Lgs..

Tuttavia, lo scrutinio dei motivi relativi all'applicazione di tale norma, integrando la regola in essa descritta una quaestio iuris non implicante accertamenti di fatto (emergendo dai fatti come pervenuti a questa Corte che il sinistro ha coinvolto un solo veicolo), può comunque essere operato da questa Corte e comportare, dunque, l'esame delle doglianze prospettate.

Inoltre, poiché nel caso di specie il decisum della sentenza impugnata, e dunque i motivi, pertengono ai due problemi preliminari l'essere riconducibile il fatto alla circolazione e l'individuazione del de cuius come terzo trasportato - da ritenersi comunque comuni sia all'ipotesi di applicabilità al caso di chi agisca contro l'assicuratore quale terzo trasportato, dell'art. 141, sia dell'art. 144, il Collegio osserva altresì che non rileva l'essere stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte, da Cass. (ord.) n. 40885 del 2021, la questione della pretesa diversità di tutele che il trasportato avrebbe nel regime dell'art. 141 ed in quello dell'art. 144, che, evidentemente, consentirà alle Sezioni Unite di prendere posizione in generale sui rapporti fra le due norme.

Sicché, può procedersi alla decisione sul ricorso senza che occorra attendere l'esito della rimessione.

8. Il Collegio ritiene che sia logicamente preliminare lo scrutinio del terzo motivo, nel quale si censura l'assunto della corte territoriale che il veicolo non fosse in circolazione. Un simile assunto aveva già costituito ratio decidendi enunciata dal tribunale, come emerge dal modo in cui la sentenza impugnata riferisce la decisione di primo grado. Ma - ricordato che sempre dalla sentenza emerge che sul punto vi era stato appello dei qui ricorrenti - è palese che la corte territoriale abbia anch'essa ritenuto che il veicolo non fosse in circolazione ed anzi lo ha ritenuto decisivo per escludere altresì la plausibilità della prospettazione dei ricorrenti che alla guida dell'autovettura vi fosse la (Soggetto 2). Tanto si desume sia dall'esordio della motivazione, dove si dice che l'autovettura non si trovava in movimento, chiaramente alludendo al fatto che qualcuno la guidasse, quanto dall'affermazione finale di condivisione dell'avviso del primo giudice circa la mancanza di prova della circolazione. Si ricorda, del resto, che la stessa sentenza impugnata dice che il tribunale aveva ritenuto che l'autovettura fosse "ferma".

In tal modo, la corte territoriale ha reputato che lo stato di sosta del veicolo, naturalmente prima del momento in cui essa si mosse e precipitò dal molo, escludesse la riconducibilità dell'accaduto alla nozione di circolazione, che, ai fini della copertura assicurativa, è delineata dall'art. 122 del C.d.A., comma 1, con una limitazione inerente alla sede ("strade di uso pubblico o a queste equiparate"), ma assumendo la nozione fissata dal Codice Civile dall'art. 2054 c.c..

E' vero che la corte (Omissis) ha desunto da tale conclusione che nessuno dei due giovani fosse alla guida, cioè conducesse il veicolo, e lo ha fatto per desumerne la conseguenza che l'(Soggetto 1) non potesse considerarsi terzo trasportato, così ritenendo che per esservi tale condizione occorresse che il veicolo fosse in movimento, cioè guidato da qualcuno. E, sotto tale profilo, ha affermato che, se fosse risultato che il veicolo era in movimento, cioè - secondo l'assunto - guidato da qualcuno, questo qualcuno sarebbe stato la (Soggetto 2).

Ma ciò non toglie che il presupposto di tali conclusioni, come si vedrà errate, sia stato l'assunto in iure che un veicolo non sia in circolazione quando è in sosta. Tale assunto costituisce decisum della sentenza impugnata.

8.1. In tal modo i giudici (Omissis) hanno commesso un evidente errore di falsa applicazione della nozione di circolazione indicata dall'art. 2054 c.c., là dove, assumendo il dato accertato che il veicolo era in sosta, quando - senza che alcuno fosse più alla guida - si mosse e precipitò nelle acque, hanno ritenuto che esso, una volta fermatosi in sosta e senza che alcuno degli occupanti fosse più alla guida (intesa come guida funzionale all'effettivo movimento), non potesse ritenersi in circolazione. In tal modo hanno rifiutato del tutto erroneamente in iure di sussumere il fatto accertato sotto la norma dell'art. 2054 c.c. e di riflesso quella dell'art. 122 del C.d.A. e - come s'è detto - dell'art. 144 (ma lo stesso varrebbe per l'art. 141).

In proposito, è sufficiente ricordare che è stato statuito che: "Il concetto di circolazione stradale di cui all'art. 2054 c.c. include anche la posizione di arresto del veicolo e ciò in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade. Ne consegue che per l'operatività della garanzia per R.C.A. è necessario che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali e, quindi, in relazione alle sue funzionalità non solo sotto il profilo logico ma anche delle eventuali previsioni normative, risultando invece indifferente l'uso che in concreto se ne faccia, sempreché esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo. (Nella specie le S.U., hanno ricondotto all'art. 2054 c.c., e alla disciplina della R.C.A. il sinistro mortale determinato dall'imperita manovra da parte del conducente di un mezzo in sosta, munito di un braccio meccanico di sollevamento, per effetto della quale un cassone metallico, in fase di caricamento, era scivolato travolgendo la vittima)." (Cass., Sez. Un., n. 8620 del 2015, esattamente invocata dai ricorrenti; il principio, anche di recente, è stato ribadito da Cass., n. 9948 del 2022, la quale ha statuito, che: "Il concetto di circolazione stradale di cui all'art. 2054 c.c., include anche la posizione di arresto e di sosta del veicolo e ciò in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade; ne consegue che anche il movimento del motoveicolo che non mantenga la posizione di arresto a margine della strada e si riversi su un fianco cadendo su un pedone rientra nel concetto di circolazione rilevante ai fini dell'art. 2054 c.c., (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della corte territoriale la quale aveva ritenuto che, per applicare la presunzione di responsabilità ex art. 2054 c.c., comma 1, il danneggiato avrebbe dovuto provare che l'evento dannoso derivasse dalla circolazione, a cui la sosta può essere equiparata solo se il sinistro è eziologicamente collegabile al movimento del mezzo)").

Si deve allora rilevare che la manovra compiuta da chi si trovava alla guida per arrestare l'autovettura nella posizione di quiete, poi rivelatasi instabile, si sarebbe dovuta comprendere nella nozione di circolazione del veicolo. Allo stesso modo in quella nozione andava ricompreso lo stato del veicolo prima del suo tragico movimento. E di conseguenza che il successivo movimento del veicolo, in quanto originatosi causalmente dalla sosta, lo fosse a sua volta.

8.2. Si deve, inoltre, considerare che a nulla rileva che la manovra di arresto in sosta del veicolo e prima di essa quella di accesso all'area del molo si fosse verificata in un'area che la sentenza di primo grado richiamata (evidentemente con implicita condivisione) dalla sentenza impugnata identifica come facente parte "del demanio portuale" e dice "interdetta alla circolazione stradale ed adibita esclusivamente alle operazioni di ormeggio e disormeggio dei natanti", così ragionando in realtà di una limitazione della circolazione a chi doveva accedere per quelle manovre. E, dunque, che la manovra di accesso prima e di sosta poi si fosse svolta in contrasto con il (relativo) divieto.

La copertura assicurativa comprende, a condizione che se ne dimostri l'operatività a favore di chi la invoca, anche la circolazione che sia avvenuta con una manovra di circolazione vietata e dunque su un'area su cui vi erano limitazioni di circolazione.

8.3. Il terzo motivo deve, dunque, accogliersi quanto alla censura di erronea esclusione del fatto che il veicolo, pur in sosta, dovesse ritenersi in circolazione. La sentenza impugnata va cassata sul punto ed il giudice di rinvio deciderà considerando che il sinistro è avvenuto durante una situazione di circolazione del veicolo.

9. Può passarsi, ora, alla spiegazione del secondo errore di sussunzione compiuto dalla sentenza impugnata, quello relativo alla negazione che il de cuius, nella situazione di fatto accertata, dovesse considerarsi "trasportato" sul veicolo beneficiario della copertura assicurativa.

La spiegazione postula l'interrogarsi in iure su quali siano i fatti costitutivi del diritto risarcitorio del trasportato, cui allude l'art. 122 del C.d.A., comma 2, verso l'assicuratore del veicolo sul quale egli appunto sia trasportato.

Va considerato che il comma 2 fa riferimento ai "danni alla persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale il trasporto è effettuato". La norma, nel fare riferimento ai trasportati, si riferisce alla posizione di costoro verso l'assicuratrice della responsabilità civile del veicolo su cui il trasporto abbia luogo.

E' palese che il trasportato a bordo del veicolo che collida con altro veicolo risulta già soggetto tutelato, sebbene a certe condizioni, nei confronti dell'assicuratore di quest'ultimo ai sensi dello stesso art. 122, comma 1. Quando la norma impone l'obbligo assicurativo per la messa in circolazione del veicolo per la responsabilità verso terzi, è palese che la copertura assicurativa non può che concernere anche la responsabilità verso i terzi che si trovino "trasportati" sul veicolo antagonista di quello per cui l'assicurazione è stipulata. Naturalmente la copertura suppone che il sinistro sia imputabile alla responsabilità del conducente del veicolo per cui l'assicurazione è stipulata e non a quello del veicolo su cui trovavasi il trasportato.

L'art. 141 C.d.S., a sua volta, sotto la rubrica "risarcimento del terzo trasportato" sembra riferirsi sia alla fattispecie individuata dall'art. 122, comma 2, sia a quella dell'art. 122, comma 1, cioè sembra concernere l'azione risarcitoria di chi sia trasportato sul veicolo tanto contro l'assicuratore dello stesso quanto contro quello del veicolo antagonista e così parrebbe disciplinare la posizione del trasportato, che chiama "terzo", nel caso di scontro fra il veicolo su cui egli era a bordo ed altro veicolo. La norma è espressione di un favor per il trasportato, al quale è concessa l'azione contro l'assicuratore del veicolo su cui il trasporto ha luogo "salva l'ipotesi che il sinistro sia cagionato da caso fortuito" e, dunque, senza che egli debba dimostrare la responsabilità del conducente del veicolo che lo trasportava.

La posizione del trasportato nel caso di sinistro coinvolgente solo il veicolo sul quale egli si trovi a bordo parrebbe, invece, riconducibile all'art. 144 e riguarda il caso di cui ci si occupa, ma si è già detto che tale riconduzione non è decisiva e dunque quanto si osserverà varrebbe anche se si ritenesse tale ipotesi riconducibile anch'essa all'art. 141.

9.1. Tornando alla considerazione dell'art. 122, l'interprete che debba definire la nozione di trasportato sia agli effetti del comma 1 (nel quale, come s'è detto, fra i terzi a cui beneficio è stipulata l'assicurazione sono compresi anche i trasportati sul veicolo antagonista), sia agli effetti del comma 2 (nel quale si allude al trasportato sullo stesso veicolo assicurato), si trova a dover svolgere le seguenti considerazioni:

a) agli effetti del comma 1, fra i terzi a beneficio dei quali opera potenzialmente l'assicurazione di un veicolo nel caso di scontro con altro veicolo, vi sono tutti i soggetti lato sensu "trasportati" su quest'ultimo, cioè sia chi si trovi a bordo di esso in quanto condotto da altri e dunque si faccia da altri trasportare, sia chi lo conduce, cioè usi il veicolo come mezzo di trasporto: l'operatività dell'assicurazione per la responsabilità verso i terzi, data l'evocazione dell'art. 2054 c.c., riguarda gli uni e l'altro, dovendosi solo considerare che quest'ultimo, cioè chi conduce il veicolo, dovrà dare la prova liberatoria della propria responsabilità. Se la dia, egli, pur "trasportato" sul veicolo usandolo personalmente come mezzo di trasporto, cioè conducendolo, certamente benefica dell'assicurazione del veicolo antagonista.

Peraltro, se si ritiene che sul piano semantico per "trasportato" si debba intendere solo chi viene trasportato su un veicolo da altri che lo conduce e non anche chi conduce il veicolo (trasportando se stesso), la notazione appena svolta diventa superflua: senza interrogarsi sul significato della parola "trasportato", valorizzando il riferimento ai "terzi" contenuto nell'art. 122, comma 1, si può postulare semplicemente che, quando la responsabilità viene in rilievo con riferimento a "terzi" che si trovino sul veicolo antagonista, la norma si debba riferire a tutti gli "occupanti" del veicolo, cioè a tutti coloro che vi si trovino a bordo e dunque anche a chi lo conduce, e ciò anche se non lo si consideri "traportato";

b) agli effetti del comma 2, cioè quando viene in rilievo l'assicurazione del veicolo su cui abbia luogo il trasporto e, dunque, si voglia far valere una responsabilità in garanzia dell'assicuratore del veicolo (sia nel caso che il danno sia stato cagionato da un sinistro che abbia coinvolto solo il veicolo, sia nel caso in cui il danno sia cagionato in un sinistro che abbia coinvolto altro veicolo e si intenda far valere una responsabilità riconducibile al veicolo traportante), la formulazione della norma - là dove parla di ricomprensione nell'assicurazione "della responsabilità per i danni alla persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto", ed usa il verbo "causare" - poiché evoca sempre la responsabilità ricollegata alla circolazione dei veicoli di cui all'art. 2054 c.c., e segnatamente quella del comma 1, necessariamente, quanto usa il temine "trasportati", allude esclusivamente "a chi risulti trasportato sul veicolo senza essere il conducente". La ragione è che l'art. 2054, comma 1, riferisce l'obbligo risarcitorio verso terzi al "conducente" del veicolo e questo è quello che l'assicurazione per la responsabilità civile da assicurazione copre, oltre - ma non rileva - la responsabilità dei soggetti di cui all'art. 2054, comma 3, ed ora del soggetto di cui all'art. 91 C.d.S., comma 2, richiamato dal comma 1 dell'art. 122. In altri termini, emerge già dallo stesso art. 122 che "trasportato" agli effetti dell'art. 122, comma 2, debba ritenersi solo il soggetto che non sia conducente del veicolo.

Sicché, il trasportato è considerato "terzo" rispetto all'assicurazione del veicolo su cui viaggiava solo se il suo trasporto non avvenga come conducente e ciò perché il conducente del veicolo è il soggetto la cui condotta è coperta dall'assicurazione, sicché, dovendo valere l'assicurazione per un comportamento a lui ascrivibile, egli non può essere considerato "trasportato".

La conferma della correttezza di questa esegesi si rinviene, del resto, ad abundantiam nella norma dell'art. 129 C.d.S..

Questa norma, sotto l'espressa rubrica "soggetti esclusi dall'assicurazione", indica una serie di situazioni in cui l'assicurazione non opera.

Nel comma 1 evoca la figura del "conducente del veicolo responsabile del sinistro", cioè del soggetto potenzialmente danneggiante, stabilendo che egli non è considerato "terzo" e dunque non beneficia dell'assicurazione relativa al veicolo stesso (e ciò sia ai sensi dell'art. 141, che dell'art. 144 successivi), così restando confermato che non può essere considerato coperto dall'assicurazione del veicolo antagonista ai sensi del comma 1 e nemmeno, ai sensi dell'art. 122, comma 2, dall'assicurazione del veicolo condotto, cioè come "trasportato" nel senso di soggetto che, conducendo il veicolo, si autotrasportava.

Nello stesso art. 129, comma 2, dopo avere accomunato, disponendone il loro "restar ferme" le disposizioni dell'art. 122, comma 2, e del comma 1 precedente, stabilisce che non sono considerati terzi e dunque coperti dall'assicurazione per i danni alle cose il proprietario e altri soggetti. In tal modo la norma, letta a contrario per quanto concerne i danni alla persona, implica - come è dovuto anche sul piano comunitario - che fra i trasportati di cui al detto comma 2 debbano essere compresi, se si trovano a bordo del veicolo ma non lo conducono, come esige lo stesso art. 129, comma 1, i soggetti di cui all'art. 2054, comma 3, e all'art. 91 C.d.S., comma 2, (cioè, in definitiva, i soggetti che hanno verosimilmente stipulato il contratto assicurativo, fuori del caso che esso sia stato stipulato da un soggetto che non abbia la disponibilità del veicolo a favore di quello che abbia tale disponibilità secondo i titoli indicati dall'art. 2054, comma 3, ed ora dall'art. 91 C.d.S., comma 2).

Naturalmente se si condivide un'opzione di lettura della parola "trasportato" nel senso di ritenerla allusiva solo a chi si faccia trasportare da altri e non anche a chi conduca il veicolo e trasporti se’ stesso, delle argomentazioni appena svolte non vi sarebbe necessità.

9.2. Dalla ricognizione appena svolta emerge che, se le previsioni delle norme rassegnate debbono essere assunte a fondamento dell'esercizio di un'azione in giudizio, chi fa valere un diritto risarcitorio per danni alla persona adducendo di essere stato "trasportato" ai sensi dell'art. 122 del C.d.A., comma 2, contro l'assicuratore del veicolo su cui si trovava trasportato, sia ai sensi dell'art. 141 (caso di scontro con altro veicolo), sia ai sensi dell'art. 144 (sinistro che abbia coinvolto solo il veicolo trasportante), deve dedurre, secondo la consueta rilevanza della fattispecie normativa astratta da cui ritenga originare il diritto azionato, una fattispecie costitutiva concreta, cioè un fatto storico, nelle cui note descrittive deve necessariamente sussistere la deduzione di essere stato a bordo del veicolo in una posizione diversa da quella di conducente.

Ai sensi dell'art. 163 c.p.c., n. 4, vertendosi in tema di diritto c.d. eterodeterminato, l'atto introduttivo dovrà indicare i "fatti costituenti... le ragioni della domanda", cioè i fatti storici che assumano la qualità di fatti costitutivi del diritto azionato e fra essi dovrà indicare in che posizione l'attore preteso trasportato si trovava sull'autovettura e, dunque, in positivo una posizione diversa da quella di conducente.

Di tale allegazione egli assumerà certamente l'onere della prova, non essendovi alcuna previsione normativa che sposti sull'assicurazione convenuta la prova del fatto positivo della conduzione da parte di chi si dica trasportato.

Analogamente, ove - come nella specie che si giudica - il preteso trasportato sia venuto a mancare nel sinistro ed agiscano i suoi prossimi congiunti ed eredi lamentando il danno derivante dalla morte a causa del sinistro ed eventualmente un danno iure hereditatis, gli attori dovranno indicare in positivo fra le ragioni della domanda l'essere stato il de cuius in una posizione a bordo del veicolo diversa da quella di conducente.

Essendo la posizione diversa da quella di conducente un fatto costitutivo della domanda, l'onere della prova della sua esistenza è a carico dell'attore (trasportato) o dei suoi eredi. Non si tratta di un onere della prova riferito ad un fatto negativo, quello della non conduzione del veicolo, bensì dell'onere della prova di un fatto positivo, inerente alla posizione occupata sul veicolo diversa da quella di conducente dello stesso (cioè di soggetto alla guida al momento del sinistro o di soggetto che aveva compiuto l'ultima manovra di guida rilevante in funzione della circolazione prima del sinistro (e dunque anche della sosta, che è manovra inerente alla circolazione), naturalmente come causalmente determinativa dello stesso).

E' evidente che il detto onere di allegazione e prova implica anche la deduzione del fatto positivo dell'esservi stato altro soggetto in posizione di conducente (nel senso appena detto).

9.3. Va considerata a questo punto l'evenienza in cui si alleghi, da parte del preteso trasportato o da chi per lui, la circostanza che a bordo del veicolo vi fosse il soggetto che aveva la disponibilità giuridica del veicolo sinistro o un soggetto cui quello aveva concesso la disponibilità di fatto del veicolo (si pensi al proprietario del veicolo assicurato, che abbia prestato il veicolo ad altri, sia esso un familiare o un terzo).

In questi casi, chi agisce come trasportato o i suoi prossimi congiunti ed eredi hanno certamente, nell'indicare i fatti costituenti le ragioni della domanda, l'onere di allegare se quel soggetto era a bordo anche lui come trasportato ed un altro soggetto conducesse il veicolo oppure se conducesse lui il veicolo.

Nel caso di allegazione della fattispecie concreta come occorsa in questo secondo senso, ci si deve interrogare su che cosa debba accadere qualora, come nel caso di cui è processo, rimanga, all'esito dell'istruzione, oscuro chi conducesse il veicolo e ciò, naturalmente, nell'ultimo momento in cui risulti una manovra riconducibile alla nozione di circolazione, ivi compresa la sosta (si pensi anche al caso in cui tutti gli occupanti del veicolo siano deceduti e lo stesso veicolo sia stato distrutto completamente sì che non sia possibile comprendere chi lo guidava e nemmeno raggiungere tale prova attraverso altre prove non relative alle sua condizioni; oppure al caso in cui tutti gli occupanti siano deceduti e siano stati sbalzati fuori dal veicolo e, tuttavia, la loro posizione e le condizioni del veicolo non consentano di stabilire chi guidasse e parimenti tale prova non sia conseguibile aliunde; oppure ancora al caso in cui il preteso trasportato sia sopravvissuto al sinistro e tutti gli altri no e nelle situazioni descritte risulti impossibile accertare chi fosse conducente, avendo naturalmente addotto il trasportato di essere stato a bordo in una posizione diversa da quella di conducente).

Simili situazioni possono, peraltro, anche apparire esistenti già al momento dell'introduzione del giudizio, qualora le emergenze del fatto storico siccome percepibili e deducibili in sede di proposizione della domanda, cioè in limine litis, siano proprio quelle ipotizzate, cioè non rivelino chi conducesse il veicolo, ma, naturalmente rivelino la presenza del titolare o di chi aveva da lui ricevuto sì da essere in questi termini deducibili. In questi casi chi introduce il giudizio facendo valere iure proprio e/o iure hereditatis danni derivanti dalla perdita del preteso trasportato si trova di fronte ad un fatto storico, il sinistro, che già nelle note in cui sia stato percepibile come accadimento e, dunque, risulti deducibile ed allegabile con la domanda giudiziale, non permette di stabilire chi conducesse il veicolo e dunque se lo conduceva il titolare della disponibilità dello stesso o colui al quale egli lo aveva affidato, sulla cui presenza a bordo al contrario non vi sia, naturalmente, alcuna incertezza.

In tutti questi casi, va considerato che, secondo l'id quod plerumque accidit, l'esistenza di una situazione di certezza sulla presenza a bordo (a) del soggetto che aveva la disponibilità del veicolo e, naturalmente, di una altrettale certezza, sia circa il fatto che egli si trovasse nella condizione di idoneità legale a condurre il veicolo (cioè avesse la "patente di guida" in corso di validità), sia circa il fatto che non si trovasse in condizioni fisiche tali da non poter guidare il veicolo, ovvero (b) di un soggetto che da quello titolare della disponibilità del veicolo l'aveva di fatto ricevuta (trovandosi nelle condizioni legali e di fatto necessarie per poter guidare), si presta senza dubbio a giustificare un'inferenza necessaria.

Ciò, tanto quando la situazione oscura circa la conduzione, percepibile ab origine e prospettata all'atto della introduzione del giudizio sia rimasta tale all'esito dell'istruzione (di modo che non risulti in concreto chi fosse alla guida o avesse compiuto l'ultima manovra rilevante per la circolazione), quanto, là dove, in presenza di allegazioni positive poste a fondamento dell'azione, con cui il preteso trasportato o chi per lui abbia dedotto la conduzione del titolare o del soggetto affidata rio offrendola alla verifica in giudizio, parimenti l'istruzione non abbia consentito di accertare positivamente chi conducesse il veicolo.

In entrambi i casi, il dato certo che a bordo vi fosse il titolare (in condizioni legali e di fatto di abilità alla guida) o colui (in condizioni legali e di fatto di abilità alla guida) che risulti avere avuto in affidamento da lui il veicolo, si presta a far desumere un'inferenza giustificata ai sensi dell'art. 2729 c.c., comma 3.

L'inferenza è nel senso che è da presumere che chi conduceva il veicolo dovesse essere proprio quel soggetto.

E' questa una presunzione, certamente hominis, che però è giustificata dal fatto noto che, quando a bordo del veicolo vi sia chi ne abbia la disponibilità (e l'idoneità legale e di fatto alla guida) o colui (provvisto di idoneità legale e di fatto alla guida) cui costui abbia conferito la disponibilità del veicolo, e l'una o l'altra circostanza siano certe (e così quella idoneità), si deve ritenere, secondo i criteri di gravità e precisione, che sia stato quel soggetto, data l'accertata relazione con la disponibilità del veicolo e dunque della possibilità di condurlo a condurlo, cioè a rivestire la posizione di conducente, nell'ultima manovra inerente alla sua circolazione. La ragione è che, in presenza di certezza su quel dato (disponibilità del veicolo ed anche di idoneità a condurlo), risponde ad eccezione rispetto alla normalità che il soggetto in questione non conducesse il veicolo. Sicché, mancando la prova di tale eccezione, si deve, secondo i caratteri della gravità e precisione, reputare che quel soggetto fosse conducente al momento del sinistro o comunque nel momento della circolazione causalmente rilevante per la sua causazione.

Per l'ipotesi, che è quella di cui è processo, che fosse a bordo il titolare, è palese che il suo essere a bordo del veicolo ed idoneo alla guida legalmente e di fatto è una circostanza, un fatto certo che deve essere apprezzato come inducente l'essere stato alla guida, tanto più se si tiene conto che addirittura sul piano normativo la sua posizione di titolare della disponibilità del veicolo assegnava a lui o assegnava ai suoi eredi (se lui sia mancato) comunque l'onere di provare che la circolazione del veicolo fosse avvenuta contro la sua volontà (art. 2054 c.c., comma 3), circostanza che, peraltro, potrebbe dirsi non automaticamente esclusa dal fatto di trovarsi a bordo del veicolo (si pensi al caso in cui il trovarsi a bordo sia stato determinato da costrizione). In questo caso, la presenza di questo onere probatorio normativo, rafforza ulteriormente sebbene ad abundantiam l'anzidetto ragionamento presuntivo.

Ma anche nell'ipotesi in cui a bordo risulti pacifico che vi sia stato il soggetto cui il veicolo era stato affidato dal titolare e, dunque, colui al quale era stata affidata la conduzione, la certezza in senso positivo su tale circostanza (e sulla sua idoneità legale e di fatto alla guida), cioè su chi rivestiva la posizione di conducente in un momento anteriore al sinistro, nell'impossibilità di accertare in positivo, cioè in via diretta, se questa situazione di conduzione fosse persistita fino al momento finale della circolazione rilevante ai fini della causazione del sinistro stesso, si presta, secondo i canoni normativi dell'art. 2729 c.c., a dover essere apprezzata come fatto induttivo della conseguenza che la conduzione vi fosse stata fino a quel momento.

In entrambi i casi, per superare le indicate inferenze sono, cioè, necessari elementi positivi rivelatori della cessazione della conduzione.

In mancanza di essi, secondo i criteri della gravità e precisione evocati dall'art. 2729 c.c., comma 3, l'inferenza appare ineludibile.

Le svolte considerazioni evidenziano, cioè, situazioni nelle quali il fatto storico per come accertato all'esito del giudizio deve essere apprezzato secondo i canoni di cui all'art. 2729 c.c., nel senso descritto.

Il giudice di merito che non lo apprezzi in questo senso incorre in una falsa applicazione dell'art. 2729 c.c., in ordine al punto relativo all'accertamento del fatto della conduzione del veicolo, poiché la veste di conducente deve essere attribuita al titolare della disponibilità del veicolo o a colui cui egli l'avesse affidata, giacché la presenza a bordo del titolare o di un soggetto cui questi aveva affidato il veicolo (ripetesi sempre, idoneo legalmente e di fatto alla guida), si deve apprezzare, secondo i caratteri della gravità e precisione, come fatto idoneo a giustificare la conseguenza che lo stesso soggetto fosse alla guida al momento del sinistro e comunque della circolazione causalmente rilevante per la sua verificazione.

Il giudice di merito che non ritenga l'inferenza nel senso descritto incorre in un vizio di sussunzione, perché nelle descritte situazioni il fatto per come da lui accertato impone quella conclusione e, dunque, si rifiuta od omette di applicare l'art. 2729 c.c., comma 3.

Si può dunque, affermare - rimanendo al caso di specie - che, allorquando un'azione risarcitoria venga esercitata contro l'assicuratore per la r.c.a, deducendo la morte di un soggetto che risulti essere stato a bordo di un veicolo in una situazione nella quale sia certo che a bordo di esso vi era anche il soggetto che aveva la disponibilità giuridica del veicolo stesso e che era idoneo sul piano legale e di fatto alla guida oppure un soggetto parimenti idoneo in questi due sensi, cui chi aveva quella disponibilità l'abbia affidata, qualora, all'esito dell'istruzione, risulti impossibile accertare positivamente chi conduceva il veicolo al momento del sinistro o comunque nell'ultima manovra inerente alla sua circolazione, si deve ritenere che conducente alla stregua dell'art. 2729 c.c., comma 1, fosse il titolare della disponibilità giuridica del veicolo o colui al quale egli l'aveva affidata in fatto. Ne consegue che a favore di chi abbia agito per il risarcimento del danno deducendo di essere stato a bordo del veicolo come terzo trasportato o a favore degli eredi che agiscano per il caso che egli sia venuto a mancare nel sinistro e abbiano dedotto la sua presenza come terzo trasportato, qualora risulti accertata la dedotta presenza a bordo del titolare o dell'affidatario (provvisti di idoneità legale di fatto alla guida), si deve ritenere raggiunta la prova dell'essere stato quel soggetto un terzo trasportato.

Analogo principio va affermato nel caso in cui già il fatto storico ab origine, cioè come deducibile e dedotto da chi agisce, non riveli chi era alla guida del veicolo al momento della verificazione del sinistro o nell'ultima manovra circolatoria causalmente rilevante, ed all'esito dell'istruzione risulti confermata l'impossibilità di accertare positivamente chi conducesse il veicolo in quel momento.

Del primo principio può avvalersi anche il trasportato sopravvissuto al sinistro, che agisca adducendo di essere stato terzo trasportato: egli può invocare la suddetta presunzione e se essa, all'esito dell'istruzione, non venga smentita, dovrà ritenersi che conducente fosse il titolare della disponibilità del veicolo o colui cui il veicolo da detto titolare fosse stato affidato.

Applicando tali principi alla vicenda di cui è processo per come accertata in fatto dalla sentenza impugnata, ne consegue che, di fronte all'accertata impossibilità di individuare positivamente se, al momento del parcheggio in sosta del veicolo, ultima manovra inerente alla circolazione, guidasse il de cuius oppure la proprietaria del veicolo (e, dunque, il soggetto che aveva la disponibilità giuridica di esso e la idoneità legale e di fatto alla guida: su quest'ultima circostanza non constano, infatti, in alcun modo elementi contrari), la Corte d'Appello di (Omissis) avrebbe dovuto considerare come terzo trasportato il de cuius, dovendosi presumere che la presenza a bordo della proprietaria inducesse la conclusione che la stessa fosse stata conducente del veicolo in quella manovra.

Il non avere proceduto in tal senso evidenzia un errore di sussunzione per la mancata applicazione di una presunzione che, dunque, avrebbe dovuto indurre a qualificare il de cuius come terzo trasportato e la (sventurata) (Soggetto 2) come conducente.

Il rilievo di tale mancata applicazione di un ragionamento presuntivo avviene da parte di questa Corte sulla sola base del fatto come accertato dalla corte territoriale e, dunque, non implica alcuna rivalutazione ricostruttiva dello svolgimento della vicenda in fatto, ma è espressione di sindacato in iure per non avere quella corte sussunto il fatto come da essa accertato alla stregua dell'art. 2729 c.c., per inferire la decisiva conseguenza dell'individuazione di chi fosse conducente al momento dell'ultima manovra rilevante come circolazione, cioè la sosta.

Ne consegue la cassazione della sentenza perché essa, sulla base del fatto per come accertato, avrebbe dovuto rilevare l'esistenza di detta presunzione. Il giudice del rinvio considererà conducente rispetto all'ultima manovra di sosta la (Soggetto 2) e, dunque, riterrà l'(Soggetto 1) terzo trasportato.

10. La sentenza è, dunque, cassata in accoglimento nei termini indicati dei primi tre motivi. Il quarto motivo può dirsi assorbito.

Va disposto il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di (Omissis), che si conformerà ai principi di diritto sopra esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso per quanto di ragione. Dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di (Omissis), comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, a seguito di riconvocazione via Teams nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 17 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2022.

 

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