Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Civile, Sezione sesta - sottosezione 2, ordinanza n. 30430 del 17 ottobre 2022
Corte di Cassazione Civile, Sezione VI - 2, ordinanza numero 30430 del 17/10/2022
Circolazione Stradale - Art. 58, 94 e 114 del Codice della Strada - Macchine operatrici e macchine operatrici semoventi - Destinazione o meno alla circolazione - Compravendita - In fase di compravendita, la distinzione tra macchine operatrici destinate alla circolazione e macchine operatrici semoventi non destinate alla circolazione non appare rilevante in quanto, per entrambe le tipologie di macchinari, la normativa prevede la registrazione presso un ufficio provinciale della motorizzazione civile con l'indicazione dei dati del proprietario e il rilascio di una certificazione di avvenuta registrazione, nonché prevede la comunicazione dei trasferimenti di proprietà e, pertanto, una semplice attività di verifica del pubblico registro o della carta di circolazione farebbe emergere eventuali incongruenze circa la proprietà del mezzo.
PREMESSO IN FATTO
CHE:
1. La Società (Soggetto 1) Spa ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli che, in riforma di sentenza del Tribunale di (Omissis), ha accolto l'azione di rivendicazione della proprietà di una macchina operatrice (escavatore), rigettando l'eccezione della convenuta di acquisto della proprietà della stessa a non domino ai sensi dell'art. 1153 c.c..
2. (Soggetto 2) Costruzioni Srl in Liquidazione ha resistito con controricorso.
3. Su proposta del relatore, ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., comma 4, e art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ha ravvisato la manifesta inammissibilità o infondatezza del ricorso il Presidente ha fissato con decreto l'adunanza della Corte per la trattazione della controversia in camera di consiglio nell'osservanza delle citate disposizioni.
Sono state depositate memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1153 e 1147 c.c., nonché del D.M. n. 247 del 1988, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dolendosi dell'erronea qualificazione dell'escavatore come bene mobile registrato, con conseguente esclusione della buona fede della società acquirente.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5: la (Soggetto 1) si duole che la Corte d'Appello ha ritenuto provata la proprietà del macchinario da parte della (Soggetto 2) Srl, nonostante questa non avesse prodotto la necessaria documentazione probante.
2. Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.:
2.1 Il primo motivo è inammissibile.
La qualificazione del macchinario data dalla Corte d'Appello non è risultata rilevante ai fini del decidere, in quanto la Corte distrettuale ha escluso la buona fede dell'acquirente ai sensi dell'art. 1153 c.c. sulla base di considerazioni rispetto alle quali la distinzione tra macchine operatrici destinate alla circolazione e macchine operatrici semoventi non destinate alla circolazione (alle quali ultime apparterrebbe, secondo la ricorrente, l'escavatore per cui è causa), non appare rilevante.
Infatti, anche per tale ultima tipologia di macchinari il D.M. n. 247 del 1988, art. 5 prevede, tramite il rinvio al D.M. citato, artt. 2 e 3 la registrazione presso un ufficio provinciale della motorizzazione civile con l'indicazione dei dati del proprietario e il rilascio di una certificazione di avvenuta registrazione, nonché prevede la comunicazione dei trasferimenti di proprietà. Orbene, la Corte d'Appello non ha ritenuto sussistente la buona fede richiesta dall'art. 1153 c.c. per il perfezionamento dell'acquisto a non domino, atteso che la società acquirente avrebbe dovuto curare la compravendita del mezzo con maggiore diligenza, eseguendo quel minimo di controlli che il regime di pubblicità del veicolo, ancorché meramente dichiarativa, le avrebbero consentito, ciò anche in considerazione del rilievo economico dell'operazione. Tali argomentazioni non risultano attinte da alcuna specifica censura da parte della ricorrente, la quale si limita a dolersi dell'erronea qualificazione del mezzo come bene registrato, nonché del fatto che il regime di pubblicità del macchinario avrebbe valore solo dichiarativo, e non costitutivo.
2.2 II secondo motivo è inammissibile in quanto non risulta che la ricorrente abbia contestato nelle fasi di merito il diritto di proprietà dell'attrice sul mezzo, essendosi piuttosto limitata a chiedere l'applicazione dell'art. 1153 c.c. per l'acquisto (pacificamente) a non domino che ne aveva fatto, sul presupposto che "tanto la società attrice che la società convenuta erano state evidentemente vittime di una truffa ordita dal (Soggetto 3)" (così a pag. 2 di sentenza).
3. Il Collegio condivide la proposta del Relatore.
4 Entrambe le parti hanno depositato memoria insistendo nelle rispettive richieste.
5. In particolare, la memoria della società ricorrente non aggiunge alcun argomento tale da indurre il Collegio ad una modifica delle conclusioni indicate nella proposta.
Come evidenziato nella suddetta proposta, infatti, la Corte d'Appello di Napoli ha ritenuto non sussistente, al momento della consegna del mezzo, la buona fede richiesta dall'art. 1153 c.c. per il perfezionamento dell'acquisto della proprietà mediante il possesso.
La buona fede che rileva, ex art. 1153 c.c., ai fini dell'acquisto della proprietà di beni mobili "a non domino", corrisponde a quella di cui all'art. 1147 c.c., sicché, ai sensi del comma 2 di quest'ultima norma, essa non è invocabile da chi compie l'acquisto ignorando di ledere l'altrui diritto per colpa grave, che ricorre quando quell'ignoranza sia dipesa dall'omesso impiego, da parte dell'acquirente, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l'idoneità dell'acquisto a determinare la lesione dell'altrui diritto, poiché "non intelligere quod omnes intellegunt" costituisce un errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di buona fede. (Sez. 2 -, Sentenza n. 1593 del 20/01/2017, Rv. 642469 - 03).
Nella specie il Giudice del gravame, in conformità con tale principio di diritto, ha valorizzato l'elevato valore commerciale dell'escavatore oltre alla circostanza che lo stesso è soggetto a trascrizione anche se a fini solo dichiarativi, ma con annotazione sulla carta di circolazione. Escavatore, peraltro, acquistato mediante una mera compensazione della fattura n. 142 del 2011 emessa dalla venditrice con la fattura n. 2014 emessa dall'acquirente. In sostanza, una semplice attività di verifica del pubblico registro o della carta di circolazione avrebbe fatto emergere le incongruenze circa la proprietà del mezzo che la ricorrente si accingeva ad acquistare. Pertanto, l'acquisto operato dalla società (Soggetto 1) è stato ritenuto quantomeno incauto e certamente non assistito dalle sia pur minime cautele imposte dalle regole di ordinaria diligenza con conseguente insussistenza dei presupposti di cui all'art. 1153 c.c..
In proposito deve ribadirsi che: il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede importa un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da esauriente motivazione e ispirato a esatti criteri giuridici (Sez. 2, Ord. n. 22585 del 2019).
Infine, quanto alla censura di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. sulla prova della proprietà dell'escavatore da parte dell'attrice che aveva agito in rivendica, la Corte d'Appello ha evidenziato la sussistenza della prova dell'acquisto del bene da parte di (Soggetto 2) Costruzioni, prova costituita dalla fattura attestante il pagamento della quota di riscatto dell'escavatore oggetto di un precedente contratto di leasing. La censura proposta pertanto è inammissibile risolvendosi espressamente nella richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla "valutazione delle prove" (Cass. n. 11892 del 2016, Cass. S.U. n. 16598/2016). Inoltre, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 - 02).
6. La Corte dichiara inammissibile il ricorso (cfr. Sez. U Sentenza n. 7155 del 21/03/2017 Rv. 643549).
7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
8. Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente che liquida in Euro 3.800,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 22 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2022.
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