Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 16816 del 4 maggio 2021
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 16816 del 04/05/2021
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza alcolica - Rifiuto di sottoporsi all'accertamento strumentale - Avviso di farsi assistere dal difensore - Nella guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l'esecuzione dell'"alcoltest" non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all'accertamento, in quanto la presenza del difensore è funzionale a garantire che l'atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di (Omissis) ha condannato (Soggetto 1) alla pena di mesi sei di arresto ed Euro millecinquecento di ammenda in relazione al reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7 (rifiuto di sottoporsi ai controlli volti all'accertamento del tasso alcolemico, disposti perché era stato trovato alla guida di auto Mercedes con sintomi di ebbrezza alcolica - in (Omissis)).
Come emerso dalla deposizione testimoniale dell'App. (Soggetto 2), in servizio presso la stazione c.c. di (Omissis), i militari erano stati inviati su strada dal Comandante della Stazione, a seguito della segnalazione telefonica di un automobilista intento alla guida della presenza di un'autovettura che procedeva zigzagando sulla strada.
Il conducente, più volte invitato a scendere dal mezzo inizialmente si rifiutava di farlo, e dopo essere sceso evidenziava uno stato di palese alterazione psico-fisica, non essendo in grado di reggersi in piedi, assumendo un'andatura barcollante ed emanando un forte alito vinoso. I militari chiedevano più volte se lo stesso intendesse sottoporsi ad alcoltest, ma lo stesso si rifiutava.
Il Tribunale ha ritenuto che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, non ricorre l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, avendo l'imputato opposto un netto rifiuto all'accertamento.
2. Il P., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p., artt. 354 e 356 c.p.p..
Si deduce che il P., con l'atto di opposizione a decreto penale, aveva tempestivamente dedotto la nullità dell'intera procedura di accertamento del tasso alcolemico, per non aver ricevuto l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore ex art. 114 disp. att. c.p.p.. Tale avviso deve essere rivolto dagli organi di P.G. nel momento in cui è avviata la procedura di accertamento strumentale dell'alcolemia.
2.2. Violazione dell'art. 7 CEDU. Si osserva che il sistema delle garanzie delineato dall'art. 114 disp. att. c.p.p., artt. 354 e 356 c.p.p., scatta nel momento in cui la P.G. procede agli accertamenti strumentali, indifferibili ed urgenti, del tasso alcolemico del conducente di un autoveicolo.
La sentenza impugnata ha volutamente ignorato l'orientamento univoco della Corte di Cassazione, in violazione dell'art. 7 CEDU, secondo cui, per effetto dell'esplicito riferimento al diritto (law) e non soltanto alla legge, la giurisprudenza di Strasburgo inglobava nel concetto di legalità il diritto di produzione legislativa e giurisprudenziale.
2.3. Nella memoria di replica alla requisitoria scritta del Procuratore Generale, la difesa prende atto della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale presso questa Corte in tema di necessità o meno di disporre l'avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia per l'espletamento dell'alcoltest in caso di rifiuto di sottoporsi all'accertamento.
Si rileva, tuttavia, che l'eventuale rigetto del ricorso, sulla scorta dell'avvenuto, imprevedibile e repentino mutamento di indirizzo giurisprudenziale costituirebbe un evidente overruling giurisprudenziale in malam partem, in spregio dell'art. 7 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza di Strasburgo, e dei principi affermati dalla Corte di Cassazione a Sez. Unite (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, B., Rv. 246651 e Corte Cost. n. 364 del 1988).
Per tali ragioni, si insiste per l'accoglimento della tesi favorevole all'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. In ordine al primo motivo di ricorso, va premesso che sulla questione prospettata dalla difesa vi sono due orientamenti giurisprudenziali.
2.1. In base ad un primo filone interpretativo, in tema di guida in stato di ebbrezza, l'avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore, ex art. 114 disp. att. c.p.p., deve essere rivolto al conducente del veicolo nel momento in cui venga avviata la procedura di accertamento strumentale dell'alcolemia con la richiesta di sottoporsi al relativo test, sì che tale obbligo opera anche nel caso in cui l'interessato rifiuti poi di sottoporsi all'accertamento (Sez. 4, n. 13493 del 22/01/2020, D., Rv. 279003; Sez. 4, n. 5314 del 08/11/2019, dep. 2020, S., Rv. 278621; Sez. 4, n. 10081 del 14/02/2019, V., non massimata sul punto; Sez. 4, n. 57354 del 11/10/2018, R. M., non massimata; Sez. 4, n. 14651 del 21/02/2018, C., non massimata; Sez. 4, n. 34383 del 06/06/2017, E., Rv. 270526; Sez. 4, n. 49236 del 3/11/2016, M., non massimata).
Tale principio è affermato sul presupposto che il sistema di garanzie delineato dal combinato disposto dell'art. 114 disp. att. c.p.p. e art. 354 c.p.p., scatta nel momento in cui la polizia giudiziaria procede all'accertamento in via strumentale, che ha natura indifferibile e urgente, del tasso alcolemico, ovvero richieda alla struttura sanitaria di sottoporre il conducente ai prelievi necessari alla verifica dello stato di ebbrezza.
La verifica tecnica, dunque, prende avvio con la richiesta di sottoporsi al test strumentale ovvero alle analisi cliniche e, in tale scansione, l'avvertimento del diritto all'assistenza del difensore costituisce presupposto necessario della relativa procedura, indipendentemente dall'esito della stessa e delle modalità con le quali il test venga concretamente effettuato. Solo il conducente ritualmente avvisato della facoltà di avvalersi di un'assistenza difensiva, potrà poi determinarsi al rifiuto dell'accertamento e realizzare così la condotta prevista dalla fattispecie incriminatrice.
2.2. In base ad un secondo indirizzo giurisprudenziale, l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l'attuazione dell'"alcoltest" non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all'accertamento, in quanto la presenza del difensore è funzionale a garantire che l'atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini (Sez. 4, n. 34753 del 12/11/2020, E., non massimata; Sez. 4, n. 29939 del 23/09/2020, M., Rv. 280028; Sez. 4, n. 34355 del 25/11/2020, C., Rv. 279920; Sez. 4, n. 4896 del 16/01/2020, L., Rv. 278579; Sez. 4, n. 40275 del 19/07/2019, J., non massimata; Sez. 4, n. 29275 del 12/06/2019, C., non massimata; Sez. 4, n. 34470 del 13/05/2016, P., Rv. 267877; Sez. 4, n. 25534 del 20/02/2019, R., non massimata; Sez. 4, n. 43845 del 26/09/2014, L., Rv. 260603).
La norma di cui all'odierna imputazione sanziona proprio il rifiuto. L'avvertimento di cui all'art. 114 disp. att. c.p.p., è previsto nell'ambito del procedimento volto a verificare la presenza dello stato di ebbrezza e l'eventuale presenza del difensore è volta a garantire che il compimento dell'atto in questione, in quanto atto a sorpresa e non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini.
Il procedimento, in altri termini, è certamente in corso, allorquando si registra il rifiuto dell'interessato di sottoporsi all'alcooltest. Nel momento stesso del rifiuto, è integrato il fatto reato sanzionato dall'art. 186 C.d.S., comma 7. E non v'è più nessun atto da compiere per il quale vada dato l'avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p., norma che si riferisce specificamente all'atto e non al procedimento.
Il quadro normativo di riferimento è costituito dall'art. 114 disp. att. c.p.p., artt. 356 e 354 c.p.p..
L'art. 114 disp. att c.p.p. ("Avvertimento del diritto all'assistenza del difensore") così recita: "Nel procedere al compimento degli atti indicati dall'art. 356 c.p.p., la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia".
L'art. 356 c.p.p. ("Assistenza del difensore") prevede che "(Il) difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli artt. 352 e 354 (...)".
L'art. 354 c.p.p. ("Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro"), detta disposizioni per la eventualità di un pericolo di ritardo per tali accertamenti, demandati, a specifiche condizioni, alla iniziativa della polizia giudiziaria.
Ebbene, "nel procedere al compimento degli atti" l'art. 114 disp. att. c.p.p., indica chiaramente che ci si accinge a compiere l'atto, che nel caso in esame è quello di rilevazione dell'alcolemia a mezzo di etilometro. Tuttavia, se ci si sta apprestando a compiere l'atto, significa che l'interessato vi acconsente. Il rifiuto eventuale - e con esso il reato istantaneo di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7 - viene prima.
In altri termini, ad avviso di questo Collegio, va affermato con chiarezza che l'avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p., presume la riscontrata volontà dell'interessato di sottoporsi al controllo. Peraltro, ove si ritenesse che, se l'imputato fosse stato reso edotto della facoltà di farsi assistere, reperito in tempo reale un legale, su consiglio di questi non avrebbe ricusato l'accertamento, si verserebbe in un ambito manifestamente congetturale, incompatibile col precetto di legge, che impone l'avvertimento solo allorquando debba farsi luogo al test.
3. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, deve precisarsi che il principio nullum crimen nulla poena sine lege convenzionale ha trovato specificazione in una pronuncia del 14/04/2015 Contrada c/o Italia della Corte EDU. A prescindere dalle peculiarità di quella decisione (intervenuta in tema di concorso esterno ad associazione per delinquere di tipo mafioso, sul presupposto che tale delitto fosse istituto di creazione giurisprudenziale, consolidatosi mediante pronunce successive ai fatti contestati al condannato, e non invece frutto della generale funzione incriminatrice dell'art. 110 c.p., come peraltro testualmente confermato dalla previsione di cui all'art. 418 c.p. (Sez. 2, n. 18132 del 13/04/2016, T., Rv. 266908; Sez. 5, n. 42996 del 14/09/2016, C., Rv. 268203)), pare comunque utile un richiamo ai principi di carattere generale, coi quali il giudice sovranazionale ha ribadito la necessità che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Tale requisito, infatti, è "soddisfatto se la persona sottoposta a giudizio può sapere, a partire dal testo della disposizione pertinente, se necessario con l'assistenza dell'interpretazione che ne viene data dai tribunali e, se del caso, dopo aver avuto ricorso a consulenti illuminati, per quali atti e omissioni le viene attribuita una responsabilità penale e di quale pena è passibile per tali atti... compito della Corte è, in particolare, quello di verificare che, nel momento in cui un imputato ha commesso l'atto che ha comportato l'esercizio dell'azione penale e la condanna, esistesse una disposizione di legge che rendeva l'atto punibile, e che la pena inflitta non eccedesse i limiti fissati da tale disposizione (Corte Edu, sentenza 22 giugno 2000, C. c. Belgio, p. 145; A. c. Francia (GC), n. 67335/01, p. 43, CE-DU 2006 IV)".
La Corte di Strasburgo, tuttavia, ha precisato che la valutazione e la qualificazione giuridica dei fatti resta appannaggio esclusivo dei giudici nazionali, "purché queste si basino su un'analisi ragionevole degli elementi del fascicolo (vedi mutatis mutandis, F. I. c. Romania, n. 24916/05, p. 59, 24 maggio 2011)", poiché l'"art. 7 p. 1 esige che la Corte esamini se la condanna del ricorrente si fondasse all'epoca su una base legale. In particolare, essa deve assicurarsi che il risultato al quale sono giunti i giudici nazionali competenti fosse conforme con l'art. 7 della Convenzione" e "se la condanna del ricorrente si fondasse su una base sufficientemente chiara".
Ricondotto il principio invocato all'interno dei binari tracciati dalla Corte EDU, deve escludersi che ricorra nella fattispecie una violazione dell'art. 7 CEDU. Innanzitutto, va preliminarmente osservato che l'interpretazione dell'art. 186 C.d.S., comma 7, prospettata nella presente sede è letterale e logica nonché conforme a quella fornita dalla giurisprudenza tradizionale e prevalente. Non si tratta, pertanto, di un tema inedito, ma anzi, affrontato da tempo e risolto prevalentemente in senso conforme alla soluzione prescelta, per cui deve escludersi che la fattispecie criminosa sia patologicamente indeterminata. L'interpretazione più sfavorevole è razionalmente correlabile al significato letterale della norma, nel rispetto del principio di legalità, anche convenzionale (Sez. 5, n. 42996 del 14/09/2016, C., Rv. 268203), secondo una lettura conforme al principio di ragionevolezza (Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Casini, non massimata sul punto).
Non appaiono pertinenti i richiami difensivi alle seguenti sentenze: a) Sez. U., n. 18288 del 21/01/2010, B.i, Rv. 246651, inerente ad una fattispecie diversa in tema di indulto; b) Corte Cost. n. 364 del 1988, relativa alla possibilità di configurare una causa di esclusione della colpevolezza in caso di contrasto giurisprudenziale sull'interpretazione di una disposizione incriminatrice, in quanto tale errore di diritto "scusabile" non era mai stato dedotto nei precedenti gradi di giudizio.
4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 c.p.p.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021.
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