Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 33760 del 11 luglio 2017
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 33760 del 11/07/2017
Circolazione Stradale - Art. 186 del Codice della Strada - Guida in stato di ebbrezza - Incidente stradale - Aggravante - Condizioni per la configurabilità - Nella guida in stato di ebbrezza alcolica sotto l'influenza dell'alcool, ai fini della configurabilità dell'aggravante di aver provocato un incidente stradale, deve intendersi per incidente qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione stradale, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l'avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli, rivelandosi sufficiente la dipendenza causale dell'incidente dalla condotta alla guida del conducente.
RITENUTO IN FATTO
1. (Soggetto 1), per il tramite del suo difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza con la quale, in data 30 novembre 2016, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la condanna alla pena di giustizia emessa a suo carico dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di (Omissis) in data 24 novembre 2014, all'esito di giudizio abbreviato, in relazione al reato di guida in stato d'ebbrezza, aggravato dall'orario notturno e dall'aver provocato un incidente (art. 186 C.d.S., comma 2, lett. C, commi 2-bis e 2-sexies), commesso in (OMISSIS).
2. Il ricorso consta di tre motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento all'applicazione della revoca della patente di guida e della confisca del veicolo, di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2-bis: di tali statuizioni si duole il ricorrente sul rilievo che, in base a un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, tali sanzioni non dovrebbero trovare applicazione nel caso di giudizio di bilanciamento dell'aggravante di cui al citato art. 186, comma 2-bis con circostanze attenuanti eventualmente concorrenti. Al riguardo, è ben vero che la revoca della patente e la confisca del veicolo sono qualificate come sanzioni amministrative accessorie; ma il loro contenuto afflittivo, sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (e in particolare dei c.d. criteri di Engel, enunciati nella nota sentenza della Corte E.D.U. Engel c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976), li rende assimilabili a sanzioni di carattere penale; con la conseguenza che le ridette sanzioni, laddove - come nella specie - vi sia stato giudizio di equivalenza tra l'aggravante di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2-bis e le circostanze attenuanti generiche, non devono trovare applicazione.
2.2. Con il secondo motivo l'esponente lamenta violazione di legge in riferimento alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 186, comma 2-bis, con conseguente applicazione delle suddette sanzioni amministrative accessorie: richiamando l'art. 133 C.d.S., che collegava l'aggravante al coinvolgimento di persone nel sinistro, nonché la rilevanza conferita all'incidente con danno alle persone dallo stesso art. 189 C.d.S., vigente, l'esponente sostiene che possa parlarsi di incidente solo nel caso in cui venga recato pregiudizio alla circolazione degli utenti della strada; ma non, come nella specie, qualora i danni siano limitati alla parte anteriore del veicolo dell'imputato e a generici danni ad un palo.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge per mancata pronunzia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.: secondo l'esponente, manca infatti la prova che il (Soggetto 1) fosse alla guida della sua autovettura, a nulla rilevando le dichiarazioni autoaccusatorie rese dall'imputato, nell'immediatezza e senza le garanzie di legge, agli agenti intervenuti, ben potendo essersi verificato che alla guida vi fosse una terza persona e che questa nel frattempo si fosse allontanata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato in tutte le doglianze in cui esso si articola.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, va premesso che il richiamo ai c.d. criteri di Engel nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo è del tutto inconferente: esso, invero, viene di regola rapportato al divieto del ne bis in idem nell'ampia accezione offerta dalla giurisprudenza della stessa Corte E.D.U. (come nel caso della sentenza G. S. e altri c. Italia, 4 marzo 2014); ovvero alla correlazione delle sanzioni accessorie a pronunzie diverse da quella di condanna (cfr. sentenze S. F. c. Italia, 20 gennaio 2009 e Varvara c. Italia, 29 ottobre 2013). Non, quindi, all'applicazione di sanzioni accessorie alle pene inflitte con la sentenza di condanna, come avvenuto nel caso di specie.
Nella giurisprudenza di legittimità è pacifico il principio in base al quale, in tema di guida in stato di ebbrezza, la revoca della patente di guida, prevista come obbligatoria per l'ipotesi aggravata in cui il conducente abbia causato un incidente stradale, deve essere disposta anche nel caso in cui, all'esito del giudizio di bilanciamento, sia stata riconosciuta l'equivalenza ovvero la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, non venendo meno per effetto del suddetto giudizio la sussistenza dei profili di particolare allarme sociale connessi alla sussistenza dell'indicata aggravante (Sez. 4, n. 7821 del 06/02/2015, L., Rv. 262446); per ragioni del tutto analoghe, anche la confisca dell'autoveicolo va applicata pur a fronte del giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno opposto.
2.1. Su un piano più generale, va osservato che il criterio distintivo tra pene accessorie e sanzioni amministrative accessorie è determinato dalla legge, che conferisce la rispettiva qualificazione giuridica alle une e alle altre: il tratto distintivo fondamentale è costituito dal fatto che le sanzioni amministrative accessorie sono applicate, oltreché dal giudice nei casi espressamente previsti, anche dall'autorità amministrativa competente, in relazione a determinate previsioni di legge.
La distinzione, tutt'altro che nominalistica, ha notevoli effetti ad esempio in tema di applicazione di pena su richiesta (art. 444 c.p.p. e ss.), in quanto, mentre la sentenza emessa a seguito di patteggiamento non comporta l'applicazione delle pene accessorie (come pure delle misure di sicurezza diverse dalla confisca: art. 445 c.p.p., comma 1), essa invece non ha alcun rilievo ostativo all'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, che è anzi prevista ope legis e che il giudice deve in ogni caso disporre (vedasi ad esempio Sez. 6, n. 12313 del 13/03/2012, V., Rv. 252563, in tema di confisca del veicolo in via amministrativa nel caso di sentenza patteggiata per reato di guida in stato di ebbrezza; Sez. 2, n. 49461 del 26/11/2013, C., Rv. 257871, in tema di sospensione della patente di guida; Sez. 4, n. 8022 del 28/01/2014, G., Rv. 258622, in tema di revoca della patente di guida).
2.2. Il fatto che tale categoria di sanzioni sia sottratta al giudizio di bilanciamento tra circostanze si spiega, perciò, con la peculiare natura delle sanzioni in esame, la cui irrogazione da parte del giudice - anziché da parte dell'autorità amministrativa - costituisce una mera modalità applicativa, riferita alla concomitante pronunzia di condanna per determinati reati. Ne discende, quale corollario, il principio in base al quale l'applicazione ope legis delle sanzioni amministrative accessorie è indifferente alle modalità applicative delle sanzioni principali, atteso che, in conseguenza del verificarsi dei presupposti di legge per la loro applicazione, assume carattere preminente la finalità retributiva connessa alla gravità della violazione (cfr., per un esempio, Sez. 4, n. 26111 del 16/05/2012, V., Rv. 253597). Di ciò è riprova il fatto che, anche nel caso di sospensione condizionate della pena (che si estende anche alle pene accessorie), trovano applicazione le sanzioni amministrative accessorie eventualmente previste, ivi comprese la revoca o sospensione della patente di guida e la confisca dell'autoveicolo nel caso di reati di guida in stato d'alterazione.
2.3. Perciò, le sanzioni amministrative accessorie della cui applicazione si duole il ricorrente trovano applicazione pur quando, come nella specie, sia stato operato giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno opposto, giudizio che non riverbera i suoi effetti sulle ridette sanzioni amministrative: per escludere le quali, quindi, sarebbe stato necessario escludere sul piano ontologico - e non solo bilanciare quoad poenam - la circostanza aggravante dell'aver provocato un incidente stradale.
3. Il secondo motivo di ricorso, riferito per l'appunto a quest'ultima circostanza aggravante, è parimenti manifestamente infondato.
Si ricorda che la nozione di sinistro stradale applicabile in relazione al reato de quo si identifica con quella delineata dalla Convenzione di Vienna dell'8 novembre 1968, secondo la quale costituisce sinistro stradale un evento verificatosi nelle vie o piazze aperte alla circolazione in cui rimangono coinvolti veicoli, esseri umani o animali fermi o in movimento e dal quale derivino lesioni a cose, animali, o a persone.
Nella giurisprudenza di legittimità, coerentemente con siffatta nozione, si è affermato che deve intendersi per incidente qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione stradale, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l'avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli (Sez. 4, n. 47276 del 06/11/2012, M., Rv. 253921).
3.1. Così chiarita la nozione in esame, vale il principio, affermato dalla Corte regolatrice, in base al quale, ai fini della configurabilità dell'aggravante in esame, è sufficiente la dipendenza causale dell'incidente dalla condotta alla guida del conducente (Sez. 4, n. 37743 del 28/05/2013, C., Rv. 256209): principio che va inteso nel senso che l'avere provocato un incidente è sempre conseguenza di una condotta inosservante di regole cautelari, siano esse quelle codificate dal Codice della strada (ossia le norme sulla circolazione stradale), siano esse quelle generali di prudenza, diligenza e perizia, tese in ogni caso a prevenire il verificarsi del sinistro medesimo.
È quindi evidente che, nel caso di specie, la condotta alla guida del (Soggetto 1) (il quale perse il controllo del furgone da lui condotto, andando a impattare contro un palo), ricade appieno nel paradigma dell'aggravante a lui contestata ex art. 186 C.d.S., comma 2-bis.
4. Infine, è manifestamente infondato anche il terzo e ultimo motivo di ricorso.
È pacifico e consolidato l'indirizzo giurisprudenziale in base al quale, nel giudizio abbreviato, sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perché l'art. 350 c.p.p., comma 7, ne limita l'inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (cfr. ex plurimis le recenti Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, F. e altro, Rv. 262192, e Sez. 2, n. 47580 del 23/09/2016, M., Rv. 26850).
Ciò posto, con riguardo all'ipotesi ventilata dal ricorrente di una terza persona che potrebbe avere condotto il veicolo al posto del (Soggetto 1), va ricordato che nell'ordinamento processuale penale è previsto a carico dell'imputato un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato medesimo è tenuto a fornire all'ufficio le concrete indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, S., Rv. 261657); ed è di palese evidenza che nel caso di specie tale onere non risulta assolto dall'odierno ricorrente, per tale non potendosi certamente qualificare la mera evocazione, in termini esplorativi, della semplice ipotesi di un altro soggetto, diverso dall'imputato, che potrebbe avere assunto nell'occorso la guida del furgone.
5. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017.
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