Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 25552 del 23 maggio 2017
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 25552 del 23/05/2017
Circolazione Stradale - Artt. 141 e 190 del Codice della Strada - Sinistro stradale - Norme sulla disciplina della circolazione stradale - Previsione eventuali imprudenze altrui - L'obbligo di moderare adeguatamente la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali, come una strada cittadina bagnata poco illuminata di sera e nei pressi di una fermata della metropolitana, deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza, ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella ragionevole prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente L. R. A., con sentenza del 29.6.2016, confermava la sentenza del GIP del Tribunale di Milano, emessa in data 24.7.2015, appellata dall'imputato, con condanna al pagamento delle spese del grado.
Il GIP del Tribunale di Milano, all'esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato L. R. A. responsabile dei seguenti reati:
A) del delitto p. e p. dall'art. 589 c.p., commi 1, 2 e 4 poiché cagionava, per colpa, la morte di più persone e cioè dei pedoni N. S. N. M., di anni 29, donna in stato di gravidanza, e E. G. G. O. R., di anni 5, avvenuta in seguito alle lesioni riportate nell'investimento da parte dell'autovettura Citroen (OMISSIS) targata (OMISSIS) da lui condotta; fatto accaduto per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nell'inosservanza delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, con particolare riferimento alle circostanze: - di non avere, avuto riguardo alle caratteristiche ed alle condizioni della strada e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, regolato la velocità del veicolo in modo da evitare ogni pericolo per la sicurezza delle persone e di non avere, più in particolare, regolato la velocità in maniera idonea, in considerazione dell'ora notturna e della insufficiente visibilità dovuta alle condizioni atmosferiche, in violazione dell'art. 141 C.d.S., commi 1 e 3; - di avere circolato ad una velocità superiore ai 100 Km/h in una strada nella quale il limite imposto dall'autorità competente è di 50 Km/h, in violazione dell'art. 142 C.d.S., comma 9.
Avendo di conseguenza cagionato l'evento secondo la seguente dinamica: l'autovettura Citroen (OMISSIS) targata (OMISSIS), da lui condotta, percorreva, lungo il margine sinistro della carreggiata, il viale (OMISSIS) della città di (OMISSIS) (strada a doppio senso di circolazione, a due carreggiate separate, una per ogni senso di marcia), proveniente dall'intersezione con la via (OMISSIS) e con direzione di marcia verso piazzale (OMISSIS) quando, giunto all'altezza del palo dell'illuminazione pubblica n. 7611, investiva con la parte anteriore sinistra del veicolo i pedoni predetti (madre e figlio), che stavano attraversando la carreggiata predetta, benché in loco insistesse apposito sottopassaggio pedonale, con direzione di movimento da destra verso sinistra, rispetto alla direzione di marcia del veicolo; in forza all'urto ricevuto, entrambi i pedoni venivano proiettati in avanti, terminando la loro traiettoria nello spazio insistente tra due barriere in cemento armato di tipo "New Jersey", poste al centro della strada, per dividere le due carreggiate. Soccorsi e trasportati presso l'Ospedale (OMISSIS), i predetti pedoni decedevano entrambi poco dopo l'investimento in seguito ad un "complesso traumatismo contusivo produttivo di lesioni scheletriche e viscerali multiple". Con le aggravanti di avere commesso il fatto con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e di avere causato la morte di più persone. Commesso in (OMISSIS).
B) delitto p. e p. dalla L. n. 194 del 1978, art. 17, comma 1, poiché, nelle medesime circostanze di luogo, di tempo e con le modalità di cui al capo che precede, cagionava a N. S. N. M., per colpa, l'interruzione della gravidanza, in quanto, in seguito all'investimento, il feto da lei portato in grembo decedeva per un "complesso traumatismo contusivo produttivo di emorragia subaracnoidea, lesioni polmonari, lesioni cardiache ed epatiche, nonché distacco completo di placenta", e veniva estratto dall'utero già morto, con taglio cesareo di emergenza, dai sanitari dell'ospedale (OMISSIS).
Commesso in data (OMISSIS);
Il L. veniva condannato, ritenuto il concorso formale tra i reati e applicata la riduzione per il rito, alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione, oltre alla pena accessoria della sospensione della patente di guida per anni 1 e mesi 4 e al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separato procedimento, con una provvisionale di Euro 60.000,00.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei propri difensori di fiducia, L. R. A., deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. Att. c.p.p., comma 1:
a. Nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione agli artt. 42, 43 e 589 c.p., L. n. 194 del 1978, art. 17 per mancanza, contraddittorietà o, comunque, manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe affermato la penale responsabilità dell'imputato sulla base di argomentazioni illogiche e assertive, avendo ritenuto la prevedibilità della presenza dei pedoni e la visibilità degli stessi e ritenendo la violazione della regola cautelare, da parte dell'imputato, sufficiente ad affermarne la responsabilità.
Il ragionamento operato dai giudici di merito sarebbe, in tal senso, del tutto aprioristico, in quanto non sarebbe stata accertata la concreta prevedibilità dell'evento. Il L. avrebbe potuto vedere e evitare le persone offese, secondo la ricostruzione operata in sentenza, giacché i pedoni procedevano da destra verso sinistra e l'investimento avveniva alla fine dell'attraversamento, l'illuminazione stradale sarebbe stata sufficiente e lo stesso imputato ammetteva di non aver visto le vittime ma di aver sentito un forte urto e di avere visto esplodere il cristallo anteriore sinistro dell'auto.
Tali deduzioni si fonderebbero, però, su un enorme travisamento di prova.
Dalle numerose deposizioni degli agenti intervenuti emergerebbe, infatti, l'assoluta mancanza di illuminazione, così come dalle ricostruzioni operate dai consulenti emergerebbe la condotta estremamente imprudente delle vittime, che tentavano un repentino ed improvviso attraversamento.
I giudici avrebbero dovuto, quindi, accertare se le circostanze fattuali fossero tali da consentire all'agente di prevedere l'evento e adottare i comportamenti necessari a prevenirne la realizzazione. Tale accertamento non sarebbe stato compiuto.
Anche in relazione alla prevedibilità dell'aborto della giovane, il ragionamento della sentenza apparrebbe assertivo e giuridicamente scorretto ritenendo la prevedibilità dell'evento per il semplice fatto che si trattava di una giovane donna. Nello specifico sarebbe illogico - secondo la tesi del ricorrente - ritenere che l'imputato, scorgendo al buio la sagoma di una donna che attraversava la strada, avrebbe dovuto intuirne la giovane età e valutare la probabilità che fosse in stato interessante e adottare quindi le contromisure per prevenire il rischio di procurarle un aborto.
La sentenza partirebbe dalla premessa indimostrata che viaggiando nei limiti di velocità tutto ciò fosse possibile.
Tra l'altro, aggiunge il L., la circostanza che la vittima fosse incinta aggraverebbe ancor di più la responsabilità della stessa di aver ignorato la presenza di un sottopasso di attraversamento.
Censurabile sarebbe, in definitiva, il ragionamento dei giudici che fonda la colpa solo sull'avvenuta violazione della norma preventiva ignorando i dati acquisiti nel processo avvaloranti il ragionevole dubbio che l'evento si sarebbe verificato anche osservando la condotta prescritta.
b. Nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p., per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ci si duole che entrambe le sentenze di merito abbiano escluso la concessione delle attenuanti generiche facendo ricorso a clausole di stile, senza nessun riferimento ai parametri previsti dall'art. 133 c.p.p. e al grado di colpa, operando solo un cenno all'incensuratezza dell'imputato ritenuta insufficiente a mitigare il trattamento punitivo.
Ad avviso del ricorrente, invece, la stessa dinamica, caratterizzata da un evidente concorso di colpa delle vittime, avrebbe dovuto determinare una più attenta valutazione. Ne’ potrebbe considerarsi sufficiente il generico riferimento alla gravità del fatto che non sarebbe, di per se’, ostativo al riconoscimento del beneficio. Infine il comportamento collaborativo dell'imputato, vittima a sua volta dell'evento e privo di precedenti penali, avrebbe dovuto formare oggetto di valutazione, espressamente richiesta nei motivi di appello.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono fondati quanto all'affermazione di responsabilità per il reato di aborto colposo sub B) ed in ordine alla dedotta contraddittorietà della motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, mentre sono infondati per il resto.
2. Ad avviso del Collegio si palesano infondate le doglianze relative all'affermazione di responsabilità per il delitto di omicidio colposo plurimo di cui al capo A).
Ed invero, sul punto entrambe le sentenze di merito - che trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità vanno lette come un tutt'uno - offrono una motivazione logica e congrua con la quale i motivi di ricorso, che costituiscono una riproposizione tout court di quelli di appello, non si confrontano.
Si tratta di motivi che, ancorché rubricati come vizi motivazionali, richiedono in concreto una rivalutazione del fatto, evidentemente non consentita in questa sede.
Sul punto va ricordato, infatti, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente è stato poi ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene ne alla ricostruzione dei fatti ne' all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542) Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c'è, in altri termini, come di fatto richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto (l'assoluta imprevedibilità della presenza dei pedoni), senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza deve essere logica "rispetto a se' stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
3. La premessa di cui sopra serve a meglio comprendere come il travisamento della prova sia altro rispetto a quello che si deduce nel presente ricorso.
Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova" che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato). Oppure dovrà essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrerà ancora ribadirlo - non spetta comunque a questa Corte Suprema "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato "travisamento della prova" occorre che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.
4. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Milano alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in questa sede di legittimità.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto di come risulta acclarata e ben motivata sin dal primo grado la responsabilità quanto al reato di cui al capo A) del L., che procedeva, nelle ore serali, a velocità doppia rispetto a quella consentita e del tutto sconsiderata rispetto alle condizioni della strada, bagnata ed illuminata in maniera giudicata sufficiente dalla Polizia Municipale, in prossimità di centro abitato e di interscambio di mezzi pubblici. Tanto è vero che lo stesso conducente non si avvedeva assolutamente della presenza dei pedoni, nemmeno al momento dell'urto.
La stessa tesi difensiva che pone l'accento sulla mancanza o scarsa illuminazione di quel tratto di strada finisce per avvalorare ulteriormente la prospettazione accusatoria secondo cui l'automobilista avrebbe dovuto procedere con una velocità ancora maggiormente prudenziale.
Va peraltro ricordato che, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia - valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente - è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (ex pluribus, Sez. 4, 10 febbraio 2009, Pulcini).
5. Il caso in esame obbliga a questo punto a fare qualche riferimento, al cosiddetto principio dell'affidamento - complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative - evocato in ricorso a favore dell'imputato assumendosi che, ancorché abbia posto in essere una condotta pacificamente violativa del Codice della Strada in ragione dell'alta velocità a cui procedeva, non fosse per lui concretamente prevedibilità l'attraversamento pedonale di un gruppo di persone, a quell'ora della sera, su una strada del genere, nonostante esistesse all'uopo un apposito sottopassaggio pedonale.
La tesi non è fondata.
Va ricordato, infatti, che il principio dell'affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità (cfr. ex multis la recente Sez. 4, n. 5691 del 2/2/2016, Tettamanti, Rv. 265981, relativa ad un caso in cui la Corte ha confermato la sentenza impugnata ritenendo la responsabilità dell'imputato che, alla guida della propria vettura, aveva effettuato un repentino cambio dalla corsia di sorpasso a quella di destra senza segnalare per tempo la sua intenzione, andando così a collidere con un motociclo che sopraggiungendo dietro di lui aveva tentato, imprudentemente, di sorpassarlo a destra). Nell'affermare il medesimo principio, con altra condivisibile pronuncia (Sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, Moccia ed altro, Rv. 263010), questa Corte aveva annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell'autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all'automezzo ed era stato investito dall'imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman).
Il Collegio ritiene pienamente condivisibile il percorso motivazionale di cui alla citata sentenza 5691/2016.
Il principio di affidamento -come si ricordava in quella pronuncia- costituisce applicazione del principio del rischio consentito: dover continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui. Al contrario, l'affidamento è in linea con la diffusa divisione e specializzazione dei compiti ed assicura il migliore adempimento delle prestazioni a ciascuno richieste.
Nell'ambito della circolazione stradale tale principio è dunque sotteso ad assicurare la regolarità della circolazione, evitando l'effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze.
Il principio di affidamento, d'altra parte, sarebbe da connettere pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l'obbligo di rapportarsi alle altrui condotte.
Pertanto - come ricorda ancora la sentenza 5691/2016 - esso è stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicità colposa.
Pacificamente, la possibilità di fare affidamento sull'altrui diligenza viene meno quando l'agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere - ed è il caso che ci occupa- che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività.
Un'analisi della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia consente di individuarvi una tendenza, in ambito stradale, a escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull'altrui correttezza.
In tal senso vanno lette, ad esempio, le pronunce in cui si è affermato che, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza, proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per se’ condotta negligente. Coerentemente con tale assunto, è stata perciò, ad esempio, confermata l'affermazione di responsabilità in un caso in cui la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l'auto in prossimità dell'incrocio a velocità moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l'autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all'obbligo di concedere la precedenza (cfr. Sez. 4, n. 4257 del 28/3/1996, Lado, Rv. 204451). E, ancora, sulle medesime basi si è affermato, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l'automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell'attraversamento in quanto il conducente favorito dal diritto di precedenza deve comunque non abusarne, non trattandosi di un diritto assoluto e tale da consentire una condotta di guida negligente e pericolosa per gli altri utenti della strada, anche se eventualmente in colpa (Sez. 4, n. 12879 del 18/10/2000, Cerato, Rv. 218473); e che l'obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente (Sez. 4, n. 8359 del 19/6/1987, Chini, Rv. 176415).
6. Come rileva, ancora, la richiamata e condivisibile sentenza 5691/2016 di questa Corte, si tratta, allora, di comprendere se l'atteggiamento rigorista abbia una giustificazione o debba essere invece temperato con l'introduzione, entro limiti ben definiti, del principio di affidamento.
Senza dubbio quello della circolazione stradale è un contesto meno definito di quello del lavoro in equipe (con riferimento alla colpa professionale dei medici), ove il principio in parola trova pacifica applicazione.
Si configura, infatti, un'impersonale, intensa interazione che mostra frequenti violazioni delle regole di prudenza.
D'altra parte, il Codice della strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l'obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari.
Tra questi vanno ricordati: 1. l'art. 141, di cui all'odierna imputazione, che impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza; e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni "ostacolo prevedibile"; 2. l'art. 145, che pone la regola della "massima prudenza" nell'impegnare un incrocio; 3. l'art. 191, che prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque già iniziato l'attraversamento della carreggiata.
Tali norme - è stato condivisibilmente rilevato nel recente arresto giurisprudenziale di questa Corte di legittimità più volte citato, alla cui articolata motivazione si rimanda - tratteggiano obblighi di vasta portata, che riguardano anche la gestione del rischio connesso alle altrui condotte imprudenti. D'altra parte, le condotte imprudenti nell'ambito della circolazione stradale sono tanto frequenti che esse costituiscono un rischio tipico, prevedibile, da governare nei limiti del possibile.
Costituisce, tuttavia, ius receptum di questa Corte, sin dalla giurisprudenza più risalente nel tempo, il principio che nell'ambito della circolazione stradale che qui interessa, si debba tenere conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto (Sez. 4, n. 14188 del 18/9/1990, Petrassi, Rv. 185559; Sez. 4, n. 6173 del 9/5/1983, Togliardi, Rv. 159688; Sez. 5, n. 6783 del 2/2/1978, Piscopo, Rv. 139204).
Successivamente questa Corte ha ripetutamente chiarito (Sez. 4, n. 37606 del 6/7/2007, Rinaldi, Rv. 237050; Sez. 4, n. 12361 del 7/2/2008; Biondo, Rv. 239258) che l'esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poiché in tale ambito la prevedibilità dell'evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata; ma anche nell'ambito della colpa specifica la prevedibilità vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma rileva pure in relazione al profilo squisitamente soggettivo, al rimprovero personale, imponendo un'indagine rapportata alle diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto.
Certamente tale spazio valutativo è pressoché nullo nell'ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dell'agente modello. Non può essere escluso del tutto, in altri termini, che contingenze particolari possano rendere la condotta inosservante non soggettivamente rimproverabile a causa, ad esempio, della imprevedibilità della condotta di guida dell'altro soggetto coinvolto nel sinistro. Tuttavia, tale ponderazione non può essere meramente ipotetica, congetturale, ma deve di necessità fondarsi su emergenze concrete e risolutive, onde evitare che l'apprezzamento in ordine alla colpa sia tutto affidato all'imponderabile soggettivismo del giudice.
L'esigenza di una indagine concreta, si è pure affermato dalla giurisprudenza da ultimo indicata, non viene meno neppure quando, come nella circolazione stradale, la condotta inosservante di altri soggetti non costituisce in se’ una contingenza imprevedibile, si è chiarito che lo spazio per l'apprezzamento che giunga a ritenere imprevedibile la condotta di guida inosservante dell'altro conducente è ristretto e va percorso con particolare cautela. Ciò nonostante, l'esigenza di preservare la già evocata dimensione soggettiva della colpa (id est la concreta rimproverabilità della condotta) ha condotto questa Corte ad enunciare che, come si è prima esposto, le particolarità del caso concreto possono dar corpo ad una condotta realmente imprevedibile.
7. Alla prima ampia configurazione della responsabilità la giurisprudenza più recente ha dunque costantemente apposto il limite della imprevedibilità (cfr. Sez. 4, n. 41029 del 24/9/2008, Moschiano, Rv. 241476 che ha ritenuto integrare il reato di lesioni colpose la condotta del conducente di un veicolo che investa un pedone in autostrada quando quest'ultimo già si trovi sulla carreggiata nel momento in cui l'agente abbia percepito la sua presenza, atteso che in tale situazione appare prevedibile la pur imprudente intenzione dello stesso pedone di attraversare la carreggiata ed è dunque dovere del conducente porre comunque in atto le manovre necessarie ad evitare il suo investimento; in motivazione la Corte ha precisato che diversamente, qualora il pedone fosse stato fermo sulla piazzola di sosta, la particolare conformazione dell'autostrada quale sede destinata al traffico veloce avrebbe consentito legittimamente al conducente di escludere l'intenzione del pedone di attraversare la carreggiata, trattandosi di comportamento in tali condizioni non prevedibile) che talvolta si è richiesto essere assoluta (così Sez. 4, n. 26131 del 3/6/2008, Garzotto, Rv. 241004 che ha escluso la colpa generica del conducente dell'autovettura coinvolta in un sinistro stradale cui era seguita la morte della persona trasportata, poiché si è ritenuto che il conducente dell'altra autovettura aveva provocato imprevedibilmente l'incidente, ponendosi alla guida in stato d'etilismo acuto che non gli consentiva di controllare adeguatamente la marcia del proprio veicolo).
In altra più recente pronuncia, in senso maggiormente condivisibile, si è ritenuto che le imprudenze altrui fossero ragionevolmente prevedibili (così Sez. 4, n. 46818 del 25/6/2014, Nuzzolese, Rv. 261369 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto circostanza prevedibile l'ingombro della carreggiata da parte di un altro veicolo in un incrocio cittadino).
Va dunque, ad avviso del Collegio, riaffermato il principio che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza, ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella ragionevole prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa.
8. Se questi sono i principi giuridici di riferimento, va perciò osservato come, nel caso che ci occupa, nella situazione di fatto di una strada cittadina poco illuminata, di sera, nei pressi di una fermata della metropolitana, appaia adeguatamente supportato il giudizio di "ragionevole prevedibilità" della condotta delle vittime ed è, proprio in riferimento al contesto in cui è avvenuto il fatto che si rileva una plausibilità della motivazione della sentenza impugnata.
Con motivazione logica e congrua il tribunale prima e la Corte territoriale poi confutano la tesi difensiva volta a determinare l'inevitabilità del sinistro stradale, evidenziando come il L. abbia disatteso il rispetto di una fondamentale regola cautelare quale quella statuita in seno al citato art. 141 C.d.S..
Ricordato, attraverso il conferente richiamo alla sentenza 12260/2015 di questa Corte di legittimità, che, come detto, il principio dell'affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché rientri nel limite della prevedibilità, i giudici del merito affermano condivisibilmente come, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per la sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso e, inoltre, che prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente il quale ha, peraltro, l'obbligo di ispezionare la strada costantemente, mantenere sempre il controllo del veicolo e prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende (così questa Sez. 4, nella sentenza n. 44651 del 12.10.2005).
A carico del conducente è posto un precetto fondamentale sintetizzato come ricordano i giudici del merito - nell'obbligo di attenzione che questi deve avere al fine di avvistare il pedone, così da potere porre in essere efficacemente i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento. E a tali obblighi il conducente è tenuto anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti, vuoi violativi degli obblighi comportamentali specifici dettati dall'art. 190 C.d.S..
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
9. Diverse sono le conclusioni quanto alla doglianza riguardante l'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B in relazione al quale, ad avviso del Collegio, deve pervenirsi ad un annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Con tale capo d'imputazione veniva contestato al L. il reato di cui alla L. 22 maggio 1978, n. 194, art. 17, comma 1 in materia di interruzione della gravidanza, norma che punisce con la reclusione da tre mesi a due anni il procurato aborto colposo, ovvero "chiunque cagiona ad una donna per colpa l'interruzione della gravidanza".
Si tratta di un reato comune, punito a titolo di colpa, che si realizza quando il colpevole provoca l'interruzione della gravidanza, in qualunque epoca del suo decorso, cagionando la perdita del prodotto del concepimento, senza che abbia rilievo, qualora risulti dimostrato il rapporto causale tra la condotta colposa e l'interruzione della gravidanza, che l'aborto sia stato interno (con ritenzione nell'utero) o esterno (con espulsione).
L'interruzione colposa della gravidanza è, dunque, la conseguenza di una condotta illecita che abbia i caratteri della colpa e da cui derivi, come evento non voluto ma prevedibile ed evitabile con un comportamento diverso, l'aborto.
Per l'esistenza di tale reato - secondo la dottrina - è indifferente che la gravidanza sia conosciuta o colposamente ignorata dal colpevole.
In tale figura di reato la colpa può cadere su tutti gli elementi del fatto tipico, commissivo od omissivo, ovvero sui presupposti (la circostanza che la donna sia incinta), sull'oggetto del reato o sulla condotta.
Nel caso che ci occupa, indiscusso il carattere colposo della condotta di guida, il thema decidendi attiene al giudizio di prevedibilità che, in quel determinato contesto di tempo e di luogo, potesse essere presente una donna incinta.
Ebbene, sul punto, appare fondata la doglianza circa l'inadeguatezza della risposta motivazionale in punto di elemento soggettivo del reato fornita dal provvedimento impugnato, che, dopo che il giudice di primo grado non aveva motivato sul punto, "liquida" la specifica doglianza con l'affermazione secondo cui era "...peraltro prevedibile, in quanto del tutto probabile, che una donna in età giovanile che attraversi la strada possa essere incinta".
Non è dato di sapere, infatti, a quale massima di esperienza, calata nel caso concreto, il collegio giudicante il gravame del merito ancori tale dato probabilistico. In realtà, invece, dall'esame delle sentenze di merito non emerge esservi alcun elemento noto (quale potrebbe essere stato, ad esempio, se l'incidente fosse avvenuto nelle immediate adiacenze di un ospedale o di una clinica o di uno store che vendesse prodotti per la prima infanzia) da cui possa inferirsi tale giudizio probabilistico.
S'impone, pertanto, in relazione a tale reato, l'annullamento dell'impugnata decisione, dovendo l'imputato essere mandato assolto perché il fatto non costituisce reato. Ne consegue l'eliminazione dalla pena base della relativa pena di sei mesi di reclusione da ridursi per il rito (il giudice di primo grado, infatti, era partito da una pena base per il più grave reato sub A di anni due e mesi due di reclusione, aumentata per l'ipotesi di cui all'ultimo comma dell'art. 589 cod. pen. ad anni tre di reclusione, ulteriormente aumentata per il concorso formale con il reato sub B ad anni 3 e mesi sei di reclusione, ridotta per il rito prescelto ad anni due e mesi quattro di reclusione).
10. Fondato, ad avviso del Collegio, è anche il dedotto vizio motivazionale in relazione al punto concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale, sul punto, offre una motivazione contraddittoria laddove afferma che: "...nonostante i predetti pedoni avrebbero potuto prendere il sottopassaggio esistente per attraversare la strada, comunque il comportamento del conducente del veicolo investitore è stato di rilevante gravità, per l'eclatante violazione del limite di velocità e la mancanza della dovuta attenzione alle condizioni della strada. Pertanto, anche considerati tutti gli altri elementi a lui favorevoli, quale ad es. l'incensuratezza ed il comportamento processuale, le attenuanti generiche, se pur ritenute concedibili non potrebbero che essere subvalenti, rispetto all'aggravante contestata, -in considerazione della rilevanza di questa, e quindi corretta appare in tal senso la valutazione del primo giudice, che deve essere confermata".
I giudici del gravame del merito, infatti, operano una commistione tra la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche ed il giudizio di comparazione delle stesse, che impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Il giudice del rinvio, in ogni caso, in ragione dell'eliminazione della pena finale di mesi quattro di reclusione (mesi sei di reclusione ridotti per il rito) in relazione al venir meno del reato sub B), pervenendosi ad una pena finale di anni due di reclusione, per la quale è astrattamente concedibile il beneficio della sospensione condizionale della pena, dovrà anche operare anche una valutazione sul punto, evidentemente preclusa a questa Corte di legittimità importando una valutazione di merito.
11. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, la sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio relativamente al reato di cui al capo B perché il fatto non costituisce reato, di cui va eliminata la pena.
La medesima sentenza va inoltre annullata quanto al capo A) limitatamente al punto concernente la concessione delle attenuanti generiche ed alla eventuale concessione della sospensione condizionale della pena con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.
La sentenza impugnata, infine, va dichiarata irrevocabile, ai sensi dell'art. 624 c.p.p., quanto all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo A.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo B perché il fatto non costituisce reato ed elimina la relativa pena.
Annulla la medesima sentenza quanto al capo A) limitatamente al punto concernente la concessione delle attenuanti generiche ed alla eventuale concessione della sospensione condizionale della pena con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.
Visto l'art. 624 c.p.p. dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità quanto al reato di cui al capo A. Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017.
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