Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Civile, Sezione Unite, sentenza n. 8620 del 29 aprile 2015
Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza numero 8620 del 29/04/2015
Circolazione Stradale - Artt. 3, 46, 47, 58, 114 e 193 del Codice della Strada - Sinistro - Autocarro gru munito di braccio elevatore - Concetto di circolazione stradale - Operatività della garanzia per la R.C.A. del veicolo - Attività speciali di carico e scarico - Nell'ampio concetto di circolazione stradale indicato nell'art. 2054 c.c., è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade. Ne consegue che per l'operatività della garanzia per la R.C.A. è necessario il mantenimento da parte del veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, risultando, invece, indifferente l'uso che in concreto si faccia del veicolo, sempreché che esso rientri in quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo stesso può avere.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 09.03.2004 il Tribunale di Benevento - decidendo nei giudizi riuniti promossi, rispettivamente, dall'INAIL, con azione di surroga (conseguente alla corresponsione di rendita vitalizia per infortunio sul lavoro verificatosi in data (OMISSIS) in favore degli eredi di P. A. nei confronti di I. C., nel contraddittorio della terza chiamata in garanzia W. (assicurazioni) s.p.a. (già SA. s.p.a. e, oggi, dopo varie vicende, UN. s.p.a., nuova denominazione di U.G.F. Assicurazioni s.p.a.), nonché da P. B., figlio ed erede di P. A. nei confronti di I. C. e della W. (assicurazioni) s.p.a. per il risarcimento dei danni conseguenti alla morte del padre - condannava I. C. e la W. (assicurazioni) al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti da P. B. in conseguenza della morte del padre determinati in L. 315.740.740, pari a Euro 163.066,48, oltre rivalutazione monetaria e interessi al 6% dal dì del sinistro, detratta la somma pari a Euro 135.864,39 da corrispondersi all'INAIL;
accoglieva la domanda di surroga dell'INAIL e per l'effetto condannava I. C. e la W. (assicurazioni) al pagamento in suo favore della somma di L. 263.070.142, pari a Euro 135.864,39 oltre interessi legali e svalutazione decorrenti dalla erogazione delle prestazioni al saldo, disponendo che la stessa venisse defalcata da quella da corrispondere all'attore P. B.; con rivalsa delle spese.
Le ragioni della decisione muovevano dalla considerazione che trattavasi di infortunio sul lavoro, verificatosi nell'ambito della circolazione stradale con il concorso di colpa della vittima. In particolare si riteneva accertato che l'incidente era conseguente all'errata manovra di un'autogrù di proprietà di I. C., il quale, dovendo caricare un cassone metallico acquistato dal P., aveva urtato, con il braccio meccanico montato sul veicolo, il cassone, che era stato posto incautamente in bilico su un muretto e che, per effetto dell'urto, era scivolato verso il basso, schiacciando il P. e provocandone la morte.
La decisione, gravata da impugnazione principale della compagnia di assicurazione (all'epoca, denominata A. Assicurazioni s.p.a.) e incidentale di I. C. e di P. B., era parzialmente riformata dalla Corte di appello di Napoli, la quale con sentenza in data 03.03.2009 così provvedeva: rigettava l'appello proposto contro l'INAIL, confermando la statuizione di condanna in favore di detto ente; in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla A. Assicurazioni s.p.a. avverso il capo di condanna in favore di P. B., condannava I. C. e la compagnia di assicurazioni, in solido nei limiti di Euro 38.734,27 (pari al massimale per persona di L. 75.000.000), al pagamento in favore di P. B. della somma di Euro 106.666,70, oltre interessi al tasso legale da calcolarsi dal 15.03.1984 inizialmente sulla somma devalutata sulla base degli indici ISTAT e poi sulla stessa somma rivalutata di anno in anno sino alla data della decisione e successivamente sulla somma complessiva sino al soddisfo; in accoglimento dell'appello di P. B. riformava la statuizione di condanna in suo favore, eliminando la parte in cui disponeva che la somma dovuta dall'INAIL venisse defalcata da quanto liquidato in favore di P. B.; rigettava, invece, l'appello di I. C.; condannava, infine, l'I. e l'A. (assicurazioni) al pagamento delle spese processuali in favore delle altre parti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la U.G.F. Assicurazioni s.p.a. (ora, come si è detto, U. Assicurazioni s.p.a.), svolgendo sei motivi.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, l'INAIL, P. B. e I. C.; quest'ultimo ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale.
All'esito della pubblica udienza, la terza sezione civile, con ordinanza interlocutoria del 4 marzo 2014, ha segnalato che il ricorso pone il problema dei limiti del concetto di circolazione ai fini dell'applicabilità delle norme sull'assicurazione obbligatoria che appare oggetto di contrasto (e che comunque potrebbe rientrare nel novero delle questioni di massima di particolare importanza); per cui la decisione è stata devoluta a queste Sezioni unite.
Sono state depositate memorie da parte della ricorrente e dei controricorrenti INAIL e P..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente si dà atto che i ricorsi proposti in via principale e incidentale avverso la stessa decisione risultano riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Detti ricorsi - avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009) - sono soggetti, in forza del combinato disposto di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2, e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, alla disciplina di cui all'art. 360 c.p.c. e segg., come risultanti per effetto del cit. D.Lgs. n. 40 del 2006. Si applica, in particolare, l'art. 366 bis c.p.c., stante l'univoca volontà del legislatore di assicurare l'ultra-attività della norma (ex multis, cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), a tenore della quale, nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l'illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto; mentre la censura prevista dall'art. 360 c.p.c., n. 5, deve concludersi o almeno contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), da cui risulti "la chiara indicazione" non solo del fatto controverso, ma anche, se non soprattutto, la "decisività" del vizio.
L'esame deve muovere dal ricorso principale, in relazione al quale è stata ravvisata l'esigenza di rimessione della causa alle Sezioni Unite.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 393 del 1959, artt. 26, 30 e 31, dell'art. 2054 c.c., della L. n. 990 del 1969, artt. 1 e 18, e dell'art. 1917 c.c., sull'assunto che il sinistro de quo non sia compreso nel concetto di circolazione stradale garantita dall'assicurazione obbligatoria, all'epoca disciplinata dalla L. n. 990 del 1969. Al riguardo parte ricorrente deduce che l'incidente si verificò in un momento in cui l'autocarro gru munito di braccio elevatore, manovrato dall'I., svolgeva funzioni non attinenti ne’ ricollegabili alla circolazione stessa;
osserva che l'obbligo di indennizzo a carico dell'assicuratore per fatti connessi alla circolazione non può ricollegarsi ad eventi che non possono ritenersi relativi alla c.d. fase statica della circolazione, ma trovano causa prevalente nell'utilizzo del mezzo per attività speciali. A conclusione del motivo si chiede a questa Corte ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.: "se le attività speciali di carico e scarico effettuate da un automezzo, quale quello coinvolto nella presente vicenda processuale, munito, anche in modo permanente, di attrezzature e/o apparecchiature (quale ad es. il braccio di una gru) siano riconducibili alla circolazione stradale come affermato nella sentenza impugnata o, al contrario, debbano considerarsi come estranee e non aventi alcuna attinenza nemmeno in senso lato con la circolazione per cui in ipotesi di danni provocati da un automezzo nel corso e a causa di tali operazioni non operano le norme di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, così come sostenuto e sostiene la ricorrente".
1.2. Il quesito proposto si riferisce alla statuizione di rigetto del motivo di appello dell'allora A. Assicurazioni s.p.a. con cui era stata dedotta l'inoperatività della polizza assicurativa, sull'assunto che il sinistro non fosse riconducibile alla circolazione del veicolo assicurato, per essersi verificato a seguito di un'errata manovra del braccio dell'autogrù da parte di I. C. e dell'incauto posizionamento del cassone che travolse P. A. da parte della stessa vittima.
Al riguardo la Corte di appello - dopo avere premesso che il carro gru munito di braccio elevatore di proprietà dell'I. costituiva macchina operatrice ai sensi degli artt. 21 e 31 C.d.S. - ha ritenuto che sussistessero i presupposti di legge per ricondurre l'evento alla circolazione dell'autocarro, con conseguente operatività della garanzia assicurativa, per la considerazione che il sinistro avvenne "mentre il mezzo era in movimento ed era adibito al suo normale uso", osservando che detto uso risultava richiamato in polizza, senza alcuna limitazione del rischio, mentre l'imprudente sistemazione del cassone sul muretto e il conseguente concorso di colpa della vittima rilevavano - non già per escludere l'operatività della polizza - bensì, unicamente, sulla determinazione dell'ammontare del danno risarcibile.
1.3. E' il caso di precisare che il "movimento" del mezzo, cui allude la decisione impugnata, non va inteso nel senso che l'evento sia stato conseguente alla marcia del veicolo, posto che - come risulta pacifico tra le parti - secondo la ricostruzione della dinamica operata dal giudice penale, ritenuta vincolante nel giudizio civile, l'autogrù, al momento del sinistro, era ferma sulla piazzola antistante all'autocarrozzeria dell'I., risultando, evidentemente, detta fermata necessitata dalla stessa operazione di carico del cassone, in precedenza sistemato, in bilico, su un muretto esterno alla carrozzeria. Inoltre costituisce ormai cosa giudicata l'affermazione della responsabilità di I. C., in ragione di 2/3, per l'errore di manovra con il braccio meccanico della gru, che urtava e faceva scivolare il cassone, travolgendo P. A., con il residuale concorso della vittima per la precaria sistemazione del cassone.
1.4. Un'ulteriore precisazione si impone ai fini di una completa ricostruzione della vicenda e riguarda la tipologia di veicolo manovrato dall'I., che la Corte di appello ha classificato tra le macchine operatrici ai sensi dell'art. 21 e 31 del "vecchio" C.d.S..
Il riferimento deve intendersi al D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, che - dopo avere definito all'art. 20, i veicoli come "le macchine guidate dall'uomo e circolanti su strade", all'art. 21, lett. m), individua, tra essi, "le macchine operatrici", precisando all'art. 30, lett. a), (così come sostituito dalla L. 10 febbraio 1982, n. 38, art. 4) che, tra queste, rientrano "le macchine impiegate per la costruzione e la manutenzione di opere civili o delle infrastrutture stradali e per il ripristino del traffico, nonché per altre attività imprenditoriali" (cfr. oggi, rispettivamente, art. 46, art. 47, lett. m), D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 58 e 114, attuale C.d.S.). Deve, in particolare, ritenersi frutto di una mera svista (irrilevante ai fini del decisum) il riferimento, nella decisione impugnata, all'art. 31 dello stesso C.d.S., siccome già abrogato all'epoca dell'evento, dalla L. 10 febbraio 1982, n. 38, art. 4, ma sostanzialmente riprodotto, per quanto qui rileva, nel precedente art. 30, lett. a).
Si trattava, dunque, di una macchina strutturalmente idonea ad effettuare lavori di sollevamento o di spostamento di carichi e funzionalmente destinata a circolare anche su strade (sia pure alla limitata velocità prevista dal cit. art. 30) e siffatte caratteristiche funzionali e strutturali erano puntualmente richiamate nella polizza assicurativa, per quanto riportato, in termini incontestati, nella decisione impugnata.
E' ben vero che nel "corpo" del motivo all'esame - sia pure con l'avvertenza che la questione è "in parte irrilevante nella sostanza della questione giuridica" - la ricorrente lamenta un errore di classificazione del mezzo adoperato dall'I., che sarebbe un "veicolo speciale", correlativamente denunciando, nella rubrica del motivo anche violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 393 del 1959, artt. 26, 30 e 31. Senonché la censura, peraltro assolutamente generica, deve ritenersi inammissibile, siccome non risulta corredata da apposito quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., in base al principio acquisito nella giurisprudenza elaborata in relazione alla novella n. 40 del 2006, secondo cui in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti elusa la ratio dell'art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati; con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all'oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l'illustrazione (Cass. civ., Sez. Un., 09 marzo 2009, n. 5624; Cass., Sez. Un., 31 marzo 2009, n. 7770).
2. Ciò premesso e risultando non più discutibili i termini della quaestio facti, la questione di diritto che si tratta di decidere è quella della definizione del concetto di circolazione ai fini dell'assicurazione obbligatoria di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 1, applicabile nella specie ratione temporìs. Più esattamente il problema, proposto con il motivo di ricorso, è se l'utilizzo del braccio elevatore per l'operazione di carico, cui era addetto il veicolo al momento del sinistro, rientri o meno nel concetto di "circolazione", quale inteso dalla L. n. 990 del 1969, art. 1, in comb. disp. con l'art. 2054 c.c., inferendosene dalla risposta negativa al quesito l'inoperatività della garanzia assicurativa, affermata, invece, dai giudici del merito.
La terza sezione civile - pur dando atto che la giurisprudenza della stessa sezione ha da tempo preso le distanze dal remoto precedente (Cass. n. 5146 del 1997) cui dichiaratamente si ispira il motivo di ricorso, a tenore del quale l'attività di circolazione (in senso proprio e lato) va tenuta distinta dall'uso speciale del mezzo, da considerarsi estraneo alla circolazione stessa - ha avvertito l'esigenza di rimettere alle Sezioni Unite la questione dei limiti e delle condizioni di applicabilità del concetto di circolazione stradale tanto sotto il profilo statico / logistico quanto sotto quello operativo / funzionale, e dei limiti e delle condizioni di applicabilità del concetto in parola alla sosta di un veicolo sottoposto al regime dell'assicurazione obbligatoria, ritenendola, per certi aspetti, tuttora oggetto di contrasto (e, comunque, rientrante nel novero delle questioni di massima di particolare importanza).
Più esattamente l'esigenza di chiarificazione, come avvertita dall'ordinanza di rimessione, non attiene all'apparente contrapposizione tra lo stato di movimento e quello di quiete del veicolo (o di uno dei veicoli coinvolti nel sinistro) - riconoscendosi ormai per acquisito che nel concetto di circolazione vada ricompresa anche la c.d. circolazione statica - ma riguarda, piuttosto, l'aspetto operativo / funzionale, essendosi evidenziata l'adozione di soluzioni non sempre omogenee con riferimento ad alcune ipotesi peculiari di sosta, segnatamente allorquando il veicolo sta svolgendo specifiche operazioni funzionali alle caratteristiche strutturali proprie del mezzo.
Al riguardo l'ordinanza di rimessione individua due orientamenti: un primo orientamento (per il quale richiama specificamente: Cass. 6 febbraio 2004, n. 2302; Cass. 5 agosto 2004, n.14998; Cass. 31 marzo 2008, n.8305; Cass. 9 gennaio 2009, n. 316) che, dall'equiparazione del rischio statico a quello dinamico, evince il presupposto dell'operatività dell'obbligo assicurativo nel trovarsi il veicolo su strada di uso pubblico o su area a questa equiparata in una condizione che sia riconducibile ad un momento della circolazione, ivi compresa anche la sosta (non avendo dignità di presupposto ulteriore la correlazione dell'uso del veicolo, secondo le potenzialità sue proprie, con le varie modalità con cui può atteggiarsi la circolazione); un secondo orientamento, che, pur ridimensionando e correggendo il principio espresso dalla già cit. sentenza 9 giugno 1997, n. 5146, ritiene rilevanti le particolari funzioni esplicate dal veicolo al momento dell'evento, in quanto suscettibili di costituire causa autonoma, idonea a interrompere il nesso causale con la circolazione (come ritenuto di recente da: Cass. 5 marzo 2013, n. 5398).
2.1. Una più ampia disamina del panorama giurisprudenziale in materia consente, innanzitutto, di dar atto che, con riferimento al profilo statico / logistico, le decisioni sono univoche nel ricomprendere nel concetto di circolazione stradale tanto lo stato di movimento, quanto la situazione di arresto o di sosta di un veicolo su strada od area pubblica di pertinenza della stessa, con la precisazione che il concetto non può restringersi alla sola ipotesi in cui al posto di guida vi sia una persona che abbia l'effettiva disponibilità dei congegni meccanici atti a determinarne il movimento, atteso che comunque il conducente deve, finché il mezzo si trova nella strada, porre in essere tutti gli accorgimenti necessari ad evitare danni a terzi, segnatamente quando si allontani lasciando il veicolo in sosta (così Cass. 24 luglio 1987, n. 6445).
In particolare - sul presupposto della necessità di controllo da parte del conducente sul veicolo in sosta su uno spazio compreso nelle aree di circolazione, pubbliche o ad essa equiparate - si è ritenuta afferente alla circolazione (e coperto il relativo danno da garanzia assicurativa) la movimentazione degli sportelli (chiusura, apertura, abbassamento) a veicolo fermo e, più in generale, qualsiasi attività prodromica alla messa in marcia e alla circolazione (cfr. ex multis, Cass. 05 luglio 2004, n. 12284; Cass. 27 aprile 2005, n. 18618, riguardo, oltre la già cit. Cass. n. 6445 del 1987), affermandosi la presunzione di responsabilità del proprietario e del conducente ex art. 2054 cod. civ., eventualmente in solido con il terzo trasportato, responsabile ex art. 2043 c.c., per l'imprudente apertura dello sportello (cfr. Cass. 06 giugno 2002, n. 8216).
Merita puntualizzare sin da adesso che il filo logico costante in tutte queste decisioni è, nella sostanza, quello espresso già dalla più remota di esse (Cass. n. 6445/1987 cit.), con cui si avvertiva che il pur rigoroso criterio trovava giustificazione nella considerazione che la guida di un veicolo comporta l'utilizzazione di un mezzo dotato di un certo grado di pericolosità, correlativamente imponendo al conducente un completo controllo del mezzo stesso anche nelle fasi di arresto o sosta. In tale prospettiva il fatto colposo del terzo trasportato non costituisce causa interruttiva del nesso causale tra l'evento e "la circolazione stradale", bensì concorre ex art. 2055 c.c., con la responsabilità presunta del proprietario e del conducente.
2.2. Sulla medesima lunghezza d'onda, ancorché riferibili ad ipotesi nelle quali il veicolo, in posizione di quiete, può essere fuori del (possibile) controllo del conducente, trovandosi anzi esposto alla pubblica fede, si pongono altre pronunce in cui il collegamento con la circolazione stradale viene rinvenuto nel solo fatto dell'"ingombro" da parte del veicolo di uno spazio a ciò adibito.
Così, all'originario orientamento secondo cui l'incendio propagatosi da un veicolo in sosta costituiva evento estraneo al rischio coperto dalla R.C.A., a meno che non venisse individuato "un particolare e specifico nesso eziologico con un determinato avvenimento attinente alla circolazione" (così, Cass. 18 aprile 2000, n. 5032; Cass., 20 novembre 2003, n. 17626, non massimata) - quali potevano essere, ad es. determinate modalità di sosta contrastanti con le regole del codice della strada o le regole di ordinaria prudenza e diligenza, interferenti con la circolazione, richiedendosi che l'incendio derivasse dal "normale utilizzo funzionale del veicolo assicurato" (così Cass. n. 5146/1997 richiamata dalla ricorrente) oppure da una precedente collisione (così Cass. 06 giugno 1998, n. 4575) - ha fatto seguito un radicale cambiamento di prospettiva, ritenendosi, tout court, sbagliata la tesi, secondo cui perché ricorra la speciale responsabilità da circolazione stradale (e la correlativa garanzia assicurativa) è necessario che il danno prodotto dal veicolo in sosta sia riconducibile ad un fatto di circolazione pregresso o in atto; e ciò perché la tesi non tiene conto che la sosta è essa stessa circolazione, la quale comprende in se’ il complesso delle situazioni dinamiche e statiche in cui è posto il veicolo sulla pubblica via (così Cass. 06 febbraio 2004, n. 2302).
In particolare si è evidenziato che l'art. 2054 c.c., u.c., non consente al proprietario (ed agli altri soggetti indicati nei commi precedenti, tra cui il conducente) di sottrarsi alla responsabilità per i danni derivati dalla circolazione (fatta di movimento e di sosta) per vizi di costruzione o per difetto di manutenzione, in assenza dei quali, ove difetti un apporto causale esterno, non è dato ipotizzare che un veicolo a motore prenda spontaneamente fuoco dopo essere stato arrestato. Secondo tale orientamento (allo stato nettamente maggioritario), che valorizza il dato della permanenza del veicolo sulle vie pubbliche o aree ad esse equiparate, la garanzia assicurativa non è operante solo quando venga meno il collegamento causale con la circolazione, per l'intervento di una causa autonoma sopravvenuta (ivi compreso il fortuito) di per se’ sufficiente a determinare l'evento dannoso (così Cass. n. 3108 del 2010 già cit.) e, segnatamente, il fatto doloso del terzo; e ciò in quanto la condotta del terzo di doloso appiccamento del fuoco ad autovettura regolarmente parcheggiata su area pubblica o ad essa equiparata, e pertanto per consuetudine esposta alla pubblica fede, si appalesa imprevedibile ed inevitabile (cfr. Cass., 17 gennaio 2008, n. 858).
In altra ipotesi di danno da incendio in sosta si è, invece, ritenuto (Cass. n. 5398 del 2013 già cit. nell'ordinanza) che il nesso causale con la circolazione doveva ritenersi interrotto in ragione dell'imperizia dell'autista di un'autocisterna, che riforniva gas presso un'abitazione privata, il quale, con un'errata manovra dell'erogatore del materiale infiammabile, aveva causato il diffondersi di un incendio.
2.3. Il principio affermato alla decisione da ultimo citata, che - sia pure attraverso un articolato percorso argomentativo che mostra di recepire il concetto "ampio" di circolazione consolidatosi nella giurisprudenza - giunge, in definitiva, a conclusioni consonanti con la più remota Cass. n. 5146 del 1997 richiamata dall'odierna ricorrente, evidenzia come permanga un orientamento esegetico che finisce per privilegiare l'aspetto dinamico della circolazione, in specie con riguardo a eventi dannosi prodottisi durante l'impiego di veicoli con dotazioni speciali, operanti in stato di sosta ed utilizzati per le finalità cui erano destinati.
Si colloca, invece, appieno nel panorama giurisprudenziale che pone l'accento sul rapporto tra il veicolo presente nello spazio destinato alla circolazione e l'evento dannoso, marginalizzando l'incidenza delle funzioni svolte dal veicolo stesso, altra recente decisione della sezione terza (sentenza 09 gennaio 2009, n. 316), che, in una fattispecie similare a quella per cui è causa, ha affermato il principio, secondo cui che la L. n. 990 del 1969, art. 1, stabilisce, quale presupposto dell'operatività dell'obbligo assicurativo e della conseguente copertura, il trovarsi del veicolo su strada di uso pubblico o su area a questa equiparata in una condizione che sia riconducibile ad un momento della circolazione, ivi compresa anche la sosta, non riconoscendosi dignità di presupposto ulteriore alla correlazione dell'uso del veicolo, secondo le potenzialità sue proprie, con le varie modalità con cui può atteggiarsi la circolazione.
3. Questo, in estrema sintesi, il panorama giurisprudenziale rilevante nella soluzione della questione, l'esame deve necessariamente muovere dall'esegesi della norma di cui all'art. 2054 c.c.. Invero l'art. 1, per la delimitazione dell'ambito di applicazione della R.C.A., e l'art. 18, per l'esercizio dell'azione diretta, della L. n. 990 del 1969, qui applicabili ratione temporis (e, oggi, rispettivamente, l'art. 122, e il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 144) contengono l'uno un espresso richiamo e l'altro un consequenziale riferimento (per la tutela diretta del terzo) alla figura del fatto illecito da circolazione di cui all'art. 2054 c.c., che descrive la responsabilità del conducente e le altre responsabilità solidali derivanti dalla circolazione dei veicoli. I soggetti assicurati sono, dunque, quelli di cui all'art. 2054 c.c., (e cioè il conducente, il proprietario, o in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato dominio) e, per effetto del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 91, comma 2, codice della strada, il locatario in leasing, così come l'oggetto dell'assicurazione, che è assicurazione contro la responsabilità civile prevista dalla stessa norma (sugli schemi dell'assicurazione ex art. 1917 c.c.), con una precisazione, emergente proprio dal tenore delle norme richiamate; e cioè che, per un verso, l'ambito applicativo dell'obbligo di assicurazione è più ristretto rispetto a quello dell'art. 2054 c.c., riguardando la responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione di veicoli "a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi (...) posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate" e, per altro verso, l'azione diretta accordata a terzi è espressione di esigenze di tutela più ampie di quelle della mera garanzia del patrimonio dell'assicurato, propria dell'assicurazione ex art. 1917 c.c., con conseguente prefigurazione di uno strumento sostanziale e processuale di risarcimento del terzo danneggiato ispirato al fondamentale principi di solidarietà sociale.
Merita a tal riguardo precisare che il motivo di ricorso denuncia la violazione del concetto di "circolazione", inteso come tale, e non già quanto al termine di riferimento spaziale previsto per l'assicurazione obbligatoria (e, cioè, l'essere il veicolo in circolazione su "strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate"), che non è qui in discussione e che è costantemente individuato, secondo consolidata giurisprudenza, oltre che nelle strade di uso pubblico, in quelle aree che, ancorché di proprietà privata, siano aperte ad un numero indeterminato di persone e alle quali sia data la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso da parte di soggetti diversi dai titolari di diritti su di essa, non venendo meno l'indeterminatezza dei soggetti che hanno detta possibilità pur quando essi appartengano tutti ad una o più categorie specifiche e quando l'accesso avvenga per particolari finalità ed in particolari condizioni (cfr. Cass. 03 aprile 2013, n. 8090; Cass. 23 luglio 2009, n. 17279; Cass. 06 giugno 2006, n. 13254; Cass. 27 ottobre 2005, n. 20911).
Per altro verso si precisa che è convincimento di queste Sezioni Unite che l'ordinanza di rimessione, ancorché determinata da una peculiare ipotesi di utilizzo di un veicolo costituente macchina operatrice, solleciti una "messa a punto" del concetto di circolazione con riguardo al regime di assicurazione obbligatoria in una prospettiva generale che ne colga tutti gli aspetti, in relazione alla natura di "massima importanza" ascritta alla questione.
3.1. Ciò premesso, va, innanzitutto, rilevato che la nozione tecnico giuridica di circolazione stradale, quale assunta dall'art. 2054 c.c. (e, perciò, rilevante ai fini dell'operatività della garanzia assicurativa) ha una connotazione diversa e più ampia rispetto a quella che il termine "circolazione" assume nel linguaggio comune, sostanzialmente evocante l'idea dello spostamento o movimento, dovendo il concetto di "circolazione stradale", al di là dell'apparente incongruità lessicale, comprendere anche la "circolazione statica", e, cioè, anche i momenti di quiete dei veicoli, siccome costituenti un'utilizzazione della strada al pari del transito.
Tanto risulta expressis verbis dal Codice della Strada, e segnatamente dalla definizione contenuta sub n. 9 dell'art. 3 (a tenore del quale si intende per circolazione "il movimento, la fermata e la sosta dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulla strada"), nonché nell'art. 157, lett. c) (secondo cui "per sosta si intende la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilità di allontanamento da parte del conducente") e trova indiretta conferma dalla considerazione nel principio informatore dello stesso Codice sub art. 140 ("Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale"), giacché anche la situazione statica di ingombro da parte del veicolo della sede stradale interferisce con la circolazione.
Ma anche al di là del riferimento alle norme del C.d.S. (che pure appare corretto, avuto riguardo all'origine storica dell'art. 2054 c.c., che è una trasposizione di una norma del Codice della strada del 1933), è la stessa ratio legis della norma cit. che suggerisce una nozione "ampia" di circolazione stradale.
Valga considerare che l'art. 2054 c.c., accorpa quattro ipotesi di responsabilità, apparentemente eterogenee, assunte sotto l'unica nozione di "circolazione dei veicoli", posto che: l'art. 2054, comma 1, prevede un obbligo di prevenzione "unilaterale" (in una situazione, definita dalla dottrina di "unilateralità del rischio da circolazione"), facendo carico al conducente, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità per i danni arrecati a persone o a cose "dalla circolazione del veicolo", di provare di "aver fatto tutto il possibile per evitare il danno", intendendosi per tale, non già l'impossibilità o la diligenza massima, bensì l'avere osservato, nei limiti della normale diligenza, un comportamento esente da colpa e conforme alle regole del codice della strada, da valutarsi dal giudice con riferimento alle circostanze del caso concreto (cfr. Cass. 29 aprile 2006, n. 10031); il secondo comma postula una situazione di rischio "comune" da circolazione stradale, qual è quella del "caso di scontro tra veicoli", presumendo che ognuno dei conducenti "abbia ugualmente concorso a produrre il danno" salvo prova liberatoria (e, cioè, di aver fatto "tutto il possibile per evitare il danno"); il terzo comma estende il rischio da circolazione, come prefigurato dai due commi precedenti, al proprietario (e ai soggetti ad esso equiparati), presumendone la responsabilità solidale per il fatto del conducente, sul presupposto dell'incauto affidamento, allorché "non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà", e cioè non dimostra di avere tenuto un concreto ed idoneo comportamento ostativo, specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del veicolo ed estrinsecatosi in atti e fatti rivelatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate (cfr. Cass. 07 luglio 2006, n. 15521); infine l'ultimo comma prevede "in ogni caso" la responsabilità di tutte le persone sopra indicate per i danni derivanti da "vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo", con la conseguenza che esse sono esonerate da responsabilità solo ove risulti dimostrata l'interruzione del nesso causale tra l'evento e la circolazione del veicolo, attraverso la prova dell'esistenza del caso fortuito ovvero dell'inesistenza del vizio di manutenzione o costruzione (cfr. Cass. 21 maggio 2014, n. 11270).
Se si cerca allora il "filo" che collega, sotto l'unica rubrica di "circolazione di veicoli", tutte queste ipotesi di responsabilità presunta e, nel caso dell'ultimo comma, di responsabilità oggettiva (cfr. Cass. 06 agosto 2004, n. 15179; Cass. 09 marzo 2004, n. 4754), questo va individuato nella pericolosità dei due elementi caratterizzanti tutte le ridette ipotesi e, cioè, vuoi della circolazione, vuoi del veicolo - non già singolarmente intesi, ma nella loro interazione - per la considerazione della prevedibilità del danno che ne può derivare a persone e cose.
3.2. La disciplina dell'art. 2054 cod. civ. costituisce, invero, un'applicazione della regola generale posta dal precedente art. 2050 c.c., nel senso che la circolazione dei veicoli è stata considerata dal legislatore un caso particolare di attività pericolosa, come risulta espressamente affermato nella Relazione ministeriale al codice civile, laddove, nello spiegare il trattamento dettato per le attività pericolose (art. 2050 c.c.), si afferma che "il principio consacrato nell'art. 120 del testo unico delle disposizioni per la tutela delle strade e per la circolazione 8 dicembre 1933, n. 1740, riprodotto nell'art. 2054 c.c., è stato esteso a tutte le attività che possono creare pericolo per i terzi" (sub n. 795) e, successivamente, nell'illustrare l'art. 2054 c.c. (sub n. 796) si ribadisce che: "dettata nell'art. 2050 c.c., la regola generale sopra esposta, di essa si fa applicazione nell'art. 2054 c.c., ove si regola la responsabilità per la circolazione dei veicoli, già disciplinata nell'art. 120 C.d.S.".
In sostanza l'art. 120 C.d.S. del 1933 è stato sostanzialmente trasposto nell'art. 2054 c.c. (con alcune precisazioni che la pratica aveva indotto a ritenere necessarie) e nel contempo se ne è ricavata una norma generale (l'art. 2050 c.c.), con la conseguenza che la circolazione dei veicoli concreta una species rispetto al genus delle attività pericolose, come è confermato dall'identità della prova liberatoria per il superamento della presunzione di responsabilità, prevista rispettivamente dall'art. 2050 c.c. (che richiede la dimostrazione di "avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno") e dall'art. 2054 c.c., comma 1, (che prevede la dimostrazione che il conducente ha fatto "tutto il possibile per evitare il danno").
3.3. Appare opportuno precisare - ancorché la questione esorbiti dalla fattispecie all'esame - che anche la responsabilità del proprietario (e soggetti equiparati) di cui ai commi 3 e 4, è espressione del rischio insito nella circolazione dei veicoli ed è correlata al principio cuius commoda eius et incommoda, con una sostanziale differenza; e ciò in quanto, nell'ipotesi di cui al comma 3, che è di responsabilità per colpa (presunta), la prova liberatoria consisterà nella dimostrazione da parte del proprietario dell'assolvimento dell'obbligo comportamentale imposto al conducente dai commi precedenti (di aver fatto "tutto il possibile per evitare il danno") ovvero nella prova che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà, mentre, nell'ipotesi di cui al comma 4, che è di responsabilità oggettiva, occorrerà la prova, da parte di tutti i soggetti di cui ai commi precedenti, dell'interruzione del collegamento causale dell'evento con un vizio di costruzione o di manutenzione (id est con la circolazione del veicolo), attraverso la dimostrazione di un fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, abbia determinato il verificarsi del danno, nel qual caso, unico responsabile di esso sarà il soggetto cui va ascritta la responsabilità in ordine al fattore sopraggiunto.
E' evidente, poi, che è proprio la peculiarità della fattispecie di responsabilità prevista "in ogni caso" dall'art. 2054 c.c., u.c., a spiegare perché, nel caso (cfr. sub 2.3.) di veicolo che si trovi al di fuori del possibile controllo del conducente (qual è quello del veicolo regolarmente parcheggiato sulla pubblica via) non sia consentito al proprietario (ed agli altri soggetti indicati nei commi precedenti, tra cui il conducente) di sottrarsi alla responsabilità per i danni derivati dalla circolazione (fatta, per quanto innanzi detto, di movimento e di sosta) per vizi di costruzione o per difetto di manutenzione, ove sia mancata la dimostrazione di un apporto causale esterno (il caso fortuito, ivi incluso il fatto doloso del terzo) in assenza del quale, per il vero, non è dato ipotizzare altro che un guasto tecnico. Mentre con riferimento ad operazioni di movimentazioni degli sportelli del veicolo, come pure ogni altra operazione preparatoria alla circolazione (cfr. sub 2.2.), ancorché ascrivibili a colpa di un terzo trasportato, la responsabilità di quest'ultimo ex art. 2043 c.c., può concorrere (ai sensi dell'art. 2055 c.c.) con la responsabilità prevista dai primi tre commi dell'art. 2054 c.c., a carico del conducente e del proprietario - senza che ciò trasformi, come paventato da certa dottrina, il danno da "circolazione stradale dei veicoli" in danno "da veicolo in circolazione" - posto che in tal caso viene in rilievo lo standard comportamentale previsto dal comma 1 della stessa norma che impone al conducente di fare tutto il possibile per evitare il danno, mantenendo il controllo del mezzo in ragione della prevedibilità del pericolo.
3.4. Merita puntualizzare, quanto all'altro fattore qualificante dell'ipotesi di responsabilità che qui rileva - e, cioè al concetto di "veicolo" - che, mentre ai sensi dell'art. 2054 c.c., deve intendersi per veicolo ogni strumento idoneo a trasportare persone o cose circolando senza guida di rotaie, sia esso a trazione meccanica, animale o umana (cfr. D.P.R. n. 393 del 1959, art. 20 e seg., e art. 46 e segg. attuale C.d.S.), ai fini dell'operatività della garanzia assicurativa obbligatoria da R.C.A. (L. n. 990 del 1969, art. 1, e, oggi, D.Lgs. n. 299 del 2005, art. 122), è importante che si tratti di un veicolo dotato di motore, anche se, al momento, non funzionante od occasionalmente spinto.
In sostanza deve trattarsi di un mezzo meccanico idoneo a circolare senza guida di rotaie (non importa se montato su pneumatici o su cingoli), ancorché si tratti di un veicolo che per le sue peculiari caratteristiche strutturali e funzionali sia destinato ad avere un accesso limitato alle strade pubbliche o alle aree equiparate. E nella categoria rientrano - come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. oltre Cass. n. 316 del 2009 sopra cit., anche: Cass. n. 15521 del 2006 e Cass. n. 1378 del 1980) - anche le macchine operatrici, qual è quella che qui rileva, descritte nell'art. 58 C.d.S. (attuale) e idonee a circolare per strada ai sensi dell'art. 114 dello stesso Codice (cfr. art. 30 "vecchio" C.d.S. qui applicabile).
Solo i mezzi stabilmente impossibilitati a muoversi (come può essere un veicolo ormai privo di ruote e ridotto a un rottame ovvero anche una macchina operatrice che sia fissata su un basamento) non assurgono - o non assurgono più - al concetto di "veicolo", con conseguente inoperatività della garanzia diretta del terzo danneggiato.
Lo stesso dicasi quando il veicolo venga utilizzato, non già in modo conforme allo scopo per cui esso è stato costruito, bensì come mero oggetto in modo avulso dalla sua naturale funzionalità, ancorché una situazione di circolazione abbia occasionato la commissione del fatto dannoso. Così nell'esempio, fatto dalla dottrina, del danno da esplosione di bomba posizionata all'interno di un'autovettura, appare evidente che non è ipotizzabile un danno derivante da "circolazione di veicoli", degradando il "fatto" della circolazione a mera occasione; e ciò proprio per la condizione del mezzo, per così dire di "non veicolazione" ai sensi del Codice della strada (così: Cass. pen. 27 ottobre 2009, n. 44165 in motivazione) e, anzi, l'impiego dello stesso come mero contenitore o come oggetto materiale in se’ che prescinde dall'essere lo stesso anche un mezzo veicolare.
4. Chiudendo le fila del discorso, le Sezioni Unite ritengono di poter trarre le seguenti conclusioni, sulla scorta dell'inquadramento della responsabilità di cui all'art. 2054 c.c., come una sottospecie dell'art. 2050 c.c., e della correlativa individuazione della ratio legis, nella pericolosità della circolazione dei veicoli.
4.1. Innanzitutto va confermato il principio sopra richiamato - peraltro già affermato da queste Sezioni Unite, sia pure con riferimento ad una questione attinente alla sospensione della patente di guida ai sensi dell'art. 223 C.d.S. (sentenza 06 giugno 2007, n. 13226) - e, cioè, che ai fini della responsabilità ex art. 2054 c.c., rientra nell'ampio concetto di circolazione, in cui deve dunque ritenersi compresa, anche la situazione di arresto o di sosta di un veicolo su strada o area pubblica di pertinenza della stessa.
Invero il termine "circolazione stradale" non si limita ad esprimere un concetto dinamico, bensì rappresenta un concetto ampio che include, oltre al movimento, anche la sosta, la fermata e l'arresto dei veicoli, quali episodi insiti nella complessità del fenomeno. In particolare l'inclusione della c.d. "circolazione statica" nell'ambito dell'art. 2054 c.c. (e di rimando nella garanzia assicurativa obbligatoria) - prima ancora che dalle richiamate disposizioni del C.d.S. - si evince dalla stessa ratio legis, individuata nella pericolosità della circolazione stradale, giacché anche in occasione di fermate o soste sussiste la possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione di altri veicoli o di persone, in quanto i veicoli, seppur fermi, ostacolano o alterano il movimento degli altri veicoli, ingombrando necessariamente la sede stradale (cfr. Corte cost., 2-14 aprile 1969, n. 82), con la conseguenza che anche in tali contingenze non possono il conducente e il proprietario ritenersi esonerati dall'obbligo di assicurare l'incolumità dei terzi.
E tanto vale anche per i danni verificatisi quando il veicolo trovasi al di fuori del possibile controllo del conducente, con il limite di quelli derivanti da causa autonoma sopravvenuta (quale il dolo del terzo) di per sè sufficiente a determinare l'evento dannoso.
Postulare (come in alcune delle decisioni richiamate sub 2.2.) l'esigenza di un necessario collegamento tra il danno verificatosi durante la sosta (o la fermata) del veicolo e la circolazione (nel senso che l'evento debba necessariamente collegarsi alla precedente circolazione/movimentazione del veicolo o, almeno, essere riferito a determinate modalità di sosta, in ipotesi contrastanti col disposto dell'art. 157 C.d.S., ovvero con le regole di ordinaria prudenza e diligenza, interferenti con la circolazione) significa, da un lato, accedere ad un'erronea concezione di "circolazione", giacché anche la sosta, per quanto sin qui detto, è circolazione e, dall'altro, trascurare che, ai sensi dell'art. 2054 c.c., u.c., anche il rischio del guasto tecnico è un rischio da circolazione del veicolo.
Deriva da ciò che anche la responsabilità per danni da vizio di costruzione o difetto di manutenzione del veicolo prevista dall'art. 2054 c.c., u.c., allorquando attiene ad eventi dannosi verificatisi durante la circolazione - ivi compresa la sosta - sulle pubbliche vie o aree equiparate costituisce oggetto dell'assicurazione obbligatoria ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 1 (e attualmente del D.Lgs. n. 299 del 2005, art. 122, che si riporta a tutte le fattispecie di responsabilità di cui all'art. 2054 c.c.), con la conseguenza, ad esempio, che, dei danni derivati a terzi dall'incendio propagatosi da un veicolo in sosta, risponde anche l'assicuratore, indipendentemente dal lasso di tempo intercorso tra l'inizio della sosta e l'insorgere dell'incendio (cfr. ex plurimis, oltre alla già cit. Cass. n. 2302 del 2004; Cass. 05 agosto 2004, n. 14998; Cass., 11 febbraio 2010, n. 3108; Cass. 29 settembre 2011, n. 19883; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2092).
4.2. Sotto l'aspetto operativo / funzionale va, poi, ribadito che le operazioni di carico o scarico del veicolo sono in funzione del suo avvio nel flusso della circolazione, così come qualsiasi atto di movimentazione di esso o delle sue parti (quale apertura, chiusura sportelli ecc), con la conseguenza che, quando avvengano sulla pubblica via, danno luogo all'applicabilità della normativa sull'assicurazione per la R.C.A. (cfr. Cass. 22 maggio 2008, n. 13239 in motivazione). Anche in tali situazioni il veicolo si trova in una situazione riconducibile al concetto di circolazione e il conducente deve essere costantemente in grado di intervenire per evitare danni o pericolo di danni, oppure deve porre in essere accorgimenti tali da escludere, nei limiti del prevedibile, la possibilità che tali eventi si verifichino.
Venendo, quindi, al punto nodale della questione proposta merita sottolineare che la pericolosità di un veicolo non si relaziona solo con gli eventi tipici della circolazione (marcia, sostanza, partenza ecc), ma è correlato all'insieme delle specificità che lo caratterizzano e che, nella loro globalità - comprensiva, cioè, anche di speciali operazioni che ne caratterizzano la funzione - interferiscono con la presenza di cose e pedoni, allorché vengano poste in essere nelle aree destinate alla circolazione.
Orbene - come è stato correttamente evidenziato con la sentenza n. 316 del 2009, sopra cit. - la norma della L. n. 990 del 1969, art. 1, (al pari del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 122), nell'individuare l'oggetto dell'assicurazione per la R.C.A., si esprime nel senso di correlare l'obbligo assicurativo all'essere stato il veicolo posto in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a questa equiparate, ma non prevede come presupposto per l'obbligo assicurativo e, quindi, per l'operare della relativa garanzia, che il veicolo sia utilizzato in un certo modo piuttosto che in un altro.
Valga, altresì, considerare che l'art. 2054 c.c., pur costituendo la trasposizione di una norma del C.d.S. del 1933, non fa specifico riferimento alle norme sulla circolazione stradale, ma impone uno standard comportamentale che è suscettibile di essere riferito a qualsiasi utilitas traibile dal veicolo in conformità alle sue caratteristiche strutturali e funzionali. Il che non vuoi dire ancorare l'operatività della garanzia assicurativa alla mera occasione dell'allocazione del veicolo sulla strada pubblica o su area ad essa parificata; quanto piuttosto valorizzare proprio quella interazione tra veicolo e circolazione che è il fondamento della particolare ipotesi di responsabilità "da attività pericolosa" che è quella di cui all'art. 2054 c.c.. E poiché il "veicolo" deve essere considerato, in tutte le sue componenti e con tutte le caratteristiche, strutturali e funzionali, che, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, ne consentono l'individuazione come tale ai sensi del C.d.S., "l'uso" che di esso si compia su aree destinate alla circolazione - sempreché sia quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo può avere - costituisce "circolazione del veicolo" stesso ai sensi dell'art. 2054 c.c.. Ne consegue che la copertura assicurativa deve riguardare tutte le attività cui il veicolo è destinato e per cui lo stesso circola su strada di uso pubblico o su area equiparata.
Erra, dunque, la ricorrente quando distingue le operazioni di carico e scarico effettuate con "il braccio della gru" dalla circolazione del veicolo "autogrù", pretendendo di escludere le prime dal concetto di "circolazione stradale". Invero la macchina operatrice costituisce "un veicolo" ai sensi del C.d.S., con peculiari caratteristiche strutturali e funzionali che lo rendono idoneo sia ad effettuare determinate operazioni, sia a circolare per strada; anzi, proprio in considerazione delle specifiche operazioni alle quali è funzionale e per le quali è dotato di particolari attrezzature, oltre che al suo trasferimento, essa è autorizzata alla circolazione nelle strade, oltre che nei cantieri (cfr. art. 58 C.d.S.) - Ecco perché a integrare il presupposto di operatività della copertura assicurativa è sufficiente che essa si trovi in sosta su una strada di uso pubblico o su un'area ad essa equiparata, restando indifferente se durante la sosta essa operi o meno quale macchina operatrice.
In definitiva va affermato il principio secondo cui nell'ampio concetto di circolazione stradale indicato nell'art. 2054 c.c., è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade. Ne consegue che per l'operatività della garanzia per la R.C.A. è necessario il mantenimento da parte del veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, risultando, invece, indifferente l'uso che in concreto si faccia del veicolo, sempreché che esso rientri in quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo stesso può avere.
Il motivo di ricorso va, dunque, rigettato, perché ricorrono, nella specie, tutti i presupposti per l'operatività della garanzia assicurativa, atteso che: è pacifico che l'autogrù, al momento del sinistro, si trovava in una strada pubblica o almeno in un'area equiparata; che l'uso che si faceva della stessa (sollevamento del cassone, con il braccio meccanico) corrispondeva all'utilitas propria del veicolo in oggetto; che è stata accertata una responsabilità (prevalente) del proprietario / conducente per un'errata manovra del braccio meccanico.
5. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1916 e 2697 c.c.. Al riguardo parte ricorrente lamenta l'adesione da parte della Corte territoriale all'orientamento di legittimità in ragione del quale in tema di surroga ex art. 1916 c.c., non viene in rilievo il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, con la conseguenza che il responsabile non può opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto assicurativo, quale, nella specie, la circostanza che non si trattasse di infortunio lavorativo. A conclusione del motivo si chiede a questa Corte ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. "se in caso di azione di surrogazione di cui all'art. 1916 c.c. esperita da un assicuratore, anche sociale, il danneggiante (ovvero l'assicuratore di quest'ultimo) convenuto per il risarcimento possa validamente proporre, come fatto dall'odierna ricorrente nel presente giudizio, nei confronti del predetto eccezioni relative all'esistenza, validità ed efficacia del rapporto assicurativo in forza del quale è stata esercitata la surroga con particolare riferimento alla circostanza che l'evento per cui è stato corrisposto l'indennizzo non è coperto da garanzia in quanto non compreso tra i rischi assicurati") nonché "se sull'assicuratore che agisce in surrogazione ex art. 1916 c.c., incombe ex art. 2697 c.c., l'onere probatorio di dimostrare in giudizio la sussistenza dei presupposti per l'esperimento dell'azione surrogatoria costituiti dal pagamento di un indennizzo in virtù di un rapporto assicurativo esistente, valido ed efficace e relativo ad un evento coperto da garanzia".
5.1. Il motivo è infondato.
Va premesso che, nella specie, l'assicuratore sociale non ha solo agito ex art. 1916 c.c., nei confronti del terzo responsabile, ma ha, altresì, esteso la propria domanda nei confronti della compagnia di assicurazione, odierna ricorrente; di modo che la pronuncia nei confronti dell'odierna ricorrente si colloca, prima ancora che nell'ambito del disposto dell'art. 1916 c.c., evocato nel motivo e nei quesiti che lo corredano, nell'ambito della L. n. 990 del 1969, art. 28, comma 2 e segg., (e oggi D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 142), in ragione del quale l'ente gestore dell'assicurazione sociale ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile del terzo responsabile del danno.
Ciò posto, va innanzitutto evidenziato che sia nelle assicurazioni volontarie che in quelle sociali, il diritto dell'assicuratore che abbia pagato l'indennità all'assicurato - danneggiato, di surrogarsi, ai sensi dell'art. 1916 c.c., nei diritti di quest'ultimo verso il terzo responsabile, per la rivalsa delle somme corrisposte, non deriva dal rapporto assicurativo, che per il terzo responsabile è res inter alios, ma dalla legge. In tale prospettiva le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di precisare che la surrogazione dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile, ai sensi dell'art. 1916 c.c., e fino a concorrenza dell'indennità pagata, comporta, entro tale limite, l'estromissione dal rapporto dell'assicurato ed il trasferimento della legittimazione attiva, con la conseguenza che, nella controversia promossa dall'assicuratore medesimo contro detto terzo in forza di quella surrogazione, non insorge necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'assicurato, ferma restando la facoltà del convenuto di opporre tutte le eccezioni inerenti al rapporto di danneggiamento che avrebbe potuto far valere nei riguardi di esso assicurato-danneggiato, nonché la facoltà di quest'ultimo di esperire autonoma azione risarcitoria per il danno eccedente l'indennità riscossa (Cass. Sez. Unite, 13 marzo 1987, n. 2639).
Con più specifico riferimento alla materia della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è stato, altresì, evidenziato che dalla disciplina della azione di surrogazione riconosciuta dalla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 28, all'ente gestore dell'assicurazione sociale del danneggiato nei confronti dell'assicuratore per la R.C.A. (nei limiti consentiti a seguito di Corte Cost. sentenza 18 maggio-6 giugno 1989, n. 319) emerge come il principio fissato dall'art. 1916 c.c., in tema di assicurazione privata contro i danni, in forza del quale la surrogazione dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato contro il terzo responsabile consegue al pagamento dell'indennità, subisca nel campo delle assicurazioni sociali - ove gli obblighi assicurativi sono caratterizzati da certezza ed inderogabilità, oltre ad articolarsi in una molteplicità di prestazioni non sempre quantificabili immediatamente in danaro - i necessari adattamenti, nel senso che per il verificarsi dell'indicato subingresso dell'assicuratore basta la semplice comunicazione al terzo responsabile dell'ammissione del danneggiato all'assistenza prevista dalla legge, accompagnata dalla manifestazione della volontà di esercitare il diritto di surroga (Cfr. Cass. 15 luglio 2005, n. 15022; Cass. 05 maggio 2004, n. 8527).
In particolare - considerato che per effetto della sola dichiarazione di volontà di surrogarsi (entro il limite temporale della liquidazione definitiva del risarcimento) l'ente gestore dell'assicurazione sociale acquista il diritto di accantonamento delle somme nei confronti dell'assicuratore R.C.A. e che, nel contempo, il pagamento effettuato dall'assicuratore R.C.A. al danneggiato non sarà opponibile all'ente gestore - appare corretto ritenere, da un lato, che il danneggiato perda la legittimazione ad agire per la parte di risarcimento per cui l'ente gestore dell'assicurazione sociale abbia dichiarato di volersi surrogare e, dall'altro, che per quella stessa "parte di risarcimento" subentra nell'azione l'ente assicuratore sociale.
In tale contesto risulta convalidata la ricostruzione dell'istituto della surroga come peculiare forma di successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento dell'infortunato, successione che si realizza nel momento in cui l'assicuratore abbia comunicato al terzo responsabile che l'infortunato è stato ammesso ad usufruire dell'assistenza e degli indennizzi previsti dalla legge e abbia manifestato la volontà di avvalersi della surroga. Nella relativa azione non viene, dunque, in considerazione il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o in sua vece l'assicuratore che gli abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato (cfr. ex plurimis Cass. 05 maggio 2003, n. 6797 cit. anche nella sentenza impugnata).
E' appena il caso di osservare che - contrariamente a quanto profilato dalla ricorrente - non c'è alcuna contraddizione logico - giuridica tra l'escludere che il danneggiante e per esso (nel caso di azione ex art. 28 cit.) l'assicuratore della R.C.A. possa opporre all'assicuratore che abbia anticipato l'indennizzo al danneggiato eccezioni concernenti il contenuto del rapporto di assicurazione e, nel contempo, nell'ammettere, che la stessa parte possa opporre quelle eccezioni che incidano sulla misura del risarcimento del danno cui essa sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato (cfr. Cass. n. 6797/2003 cit.). Siffatta affermazione appare, invero, perfettamente congruente con la ricostruzione dell'istituto in termini di successione nel rapporto risarcitorio, con la conseguenza che le eccezioni che il danneggiante (o il suo assicuratore per la R.C.A.) può opporre all'assicuratore sociale che agisce in surroga sono tutte e sole le eccezioni inerenti al rapporto di danneggiamento che avrebbe potuto far valere nei riguardi del danneggiato ovvero quelle attinenti ai presupposti dell'azione di surroga, come nel caso di non coincidenza dell'oggetto della surroga rispetto al credito che l'assicurato poteva far valere nei confronti del responsabile.
E' per questa ragione che la ricorrente non ha alcun diritto di porre in discussione l'efficacia ed il contenuto del rapporto assicurativo (pubblicistico) e, quindi, il diritto degli eredi della vittima a conseguire le relative prestazioni, sul presupposto che la morte del P. non costituisse un infortunio sul lavoro, in quanto non riferibile all'attività di agricoltore dallo stesso svolta.
Risultano, di conseguenza, infondate anche le censure mosse sotto il versante dell'onere della prova.
In definitiva il motivo va rigettato.
6. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 n. 4 cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ. per avere la Corte di appello rigettato l'eccezione di inammissibilità dell'azione di surroga con una motivazione apparente, non risultando specificati i presupposti in forza dei quali la Corte di appello aveva formato il suo convincimento. A conclusione del motivo si chiede a questa Corte ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.: "se il Giudice possa limitarsi alla mera enunciazione della sussistenza di una circostanza di fatto rilevante ai fini della decisione, quale quella che un determinato infortunio è da considerarsi avvenuto sul lavoro, senza sostenere tale assunto con una pur concisa motivazione, come fatto nella sentenza impugnata ovvero se il predetto debba sempre indicare una concisa esposizione dei motivi in fatto ed in diritto ed un'esposizione concisa ed ordinata delle questioni discusse e decise al fine della predetta affermazione".
7. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sull'esistenza dei presupposti dell'azione di surrogazione, avendo la sentenza motivato in termini apodittici e in assenza di risultanze documentali che attestassero la riferibilità dell'evento all'attività lavorativa del P..
7.1. I suddetti motivi sono suscettibili di esame unitario, perché, sia pure sotto i diversi profili, della motivazione apparente, in tesi corrispondente all'inesistenza della motivazione, ovvero del vizio motivazionale, attingono il medesimo punto della decisione, e cioè quello in cui la Corte territoriale ha affermato che "nel merito è stato accertato che l'incidente è avvenuto nell'ambito dell'attività lavorativa, dell'infortunato, non valendo ad escludere tale circostanza l'attività di agricoltore dell'infortunato...".
I suddetti motivi sono inammissibili.
Invero, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario - per giungere alla cassazione della pronunzia - non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell'impugnazione; e ciò in quanto il ricorso è inteso alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, e quindi di tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (in tale senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 18 maggio 2005, n. 10420; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2274; Cass. 26 maggio 2004, n. 10134).
Ciò posto e considerato che il motivo di appello di cui trattasi è stato rigettato non solo sull'assunto dell'avvenuto accertamento che il sinistro era avvenuto nell'ambito dell'attività lavorativa della vittima, "ma, prima ancora" (così a pag. 8 della sentenza impugnata) in ragione dell'inopponibilità da parte dell'assicuratore della R.C.A. all'INAIL di eccezioni riferibili al rapporto di assicurazione sociale, deve ritenersi che - una volta accertata l'infondatezza del secondo motivo di ricorso, nella parte in cui ha censurato la seconda (in ordine di esposizione, ma prioritaria in ordine logico) delle due rationes decidendi invocate dalla sentenza gravata a fondamento della conclusione fatta propria - i due motivi all'esame, riferibili all'altra ratio, sono divenuti inammissibili, per carenza di interesse (art. 100 c.p.c.).
In disparte si precisa che il quarto motivo incorre in un'ulteriore ragione di inammissibilità, per la mancanza della "chiara indicazione" richiesta dall'art. 366 bis c.p.c., in relazione al vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5.
8. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, artt. 18 e 27, e dell'art. 112 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente assume di avere dedotto in entrambi i giudizi riuniti - quello promosso dall'INAIL e quello incardinato da P. B. - il limite del massimale per persona di L. 75.000.000 e di avere specificamente appellato la sentenza del Tribunale di Benevento per aver pronunciato ultra petita, lamentando che nessuna richiesta di condanna era stata formulata oltre il limite per massimale di danno per persona. Osserva, dunque, che la Corte di appello, "disattendendo illogicamente" il motivo nei confronti dell'INAIL, ha emendando il vizio di ultrapetizione nei confronti del solo P. "seppure in parte": ciò in quanto il complessivo risarcimento del danno spettante a P. B. avrebbe dovuto essere ridotto proporzionalmente alle somme da erogare all'INAIL; il tutto nei limiti del massimale di polizza pari a L. 75.000.000. A conclusione del motivo si chiede a questa Corte ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. "se il soggetto assicuratore per la responsabilità civile da danni derivanti alla circolazione di cui alla L. n. 990 del 1969, possa essere condannato, in assenza di domanda di garanzia per mala gestio, oltre il limite del massimale previsto dalla polizza con riconoscimento di una somma superiore al predetto massimale maggiorato di interessi moratori e rivalutazione come statuito nella sentenza impugnata ovvero se lo stesso sia tenuto esclusivamente nei limiti del massimale di polizza ai sensi dell'art. 18, L. cit. nei confronti del danneggiato che agisce in via diretta nonché del proprio assicurato che chieda di essere garantito", nonché "se in caso di pluralità di danneggiati a seguito di sinistro stradale derivante dalla circolazione di veicoli e coperto dall'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile di cui alla L. n. 990 del 1969, in assenza di una specifica domanda di garanzia per mala gestio, il complessivo risarcimento a carico dell'assicuratore ed in favore dei predetti possa superare il limite del massimale come statuito nella sentenza impugnata ovvero se debba essere proporzionalmente ridotto nel limite del massimale di polizza in ragione dell'ammontare dei rispettivi danni".
9. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, contraddittoria motivazione in merito al vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c., ed all'esistenza del massimale di polizza. In particolare la ricorrente lamenta che la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto che non era stata esercitata alcuna azione di mala gestio, abbia contraddittoriamente confermato per intero la pronuncia di primo grado in favore dell'INAIL.
9.1. I suddetti motivi di ricorso si esaminano congiuntamente perché strettamente connessi, giacché affrontano la medesima questione, quella del superamento del massimale assicurativo (per persona, di L. 75.000.000), sia pure lamentandosi - quanto alla posizione di P. B. - che il Giudice del gravame abbia accolto "in parte" il motivo di appello con cui si deduceva l'ultrapetizione della sentenza di primo grado, per avere riconosciuto la mala gestio in difetto di apposita domanda e - quanto alla posizione dell'INAIL - che sia stato illogicamente disattesa la medesima censura, contraddicendo il rilievo dell'esistenza dell'indicato massimale assicurativo.
Il relativo esame risulterebbe logicamente subordinato a quello del ricorso incidentale inteso a far valere il superamento del limite del massimale assicurativo per mala gestio dell'assicuratore; e tuttavia può, senz'altro, anticiparsi, attesa l'unitarietà della decisione, che detto ricorso incidentale non è destinato a superare il preventivo vaglio di ammissibilità.
9.2. I suddetti motivi del ricorso principale incorrono in diverse e concorrenti ragioni di inammissibilità, delle quali l'astrattezza e genericità dei quesiti di diritto a corredo del quinto motivo e l'assenza del "momento di sintesi" ("la chiara indicazione" di cui all'art. 366 bis c.p.c.) con riferimento al sesto motivo sono, prima ancora che una causa immediata, un evidente elemento sintomatico.
Invero le deduzioni della ricorrente risultano viziate da inammissibili profili di novità e, comunque, formulate in violazione del canone di specificità in ragione del quale il ricorso per cassazione deve articolarsi nell'enunciazione di tutti gli elementi idonei a consentire alla Corte di legittimità di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento delle violazioni denunziate. Valga considerare quanto segue.
9.3. Le censure attingono il punto della decisione con il quale la Corte di appello - ritenuto che sussistesse l'ultrapetizione in punto di mala gestio (propria) per difetto di apposita domanda dell'assicurato e precisato, nel contempo, che la mala gestio (impropria) ai danni del danneggiato non richiede, invece, un'apposita domanda di risarcimento per colpevole ritardo, potendo la domanda ritenersi ricompresa nella richiesta di condanna dell'assicuratore all'integrale risarcimento del danno ovvero in quella di pagamento degli interessi e del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2 - ha accolto, per quanto di ragione, il motivo di appello con cui si censurava il vizio di cui all'art. 112 c.p.c., con riguardo alla statuizione di condanna in favore di P. B..
Non vi è traccia, invece, nella decisione impugnata dell'esame (e della proposizione) di analogo motivo di appello della compagnia di assicurazione con riferimento alla statuizione di condanna in favore dell'INAIL. E allora delle due l'una: o la ricorrente prospetta una questione nuova (come puntualmente eccepito da parte controricorrente), come tale inammissibile, atteso che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio; oppure la questione era stata specificamente sollevata con i motivi di appello e non è stata esaminata; e allora la censura, nei confronti dell'INAIL, andava formulata, non già sotto il profilo del vizio motivazionale, ma come violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, prospettando il vizio di omessa petizione della sentenza di secondo grado e corredando il motivo con specifico quesito ex art. 366 bis c.p.c..
Invero l'omessa pronuncia su un motivo di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente, non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto siffatta censura presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto e neppure con la denuncia del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, che si riferisce alla quaestio facti, bensì attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo della violazione dell'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, o comunque con univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass. n. 24856/2006 e molte altre; nonché, da ultimo, Cass. Sez. Un. n. 17931/2013).
9.4. Merita, altresì, puntualizzare che - come sopra accennato - l'importo di L. 75.000.000 fatto valere dalla compagnia di assicurazione innanzi al Giudice di appello costituiva il massimale "per persona infortunata", come risulta chiaramente dai contenuti del presente ricorso; e di tale massimale la Corte territoriale ha tenuto puntualmente conto, allorché - accolta la censura di ultrapetizione con riguardo alla domanda del P. - ha limitato la statuizione di condanna dell'assicurazione, in solido con l'assicurato e in favore dello stesso P. B., "nei limiti di Euro 38.734,27 (pari a L. 75.000.00)" (oltre interessi e rivalutazione per colpevole ritardo, con statuizione in parte qua immune da censure). Non risulta neppure allegato (e, anzi, può escludersi, sulla base delle stesse deduzioni della ricorrente) che la compagnia di assicurazione abbia fatto valere, in appello, il limite del massimale "catastrofale", ovverosia per singolo sinistro (cfr. Cass. Sez. Un. 01 luglio 2009, n. 15376), specificamente deducendo la necessità di proporzionale riduzione dell'importo spettante a P. B. nel concorso di altre pretese risarcitorie o, più in generale, di tenere conto dell'incapienza del massimale catastrofale, avuto riguardo ai diritti degli eredi P., cui l'INAIL si era surrogata. Invero la sentenza ha accolto, con statuizione immune da censure, il motivo di appello incidentale con cui P.B. aveva contestato che l'azione di surroga fosse stata esercitata nei suoi confronti, di modo che, con riguardo alla posizione di costui, le deduzioni della ricorrente, intese a una riduzione proporzionale dell'importo allo stesso riconosciuto, incorrono anche nella preclusione del giudicato.
A tacere del fatto che il risarcimento liquidato all'odierno resistente si riferisce alla sola componente non patrimoniale del danno conseguente alla morte di P. A., che non appare ricompresa tra le prestazioni erogate dall'INAIL e per le quali l'ente di assicurazione sociale avrebbe potuto surrogarsi. Invero (come è ormai acquisito in giurisprudenza, dopo gli interventi della Corte costituzionale sia in ordine all'art. 1916 c.c., con sentenza n. 356 del 1991, sia in ordine alla L. n. 990 del 1969, art. 28, con sentenza n. 319 del 1989) l'assicuratore sociale il quale abbia indennizzato il danno subito dall'assicurato e causato dall'altrui illecito, non può surrogarsi al diritto del danneggiato per quei danni alla persona che non siano altrimenti risarciti o non siano eliminati in virtù delle prestazioni erogate dall'ente.
In definitiva anche i suddetti motivi non meritano accoglimento.
Di conseguenza il ricorso principale va rigettato.
10. Con il ricorso incidentale I. C. impugna la sentenza di appello nella parte in cui, riconoscendo il vizio di ultrapetizione del Tribunale di Benevento con riguardo alla mala gestio, ha limitato la condanna della società assicuratrice nei confronti del P. entro i limiti del massimale di polizza, disponendo che la restante somma fosse posta solo a suo carico.
10.1. Il ricorso, come innanzi anticipato, è inammissibile, perché manca della specifica indicazione di motivi riconducibili all'art. 360 c.p.c., e perché è totalmente inevasa la modalità di formulazione prevista dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
Si ritiene di compensare interamente le spese del giudizio di legittimità ravvisandosi i "giusti motivi" di cui all'art. 92 c.p.c. (nel testo originario qui applicabile), avuto riguardo alla natura delle questioni trattate e al contrasto risolto.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2015.
DISCLAMER: Il testo della presente sentenza o odinanza non riveste carattere di ufficialità e non sostituisce in alcun modo la versione pubblicata dagli organismi ufficiali. Vietata la riproduzione, anche parziale, del presente contenuto senza la preventiva autorizzazione degli amministratori del portale.