Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Penale, Sezione seconda, sentenza n. 8927 del 7 marzo 2012

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione II, sentenza numero 8927 del 07/03/2012
Circolazione Stradale - Artt. 94 e 193 del Codice della Strada e art. 646 c.p. - Furto del veicolo - Adempimenti - Ritrovamento - Comunicazione alla compagnia assicuratrice - Reato di appropriazione indebita - L'obbligo di immediata comunicazione del ritrovamento del veicolo compendio di furto, deriva dalla circostanza che la compagnia assicuratrice, dopo aver liquidato al legittimo assicurato il danno economico derivante dal furto, acquista la piena proprietà dell'autoveicolo ritrovato. L'inadempimento della procedura configura il reato di appropriazione indebita.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 7 gennaio 2011, la Corte di appello di Napoli, confermava la sentenza del Tribunale di (Omissis), Sezione distaccata di (Omissis), in data 6/2/2007, che aveva condannato (Soggetto 1) e (Soggetto 2) alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il reato di truffa in danno della società assicuratrice Unione Assicurazione.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputato per mezzo dei loro difensori con due separati atti, a firma dell'avvocato P. C. e dell'avv. F. F. M..

3.1 L'avv. C. solleva quattro motivi di gravame con i quali deduce:

- Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p. e artt. 110 e 640 c.p..

- Mancata assunzione di una prova decisiva con riferimento alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per assumere le due testimonianze richieste;

- Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla mancata assoluzione di (Soggetto 2);

- Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla dosimetria della pena ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

3.2 L'avv. F. M. solleva cinque motivi di gravame con i quali deduce:

- Violazione di legge in relazione all'art. 640 c.p. per difetto dei requisiti della condotta punibile; in astratto si sarebbe potuta configurare l'ipotesi di cui all'art. 646 c.p. caratterizzato dal comportarsi quale proprietario di un bene cui si era semplicemente possessore.

- Mancata assunzione di una prova decisiva con riferimento alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per assumere le due testimonianze richieste;

- Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche;

- Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla mancata sospensione condizionale della pena;

- Violazione di legge in relazione alla mancata concessione dell'indulto.

Chiedono, pertanto, l'annullamento della impugnata sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La prospettazione difensiva secondo cui, nel caso di specie, la condotta contestata non integra gli estremi del reato di truffa, è fondata solo in termini di qualificazione giuridica della condotta medesima, nel senso che, se essa non integra gli estremi del delitto di truffa, configura sicuramente la fattispecie del reato di appropriazione indebita e non può certamente risolversi, così come vorrebbe la difesa, nell'ambito degli inadempimenti di natura civilistica.

Si premette che, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, nel delitto di truffa, mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sè qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la "cooperazione artificiosa della vittima" che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione - la perdita definitiva del bene da parte della stessa (Cass. Sez. U. Sentenza n. 1/1999, Ud. del 16/12/1998, Rv. 212080, C.).

Ciò premesso, si osserva che, nel caso di specie, la condotta illecita contestata agli imputati consiste nel non aver tempestivamente comunicato alla loro Compagnia assicuratrice il ritrovamento dell'autovettura (Omissis) tg. BMW, di cui avevano subito il furto, percependo dall'assicurazione, per tale sinistro, la somma di Euro 23.000,00.

Orbene, tale condotta integra gli estremi del delitto di cui all'art. 646 c.p.. Invero, l'obbligo di immediata comunicazione del ritrovamento del veicolo sottratto, deriva dalla circostanza che, in virtù delle clausole generali del contratto di assicurazione, la compagnia assicuratrice, dopo aver liquidato il danno derivante dal furto, acquista la proprietà dell'autoveicolo. Pertanto, in caso di recupero del veicolo rubato, l'assicurato deve comunicare tempestivamente il ritrovamento e mettere l'autovettura a disposizione della compagnia assicuratrice che ne è divenuta proprietaria. E' del tutto evidente che la mancata comunicazione alla società assicuratrice, che ne era divenuta proprietaria, dell'avvenuto recupero dell'autovettura, (nell'aprile 2005), non presume alcuna "cooperazione artificiosa della vittima" e non comporta alcuna perdita definitiva del bene da parte della società proprietaria, risolvendosi tale condotta degli imputati in una mera appropriazione indebita ratione temporis del veicolo che l'assicurato, al momento stesso del ritrovamento, (16/4/2005), avrebbe dovuto consegnare alla propria compagnia di assicurazione.

Tale Società - cui i CC. comunicarono, in data 5/8/2005, che il (Soggetto 1) aveva denunziato loro, nell'aprile del 2005, il ritrovamento dell'auto - riuscì a rientrare nel possesso della stessa solo forzosamente e solo il 18/01/2006, per l'intervento dell'A.G. che - su querela presentata dalla compagnia assicuratrice il 23/09/2005 - procedette il 29/10/2005 a disporre il sequestro del veicolo dopo che la Società in questione aveva inutilmente intimato, fin dall'agosto 2005, all'assicurato la riconsegna del mezzo ritrovato. Non vi è, quindi, alcun dubbio - attese le surrichiamate risultanze processuali, tutte emergenti dalle sentenze di 1^ e 2^ grado sulla interversio possessionis posta in essere dagli imputati, sicché il fatto deve essere qualificato come reato ex art. 646 c.p. e la sentenza impugnata - fermo restando il giudizio di colpevolezza di entrambi gli imputati - deve essere annullata con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio inflitto agli imputati, che deve essere riportato nell'alveo della sanzione di cui alla norma anzidetta. Gli ulteriori motivi relativi alla pena e al beneficio della sospensione condizionale della stessa, alla concessione delle attenuanti generiche restano assorbiti dovendo far parte del nuovo giudizio sulla commisurazione della pena e dei relativi benefici, mentre il motivo concernente l'indulto, se non applicato in secondo grado, dovrà essere fatto valere dinanzi al Giudice dell'esecuzione.

Le spese di costituzione e difesa della parte civile devono essere liquidate all'esito definitivo del giudizio.

P.Q.M.

Qualificato il fatto come reato ex art. 646 c.p., annulla con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e dispone trasmettersi gli atti ad altra Sezione della Corte d'appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.

Spese al definitivo.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2012.

 

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