Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio
Cassazione Penale, Sezione quarta, sentenza n. 6967 del 22 febbraio 2012
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 6967 del 22/02/2012
Circolazione Stradale - Art. 141 del Codice della Strada - Doveri di prudenza e diligenza dell'utente - Le norme sulla circolazione stradale impongono all'utente severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili; in particolare l'art. 141 del C.d.S. impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza, nonché di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni "ostacolo prevedibile".
RITENUTO IN FATTO
(Soggetto 1) ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 21.10.2010, della Corte d'Appello di (Omissis) che, su gravame del P.M. del Tribunale dello stesso capoluogo e delle costituite parti civili, in riforma della sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di (Omissis) il 22.01.2008, lo ha ritenuto responsabile del delitto di omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale, condannandolo alla pena di giustizia. In breve il fatto oggetto della vicenda:
In data (Omissis), alle ore 15.00, in (Omissis), all'altezza del civico (Omissis), sul lato sinistro della carreggiata si verificava un incidente stradale. I mezzi coinvolti erano un ciclomotore Piaggio (Omissis) ed un'autovettura Toyota (Omissis), il primo condotto da (Soggetto 2) e l'altro condotto dall'imputato. I mezzi procedevano nella stessa direzione da Piazzale (Omissis) verso (Omissis). Il tratto era rettilineo e la visibilità buona.
Al centro della strada vi era un parcheggio centrale e l'incidente si sarebbe verificato mentre l'autovettura stava entrando nel parcheggio.
Il (Soggetto 1) aveva investito il ciclomotore condotto da (Soggetto 2) e a seguito dell'urto contro lo spigolo del marciapiede dell'aiuola di ingresso del parcheggio, il (Soggetto 2) veniva sbalzato fuori dal ciclomotore fino ad andare a sbattere la testa contro un cartello stradale poco distante, riportando lesioni in seguito alle quali decedeva.
Nel corso delle indagini venivano sentiti alcuni testi oculari dell'incidente. Il Tribunale riteneva, in base alle rielaborazioni grafiche della Polizia Municipale, alle deposizioni dei testi e ai danni riportati dai veicoli, che dovesse escludersi la responsabilità del (Soggetto 1) sul presupposto che la (Omissis), ancora prima che si muovesse il (Soggetto 2) dopo il verde del semaforo, si trovasse già sulla sinistra della carreggiata, che aveva la freccia inserita e che stava entrando nel parcheggio.
Il primo giudice valorizzava le deposizioni dei testi (Soggetto 3) e (Soggetto 4), i quali avevano riferito di essersi resi conto delle intenzioni del (Soggetto 1) e della pericolosità della manovra del conducente del ciclomotore nel sorpassare a sinistra la vettura che stava entrando nel parcheggio; la manovra di superamento della vittima era azzardata e che il tentativo di sorpasso, ad ogni costo, confidando nella propria abilità di motociclista, non aveva consentito al (Soggetto 2) di rendersi conto ne del poco spazio esistente, ne' della presenza del cordolo occultato in parte dalla vettura.
La Corte d'Appello ha ritenuto di accogliere i gravami dei P.M. e delle parti civili, e, rivisitando le deposizioni di alcuni testi ( (Soggetto 3), (Soggetto 5)), ha evidenziato che quando l'auto guidata dal (Soggetto 1) aveva iniziato la manovra di entrata in parcheggio, la manovra del (Soggetto 2) era quasi completamente riuscita, avendo lo stesso quasi completato il superamento della (Omissis), di conseguenza nella condotta dell'imputato deve ravvisarsi una percentuale di colpa, sia pure inferiore a quella della vittima. L'imputato per immettersi nell'area di parcheggio ha tagliato al ciclomotore trasversalmente la strada. Egli non ha adottato quelle necessarie cautele imposte nell'effettuare la manovra di svolta a sinistra, quali quelle di accostarsi il più possibile al margine sinistro della carreggiata, di guardare negli specchietti retrovisori e anche a fianco della sua autovettura, sulla sua sinistra dove si trovava il motociclo condotto dalla vittima, che stava completando la manovra di sorpasso.
Con un unico motivo il ricorrente denuncia un'errata ricostruzione della dinamica dell'incidente da parte del giudice del gravame. Si afferma che la dinamica, ricostruibile dall'esame dei frammenti del ciclomotore, sparsi in ogni direzione, guidato dal (Soggetto 2), ipotizza, senza ombra di dubbio, che l'incidente è stato causato esclusivamente dal ciclomotore nel tentativo di sorpasso dell'auto che lo precedeva con il lampeggiatore di sinistra acceso, ben visibile alle auto che provenivano dall'incrocio stradale di via (OMISSIS), posto a 50 mt. di distanza, ed altrettanto ben visibile dal (Soggetto 2) che proveniva da tale incrocio. Si argomenta che, nella ricostruzione prospettata dal P.M. e fatta propria dalla Corte distrettuale, non vengono evidenziati il fatto e la circostanza eclatante che l'autovettura condotta dal ricorrente procedeva lentamente con l'indicatore di direzione di sinistra acceso, con ciò dimostrando chiaramente che intendeva convergere sulla rampa per accedere al parcheggio; e che tra ciclomotore ed auto, al momento in cui il semaforo passa al verde, intercorreva una distanza di circa 50 mt.. Il (Soggetto 1) che procedeva lentamente, non preceduto e non seguito da altre auto, non avrebbe potuto immaginare che il ciclomotore, già fermo al semaforo, a distanza di 50 mt. lo avrebbe potuto raggiungere, in si poco tempo e mai avrebbe potuto immaginare che, avendo il lampeggiatore acceso, potesse essere raggiunto sulla sinistra, considerata la mancanza di spazio sufficiente per poter essere sorpassato. La Corte d'Appello, dunque, ha omesso la valutazione di tali dati di fatto nella ricostruzione della dinamica dell'incidente.
Con memoria depositata nei termini la parte civile (Omissis), a mezzo del suo difensore, eccepisce l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo esposto non è consentito in sede di legittimità per cui il ricorso va dichiarato inammissibile.
È indubbio, infatti, che si ripropone una ricostruzione diversa del fatto anche con riferimento ad una rivisitazione delle risultanze probatorie, con riguardo alle testimonianze rese dalle persone presenti sul luogo del sinistro. Il vizio dedotto dal ricorrente non è riconducibile al cd. "travisamento della prova" perché, con il proposto ricorso, si pone il problema dell'individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l'idoneità delle prove acquisite a giustificare un'affermazione di responsabilità penale.
Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro probatorio ormai "fotografato" con la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito che è inammissibile in questa sede.
Compito del giudice di legittimità non è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da quanto compiuto dal giudice di merito ma di sindacare la correttezza del ragionamento di questi sulla valutazione relativa alla efficacia probatoria dei fatti accertati. Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l'utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili.
E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili).
Per il caso di specie, la Corte d'Appello ha, invero, indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, confutando, in maniera analitica, astrattamente persuasiva e scevra da vizi logici, la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal Tribunale, e tanto in un contesto probatorio in cui i testimoni oculari hanno avuto conoscenza diretta della dinamica del sinistro, essendo tutti presenti sul luogo teatro dell'incidente prima e dopo che si verificasse.
Il caso in esame, per altro verso, in ragione del concomitante comportamento di guida colposo della persona offesa, come ritenuto nella sentenza impugnata, propone una complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative. In breve, si tratta di stabilire se il principio di affidamento trovi applicazione nell'ambito dei reati colposi commessi a seguito di violazione di norme sulla circolazione stradale.
Il principio di affidamento costituisce applicazione del principio del rischio consentito: dover continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui. Al contrario, l'affidamento è in linea con la diffusa divisione e specializzazione dei compiti ed assicura il migliore adempimento delle prestazioni a ciascuno richieste.
Nell'ambito della circolazione stradale esso assicura la regolarità della circolazione, evitando l'effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze. Il principio, d'altra parte, si connette pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l'obbligo di rapportarsi alle altrui condotte: esso è stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicità colposa.
Pacificamente, la possibilità di fare affidamento sull'altrui diligenza viene meno quando l'agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività.
La tendenza della giurisprudenza di legittimità è quella di escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull'altrui correttezza. Si afferma, così, che, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per se’ condotta negligente. In conseguenza, è stata confermata l'affermazione di responsabilità in un caso in cui la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l'auto in prossimità dell'incrocio a velocità moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l'autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all'obbligo di concedere la precedenza (Cass. 4, 28 marzo 1996, Rv. 204451). Su tali basi si è affermato, ad esempio, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l'automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell'attraversamento (Cass. 4, 1.8 ottobre 2000, Rv. 218473); e che l'obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente (Cass. 4, 19 giugno 1987, Rv. 176415).
In qualche caso a tale ampia configurazione della responsabilità è stato apposto il limite della imprevedibilità (Cass. 4, 24 settembre 2008 Rv. 241476), che talvolta si richiede sia assoluta (Cass. 4, 3 giugno 2008 Rv. 241004). L'obbligo di moderare adeguatamente la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza, ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella normale prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa (Cass. 4, 8 marzo 1983, Rv. 158790). Si tratta allora di comprendere se l'atteggiamento rigorista abbia una giustificazione o debba essere invece temperato con l'introduzione, entro limiti ben definiti, del principio di affidamento.
Senza dubbio quello della circolazione stradale è un contesto meno definito di quello del lavoro in equipe (con riferimento alla colpa professionale dei medici), ove il principio in parola trova pacifica applicazione. Si configura, infatti, un'impersonale, intensa interazione che mostra frequenti violazioni delle regole di prudenza.
D'altra parte, il codice della strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l'obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari.
Ad esempio, l'art. 141 impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza; e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni "ostacolo prevedibile". L'art. 145 pone la regola della "massima prudenza" nell'impegnare un incrocio. L'art. 191 prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque già iniziato l'attraversamento della carreggiata. Tali norme tratteggiano obblighi di vasta portata, che riguardano anche la gestione del rischio connesso alle altrui condotte imprudenti.
D'altra parte, come si è accennato, le condotte imprudenti nell'ambito della circolazione stradale sono tanto frequenti che esse costituiscono un rischio tipico, prevedibile, da governare nei limiti del possibile. Tali norme, tuttavia, non possono essere lette in modo tanto estremo da enucleare l'obbligo generale di prevedere e governare sempre e comunque il rischio da altrui attività illecita, vi sono aspetti della circolazione stradale che necessariamente implicano un razionale affidamento: di fronte ad una strada il cui il senso di circolazione sia regolato non si può pretendere che l'automobilista si paralizzi nel timore che alcuno possa non attenersi a tale disciplina.
Insomma, un'esigenza di ragionevolezza del sistema e ragioni di equità inducono a ritenere che il principio di affidamento debba essere in qualche guisa riconosciuto nell'ambito della circolazione stradale. La soluzione contraria non solo sarebbe irrealistica, ma condurrebbe a risultati non conformi al principio di personalità della responsabilità, prescrivendo obblighi talvolta inesigibili e votando l'utente della strada al destino del colpevole per definizione o, se si vuole, del capro espiatorio.
Ne' può esercitare un'influenza contraria (come sembra ritenere il ricorrente) il fatto che gli altrui comportamenti imprudenti siano tanto gravi quanto diffusi, come quello di ciclomotoristi che sorpassano sulla destra veicoli fermi. Un tale approccio condurrebbe, addirittura, ad un effetto paradossale: quello di svuotare la forza cogente della disciplina positiva e di generare un patologico affidamento inverso da parte dell'agente indisciplinato sulla altrui attenzione anche nel prevedere le proprie audaci intemperanze comportamentali. Per tentare di definire la concreta portata del principio nell'ambito della circolazione occorre considerare che i contesti fattuali possibili sono assolutamente indeterminati; e non è quindi realistico che l'affidamento concorra a definire i modelli di agenti, le sfere di rischio e di responsabilità in modo categoriale, come invece accade nel ben più definito contesto del lavoro in equipe e, entro confini peraltro assai limitati, nell'ambito della sicurezza del lavoro.
Anche nell'ambito della circolazione stradale che qui interessa, è stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto (Cass. 4, 25 ottobre 1990, Rv. 185559; Cass. 4, 9 maggio 1983, Rv. 159688; Cass. 5, 2 febbraio 1978, Rv. 139204). Tali enunciazioni generali abbisognano di un ulteriore chiarimento, già del resto ripetutamente proposto di recente da questa Corte (Cass. 4, 06 luglio 2007, Rv. 237050; Cass. 4, 7 febbraio 2008, Rv. 239258): l'esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poiché in tale ambito la prevedibilità dell'evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata; ma anche nell'ambito della colpa specifica la prevedibilità vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma rileva pure in relazione al profilo squisitamente soggettivo, al rimprovero personale, imponendo un'indagine rapportata alle diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto. Certamente tale spazio valutativo è ridotto nell'ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dell'agente modello. Non può essere escluso del tutto che contingenze particolari possano rendere la condotta inosservante non soggettivamente rimproverabile a causa, ad esempio, della imprevedibilità della condotta di guida dell'altro soggetto coinvolto nel sinistro. Tuttavia, tale ponderazione non può essere meramente ipotetica, congetturale, ma deve di necessità fondarsi su emergenze concrete e risolutive, onde evitare che l'apprezzamento in ordine alla colpa sia tutto affidato all'imponderabile soggettivismo del giudice.
L'esigenza di una indagine concreta, si è pure affermato dalla giurisprudenza da ultimo indicata, non viene meno neppure quando, come nella circolazione stradale, la condotta inosservante di altri soggetti non costituisce in se una contingenza imprevedibile, si è chiarito che lo spazio per l'apprezzamento che giunga a ritenere imprevedibile la condotta di guida inosservante dell'altro conducente è ristretto e va percorso con particolare cautela. Ciò nonostante, l'esigenza di preservare la già evocata dimensione soggettiva della colpa (id est la concreta rimproverabilità della condotta) ha condotto questa Corte ad enunciare che, come si è prima esposto, le particolarità del caso concreto possono dar corpo ad una condotta realmente imprevedibile.
A tali principi si ispira la sentenza impugnata quando, nell'esaminare il caso, evoca la ragionevole prevedibilità e la rapporta, con implicita evidenza, alle particolarità del caso concreto. L'imputato aveva avviato la manovra di svolta per accedere all'area di parcheggio, rendendosi, però, conto che dietro di lui vi erano altri veicoli che sopraggiungevano, e sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali, è rimasto provato che la manovra del (Soggetto 2) di sorpassare l'auto del (Soggetto 1) era quasi riuscita:
l'accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito non può essere qui posto in discussione. Egli, pur agendo nel rispetto del codice della strada, azionando il lampeggiatore di direzione nello svoltare a sinistra, non ha ben valutato, negligentemente, la manovra azzardata che stava compiendo il motociclista e, quindi, anziché fermarsi ed evitare lo scontro ha fidato nelle sue capacità di prontezza di riflessi di inserirsi immediatamente nell'area di parcheggio.
In tale situazione di fatto appare adeguatamente supportato il giudizio di "ragionevole prevedibilità" della condotta di guida della vittima. La Corte distrettuale ha ravvisato una situazione di pericolo, determinata dal cambiamento di direzione per svoltare a sinistra, per immettersi nell'area di parcheggio laterale, che esigeva da parte del conducente la massima prudenza e l'adozione di tutte cautele, al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza della circolazione. Il conducente avrebbe dovuto accertarsi con ogni mezzo che non sopraggiungessero altri veicoli e tale ispezione doveva proseguire per tutte le fasi della manovra.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende, oltre al ristoro delle spese sostenute dalle parti civili che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge, per ciascuna di esse.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 16 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2012.
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