Giurisprudenza codice della strada e circolazione stradale
Sezione curata da Palumbo Salvatore e Molteni Claudio

Cassazione Civile, Sezione prima, sentenza n. 2064 del 2 marzo 1994

 

Corte di Cassazione Civile, Sezione I, sentenza numero 2064 del 02/03/1994
Circolazione Stradale - Artt. 196 e 199 del Codice della Strada - Decesso dell'autore della violazione non anche obbligato in solido - Principio di solidarietà - Casi di non trasmissibilità dell'obbligazione - Il decesso del conducente del veicolo autore della violazione, nel caso in cui non sia anche proprietario del mezzo, usufruttuario, acquirente con patto di riservato dominio o utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, nonostante non espressamente indicato nell'art. 199 del C.d.S., comporta la non trasmissibilità dell'obbligazione di pagare anche nei confronti dell'obbligato in solido, anche se comproprietario.


FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 10 luglio 1989 (Soggetto 1) proponeva davanti al pretore di (Omissis) opposizione avverso l'ordinanza con cui il prefetto di (Omissis) aveva ingiunto a lei ed a (Soggetto 2), in solido, di pagare la somma di L. 210.600 per le violazioni agli artt. 103 e 77 cod. strad., contestate il (Omissis) a carico del (Soggetto 2) quale conducente di un motoveicolo "Cagiva (Omissis)" in comproprietà con la (Soggetto 1). Nel ricorso si faceva presente che (Soggetto 2) era deceduto e si invocava l'art. 7 della legge 24 novembre 1981 n. 689.

Costituitasi la prefettura di (Omissis) a mezzo di un proprio funzionario, il pretore adito, con la sentenza depositata il 13 giugno 1990, ha rigettato la opposizione, osservando che non contestata era la commissione delle violazioni amministrative e che irrilevante era la morte del (Soggetto 2), rispondendo la (Soggetto 1) non quale erede dello stesso, ma come comproprietaria del veicolo, e quindi come obbligata solidale.

Avverso la sentenza del Pretore (Soggetto 1) ha proposto ricorso per cassazione. La prefettura di (Omissis) non ha svolto attività difensiva davanti a questa Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con l'unico motivo di ricorso la (Soggetto 1) deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 6, ultimo comma, e dell'art. 7 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché dell'art. 112 c.p.c.. Secondo la ricorrente, l'ultimo comma dell'art. 6, (secondo cui l'obbligato solidale che ha pagato la sanzione pecuniaria "ha diritto di regresso per l'intero nei confronti dell'autore della violazione") e l'art. 7, (che dispone la non trasmissibilità agli eredi dell'obbligazione sanzionatoria) contengono norme contraddittorie che si possono conciliare solo se si ammette, contrariamente alla tesi della sentenza impugnata, che l'obbligato solidale si avvantaggia della morte del responsabile della violazione, non potendo egli esercitare il regresso nei confronti degli eredi del responsabile stesso.

La interpretazione opposta porrebbe il citato art. 7, in contrasto con gli artt. 3 e 24, della Costituzione, ed in tal senso la ricorrente solleva nuovamente questioni di legittimità costituzionale, su cui il pretore nulla ha detto.

2. - Il motivo di ricorso è fondato.

Il testo letterale dell'art. 7 della legge n. 689 del 1981 ("L'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi") si riferisce, direttamente, ai soli eredi dell'obbligato, sia esso il responsabile dell'illecito ovvero l'obbligato in via solidale (perché rientrante in una delle figure previste dal precedente art. 6).

Non può, però, non darsi rilievo anche all'ultimo comma dell'art. 6, che attribuisce all'obbligato solidale (che ha pagato la sanzione pecuniaria) il "diritto di regresso per l'intero nei confronti dell'autore della violazione". Tale regresso non è possibile contro gli eredi di detto autore, perché altrimenti sarebbe praticamente inutile il disposto dell'art. 7, venendo gli eredi a subire comunque le conseguenze sanzionatorie della violazione, essendo tenuti a pagare non più verso l'amministrazione, ma verso l'obbligato solidale (che abbia adempiuto l'obbligazione sanzionatoria).

Le due disposizioni normative qui considerate non sono contraddittorie: ambedue esprimono il principio della personalità della sanzione amministrativa, che pertanto viene meno (o si estingue) con la morte dell'autore dell'illecito. Illuminante è, in tal senso, l'origine dell'art. 7, che ripete l'uguale testo dell'art. 4 della legge 3 maggio 1967, n. 317, la quale è stata la prima legge di depenalizzazione e, proprio perché si è riferita ad illeciti costituenti in precedenza reato, ha inteso mantenere il principio penalistico della estinzione del reato e della pena per morte del reo (v. gli artt. 150 e 171 c.p.). Quando si è trattato di estendere la regola della intrasmissibilità agli eredi della sanzione amministrativa dal campo dell'illecito depenalizzato (v. anche l'art. 4 della legge 24 dicembre 1975, n. 706) a quello dell'illecito amministrativo in generale, anche se non proveniente da reato (che è l'ambito di applicazione della legge n. 689 del 1981: l'art. 12), ciò non è avvenuto senza contrasti, risultanti dal fatto che nel testo approvato per la prima volta dal Senato (il 13 maggio 1981) l'attuale art. 7, (corrispondente all'art. 17, del testo approvato dalla Camera il 18 dicembre 1980) più non compariva. Ma il testo finale della legge n. 689 del 1981 non solo ha confermato la scelta della intrasmissibilità agli eredi della sanzione, ma ha aggiunto la disciplina del regresso a favore dell'obbligato solidale, prevedendolo per l'intero, mentre il regresso non era in precedenza disciplinato dalle precedenti leggi di depenalizzazione, che pure introducevano ipotesi di solidarietà (art. 3 della legge n. 317 del 1967 e art. 3 della legge n. 706 del 1975).

La previsione del regresso (per l'intero) nei confronti del solo autore della violazione (e non anche degli eredi) toglie ogni dubbio sul fatto che la morte di detto autore incide non soltanto sull'obbligazione sanzionatoria (che quest'ultimo ha nei confronti dell'amministrazione), ma altresì nei rapporti interni tra i diversi obbligati, determinando il venir meno dell'obbligazione di rimborso verso l'obbligato solidale che ha pagato, posta dalla legge a carico dell'autore della violazione. La morte di quest'ultimo, cioè, estingue sia l'obbligazione esterna (verso l'amministrazione) sia l'obbligazione interna verso l'obbligato solidale (che ha pagato).

L'ultimo comma dell'art. 6, consente, pertanto, di configurare con precisione la figura dell'obbligato solidale per la sanzione amministrativa: questi non è un obbligato sussidiario per l'ipotesi di insolvibilità del condannato (come il civilmente obbligato per la multa o per l'ammenda: artt. 196 - 197 c.p.), ma non concretizza neanche una forma normale di solidarietà, in cui l'obbligazione nei rapporti interni si divide tra i diversi debitori (art. 1298 c.c.). Si realizza, invece, la figura, prevista come eccezione dallo stesso art. 1298 c.c., dell'obbligazione solidale prevista (dalla legge) nell'interesse esclusivo di uno solo degli obbligati solidali, e cioè dell'autore della violazione, onde essa non si ripartisce nei rapporti interni tra gli obbligati solidali, restando sempre a carico del debitore principale. La posizione dell'obbligato solidale ex art. 6, può, quindi, dirsi accessoria rispetto a quella del debitore principale.

Nella solidarietà prevista nell'interesse esclusivo di uno solo degli obbligati solidali, secondo i principi civilistici, il fatto estintivo dell'obbligazione, che attiene all'obbligato principale, produce effetti anche sull'obbligazione del debitore accessorio, che rimane anch'essa estinta. La morte del debitore principale (autore della violazione), cioè, produce l'estinzione non solo della obbligazione sanzionatoria posta a suo carico, ma altresì di quella dell'obbligato solidale (mentre, nel caso inverso, la morte di quest'ultimo non va a vantaggio del primo).

L'orientamento opposto - seguito dalla sentenza impugnata, peraltro senza alcun approfondimento - potrebbe porsi contro il principio costituzionale dell'art. 3, perché creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i diversi obbligati solidali, che subirebbero o meno l'incidenza definitiva della sanzione a seconda che la morte dell'autore della violazione avvenga prima o dopo il soddisfacimento del diritto di regresso.

3. - Non può, peraltro, farsi a meno di esaminare alcune obiezioni prospettabili alla tesi qui ritenuta corretta.

Il pubblico ministero, in udienza, ha concluso in senso difforme, osservando che l'obbligato solidale versa pur sempre in colpa non avendo superato, nel caso di specie, la presunzione posta dal primo comma dell'art. 6 (a carico del proprietario del veicolo che servì a commettere la violazione).

Va, in senso contrario, osservato che la detta responsabilità del proprietario del veicolo non ha carattere colposo, poiché il rimprovero di negligenza attiene all'utilizzo del veicolo e non si estende anche alla realizzazione dell'illecito. Se fosse provata la sussistenza di colpa in ordine alla condotta illecita, al proprietario sarebbe applicabile l'art. 5 della legge n. 689 del 1991, con il conseguente suo assoggettamento ad una autonoma sanzione (diversa da quella inflitta all'autore della violazione), onde la sua responsabilità non sarebbe più solidale, ma personale ed insensibile alla morte del concorrente nell'illecito.

Più in generale, va osservato che la questione prospettata dal ricorso si pone in termini uguali per tutte le ipotesi di obbligazione solidale previste dall'art. 6 e, tra di esse, la responsabilità configurata nel terzo comma ha indiscutibilmente natura oggettiva.

Obiezione di maggiore consistenza è quella che fa leva sul disposto dell'art. 14, ultimo comma, della legge n. 689 del 1981, secondo cui la mancata notifica della violazione al suo autore produce l'estinzione dell'obbligazione a carico di quest'ultimo, ma non anche l'estinzione dell'obbligato solidale. Tale disposizione, infatti, sancisce espressamente la non estensione all'obbligato solidale di una causa di estinzione relativa all'autore della violazione (omessa contestazione entro il termine previsto della legge).

Va però rilevata la profonda differenza tra la causa estintiva prevista dall'art. 7, e quella indicata nell'art. 14. Mentre, nella prima, la morte incide sull'illecito, facendolo venir meno a causa della personalità della responsabilità amministrativa disciplinata dalla legge n. 689 del 1981, nella seconda l'illecito rimane, venendo meno soltanto la possibilità per l'amministrazione di applicare la sanzione, a causa di un ostacolo procedimentale di essenziale rilievo (perché attinente all'esercizio del diritto di difesa). La conseguenza è che, in quest'ultima ipotesi, l'obbligato solidale che ha pagato la sanzione, come si è affermato in dottrina, ha diritto di regresso per l'intero contro l'autore della violazione, il quale, ovviamente, potrà, nel relativo giudizio, sostenere la propria assenza di responsabilità in ordine alla violazione, determinando un accertamento giudiziale incidente tantum sul punto e con effetti solo nei rapporti interni (e non anche rispetto all'amministrazione).

4. - In conclusione, il ricorso per cassazione va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata al pretore di (Omissis) che, nella persona di diverso magistrato, giudicherà nuovamente sulla opposizione proposta dalla Savino, attenendosi al seguente principio di diritto: "La morte dell'autore della violazione determina non solo la intrasmissibilità ai suoi eredi dell'obbligazione di pagare la somma dovuta per la sanzione, ma altresì la estinzione dell'obbligazione a carico dell'obbligato solidale".

Il giudice di rinvio si pronunzierà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Pretura di (Omissis), anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma il 9 luglio 1993.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 2 MARZO 1994.

 

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